Sangue in carcere e traffici di droga

Dietro al massacro di Guayaquil in Ecuador c’è la guerra per controllare le rotte
/ 11.10.2021
di Angela Nocioni

C’è la guerra scatenata per il controllo della nuova rotta della cocaina verso l’Europa nel massacro di detenuti di Guayaquil, lungo la costa dell’Ecuador. Il Golfo di Guayaquil e il suo grande porto sono l’Eldorado da conquistare per chi vuole controllare il traffico di droga. Passa dalle alture di Quito e lungo le strade nascoste della costa la nuova autostrada usata dai narcos colombiani e messicani, alleatisi con giovani cartelli ecuadoriani per far arrivare i carichi nei porti sudamericani da cui partono poi i container per il vecchio Continente. Oltre 110 morti, alcuni di loro decapitati, altri con le mani tagliate, e un centinaio di feriti sono state le vittime accertate dello scontro tra bande rivali cominciato nel carcere di Guayaquil l’ultimo martedì di settembre, il peggiore massacro della storia carceraria del piccolo Paese andino dove, dall’inizio dell’anno, due altre rivolte di detenuti hanno già fatto altri cento morti. Se ne è avuta notizia fuori dalle mura della prigione all’alba, con l’esplosione contemporanea di centinaia di armi da fuoco in vari padiglioni. Dopo l’intervento della polizia – sulle cui modalità mai nulla si saprà – gli agenti carcerari hanno affermato di aver trovato segni di granate esplose e cadaveri crivellati di colpi ogni dove.

L’intelligence militare locale sa molto della guerra in corso, ma dice di non riuscire a fermarla. Il colonnello Mario Pazmiño, l’ex capo dei servizi segreti militari dell’Ecuador, ha dichiarato alla Bbc: «Quello delle carceri qui in Ecuador è un terreno conteso tra varie bande. Lì si scontrano ferocemente per misurare le forze e stabilire chi comanda fuori. La banda più grande è quella dei Choneros, legata al cartello messicano di Sinaloa. Ci sono i Tiguerones, i Lobos e i Lagartos che sono controllati dal cartello di Jalisco, nuova generazione. Questa volta è successo che due bande hanno tentato di prendere il controllo del quinto padiglione del carcere, territorio di un’altra gang che ha reagito. Infatti solo lì sono stati contati 60 morti. Dopo è arrivata la rappresaglia».

Più di un terzo della cocaina prodotta in Colombia – produzione crescente perché l’export tira il mercato – sta attualmente transitando attraverso l’Ecuador, secondo stime del portale Insight crime. Solo nel 2020 i dati della polizia nazionale ecuadoriana raccontano di 128,4 tonnellate di coca sequestrate in operazioni antidroga, alle quali vanno sommate quelle intercettate e finite chissà dove nonché quelle che hanno continuato il loro viaggio indisturbate. «La metà della coca che esce dalla Colombia passa attualmente dal porto di Guayaquil», osserva l’ex capo dei servizi Pazmiño. Ovviamente la quantità di soldi generata dal traffico rende permeabilissime le mura di recinzione delle carceri locali in cui la corruzione del sistema di controllo è nota e apparentemente impossibile da combattere.

Altro elemento che rende difficilmente controllabili le bande e i loro affari è che i narcos ecuadoriani non operano di solito in grandi cartelli con struttura piramidale, ma sono piccole gang frammentate che si rompono e si riassemblano come cellule impazzite. Difficile disegnarne la geografia, tanto più mantenere la mappa criminale aggiornata. Sta succedendo con loro localmente quello che successe in America latina venti anni fa, quando la ‘Ndrangheta si sostituì quasi completamente alla mafia siciliana come referente dei produttori di coca colombiani. La ‘Ndrangheta rubò quote enormi di mercato perché sapeva muoversi come si muovono i broker. I cartelli ecuadoriani stanno facendo lo stesso, imparando dai calabresi e lavorando per loro e con loro.
La guerra nella selva e lungo la costa, carceri comprese, serve ad aggiudicarsi fette di mercato nel narcotraffico. A far arrivare nel Mediterraneo i carichi ci pensa poi la ’Ndrangheta. Efficiente, discreta, difficile da infiltrare, molto brava nel riciclaggio. La mafia siciliana resiste ovviamente, e fa i suoi affari, ma non è più la regina del mercato come ai tempi di Pizza connection, quando Cosa nostra imperava incontrastata e il grande business stava nel viaggio in direzione inversa: dai laboratori chimici che raffinavano eroina in Sicilia fino alle grandi piazze americane.

La ’Ndrangheta si è infilata nelle pieghe del giro vorticoso d’affari e si è fatta spazio, in silenzio. Ha intuito negli anni Ottanta che il futuro era la cocaina, non l’eroina. E s’è piazzata, inabissandosi. Dispone di molti mezzi, ha gente ovunque dove si produce coca, dalla Colombia all’Ecuador. Stringe alleanze con i nuovi cartelli, si muove come un pesce nell’acqua tra i narcos locali che la trovano affidabile perché chiusa, impenetrabile, arcaica. I colombiani e i messicani valutano la puntualità dei pagamenti, il professionismo nel trasporto. I carichi arrivano dove devono arrivare, quando devono arrivare. Non si perdono, non ritardano. Per questo cambiare rotte in continuazione è necessario. Valutare dove fare passare i carichi e conquistare il controllo di nuovi porti è una mossa fondamentale. Da lì la guerra per controllare le rotte.