Sánchez, un uomo solo al comando

Spagna – Il nuovo primo ministro socialista è riuscito a mettere fine a sette anni di governo Rajoy ma i problemi che dovrà affrontare sono molteplici, a cominciare dalla gestione dei rapporti con Barcellona
/ 11.06.2018
di Gabriele Lurati

«Ascolto, ricerca del consenso e dialogo». Queste sono state le prime parole del neo premier Pedro Sánchez, riferendosi alla crisi catalana e pronunciate al termine della vittoriosa mozione di sfiducia che ha sancito la fine politica di Rajoy. Quello di Sánchez è stato un manifesto programmatico ambizioso e apparentemente conciliante, con l’obiettivo di smarcarsi dalla politica autoritaria e repressiva messa in atto dall’ex premier conservatore Rajoy nei rapporti con la Catalogna. Alla prova dei fatti però, con la sua prima decisione politica, coincisa con la scelta di mettere una figura dichiaratamente anti-indipendentista come l’ex presidente del Parlamento europeo Josep Borrell al Ministero degli esteri, Sánchez ha già sollevato dei dubbi sulle sue reali volontà di apertura e ha provocato malcontento a Barcellona.

Il nuovo capo del governo dovrà quindi compiere equilibrismi politici per dimostrare una discontinuità con il passato, senza però concedere troppo agli indipendentisti catalani. Così facendo, usando la tattica del bastone e della carota, rischia però anche di scontentare tutti e di bruciarsi presto. Arrivato alla Moncloa grazie al sostegno della sinistra radicale di Podemos e con il decisivo voto dei nazionalisti baschi e catalani, nonché a seguito della sentenza dello scandalo giudiziario che ha condannato per corruzione il Partito popolare e mandato in carcere alcune persone molto vicine a Rajoy, Sánchez dovrà fare i conti innanzitutto con un’aritmetica parlamentare che lo obbliga a governare con un fragile esecutivo di minoranza.

Il Partito socialista dispone infatti di soli 84 deputati in Parlamento (alle Cortes la maggioranza è fissata a 176) e dovrà giocoforza dialogare con Podemos (67 parlamentari) e, soprattutto, con i nazionalisti baschi e gli indipendentisti catalani. Questi ultimi hanno appoggiato Sánchez solo con l’obiettivo di defenestrare Rajoy, considerandolo una delle cause della crisi catalana e dell’incarceramento di molti loro leader nonché della fuga all’estero di molti esponenti indipendentisti di spicco (tra cui l’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont). La gestione della «questione catalana» sarà quindi di vitale importanza per la sopravvivenza del governo Sánchez.

Il premier cercherà di affrontare il problema dal punto di vista politico, a differenza del Partito popolare che ha sempre preferito la via giudiziaria e si è sempre negato al confronto con gli indipendentisti. D’altronde non può essere considerato un fatto casuale la contemporaneità della nascita del governo Sánchez, avvenuta a Madrid proprio nelle stesse ore in cui a Barcellona veniva investito Quim Torra quale nuovo presidente della Generalitat, e che ha messo fine a otto mesi di commissariamento del governo catalano. Lo stesso Torra, pur ribadendo le velleità secessioniste del nuovo esecutivo catalano, si è detto sin da subito disponibile ad un incontro con Sánchez.Gli obiettivi minimi che si prefigge il nuovo premier sono essenzialmente due.

Il primo sarà quello di abrogare alcune leggi liberticide promulgate dal governo Rajoy (come la famigerata «legge bavaglio» che limita fortemente le libertà di espressione) e approvare nuove misure di tipo sociale al fine di accontentare i desiderata dell’elettorato progressista che lo sostiene in Parlamento (Psoe e Podemos). Il secondo obiettivo, ben più difficile, sarà come detto quello di smorzare la tensione nei rapporti con la Catalogna. Questo compito sarà estremamente arduo perché Sánchez avrà di fronte parecchi nemici che lo stanno aspettando al varco. I primi saranno ovviamente i partiti dell’opposizione (il Partito popolare ormai orfano di Rajoy e Ciudadanos, partito che viene dato attualmente come prima forza politica nei sondaggi e che sta erodendo consensi al Pp) che faranno una battaglia feroce puntando sulla messa in discussione dell’unità della Spagna alla minima concessione fatta da Sánchez ai secessionisti catalani, considerati dei «golpisti» agli occhi del Partito popolare e Ciudadanos.

Sánchez dovrà però stare attento anche al «fuoco amico». Infatti all’interno del Psoe sono presenti parecchi esponenti di spicco, soprattutto leader territoriali nonché figure storiche del partito come l’ex premier socialista Felipe González, che ne hanno ostacolato il suo ritorno in sella al partito un anno fa e che sono dichiaratamente contrari ad una Spagna plurinazionale e favorevoli alla linea dura con i catalani. Non da ultimo Sánchez dovrà difendersi dagli attacchi della stampa e della maggioranza dei media, tutti ostili alla linea morbida con Barcellona. Si pensi che Sánchez non gode neanche dell’appoggio di «El País», il più diffuso quotidiano nazionale, storicamente vicino ai socialisti. Questo giornale l’ha osteggiato in passato con durissimi editoriali per la sua apertura all’idea di una Spagna più federale, vista come «una nazione di nazioni», e non più tardi di due settimane fa l’aveva addirittura messo in guardia dal presentare la mozione di censura contro Rajoy, consigliandogli di andare subito a nuove elezioni.

In questo clima da «Sánchez contro tutti» si giocherà la partita politica nei prossimi mesi. La maggior parte degli analisti crede che questo governo avrà vita breve e che non porterà a termine la legislatura, prevista fra due anni. Altri opinionisti invece ritengono che Sánchez potrà godere almeno inizialmente di un effetto «luna di miele» con un elettorato stanco di anni di austerità economica e ferrea gestione conservatrice di Rajoy; ciò gli consentirebbe di avere un margine di tempo sufficiente per ottenere maggiore consenso tra vari strati della popolazione.In ogni caso Sánchez ha di fronte a sé un’occasione unica. Se saprà giocarsi bene le sue carte, potrà essere ricordato come il politico che avrà messo fine alla crisi catalana. Sánchez, un uomo solo al comando Spagna Il nuovo primo ministro socialista è riuscito a mettere fine a sette anni di governo Rajoy ma i problemi che dovrà affrontare sono molteplici, a cominciare dalla gestione dei rapporti con Barcellona.