La Russia è senza ombra di dubbio la terza potenza mondiale. Ed è l’unica capace di distruggere (salvo autodistruggersi) in poche ore il numero uno e il numero due – America e Cina – grazie al formidabile apparato missilistico e nucleare, alla proiezione di intelligence, all’eccellenza nelle dimensioni cibernetiche, spaziali nonché a notevoli punte tecnologiche e scientifiche. Allo stesso tempo, la sua economia vale solo il 3% di quella mondiale, con tendenza all’ulteriore declino. Ad oggi la Federazione russa fonda la sua economia sulla rendita energetica da idrocarburi, alla faccia della sostenibilità e dell’ecologia. Per chi ancora si attardasse nell’economicismo, valutando la gerarchia delle potenze in base al Pil o al reddito pro capite, è consigliabile considerare questi dati di fatto.
È da Pietro il grande che i russi cercano vanamente di agganciare lo sviluppo europeo. Contando in particolare sulla possibile sinergia con la Germania. Il mercato tedesco del gas – per estensione europeo – resta fondamentale per il settore energetico e per il bilancio dello Stato. Con ovvie ricadute politiche – stabilità interna tanto maggiore quanto più alto è il prezzo di petrolio e gas – e geopolitiche, rango e influenza nel mondo. Se per disgrazia le riserve russe di gas e petrolio esaurissero, quell’immenso Paese tornerebbe indietro di un paio di secoli.
Altra voce decisiva è quella delle armi. Le fabbriche russe producono armamenti di grande qualità che vengono esportati ovunque possibile. Le guerre dove i russi sono indirettamente o direttamente impegnati servono anche a questo: sinistri road show per esibire al mondo la magnificenza delle proprie armi.
A parte la pur lunga parentesi sovietica, durante la quale le distanze fra Europa sviluppata e Russia (Urss) si ridussero sulla spinta dei piani di industrializzazione forzata promossi da Stalin, il percorso storico dell’economia russa conferma l’impossibilità non solo dell’aggancio ma anche dell’avvicinamento alle economie che contano. Il prodotto interno lordo russo è oggi assimilabile alla somma di quelli del Benelux.
I tentativi di modernizzazione dell’economia nazionale promossi da Putin e da Medvedev hanno dato qualche segnale positivo fino al 2009, anno nel quale, anche in seguito alla crisi scoppiata a Wall Street e di lì estesa a quasi tutto il pianeta, è ripartito l’allargamento della forbice che frustra le speranze o le illusioni dell’élite e del popolo. Uno dei fattori meno considerati ma più rilevanti di questa performance avvilente sta nella debolezza dello Stato. I media dipingono una Federazione russa dotata di un apparato statale robusto, pervasivo, basato sulla verticale del potere.
Con un presidente onnipotente al centro. Falso. Per cominciare Putin non è affatto leader incontrastato, specie nella fase finale della sua parabola. È l’amministratore delegato voluto dalle oligarchie dell’intelligence e delle forze armate, che già stanno preparandosi a sostituirlo. In secondo luogo, se la verticale del potere non funziona tanto bene, figuriamoci il potere orizzontale. Enormi spazi russi non sono governati (anche perché disabitati) e, in assenza di un vero sistema legale e istituzionale, le burocrazie attuali confermano gli stereotipi della grande letteratura russa del Sette-Ottocento. Di qui anche l’incapacità di accogliere investimenti diretti esteri.
Eppure la Russia è indicata dal Pentagono, insieme alla Cina, come nemico strategico. La Nato continua a rafforzarsi e ad avanzare verso lo spazio russo, dopo aver travolto i confini sovietici. E la tensione fra i due Paesi, anche con Biden (anzi, forse soprattutto con la nuova Amministrazione Usa) non sembra affatto calmarsi. Le sanzioni americane e europee contro leader russi o settori della locale economia fioccano, e certamente ne indeboliscono il tessuto sociale ed economico. Tutto questo non fa che rafforzare lo strano allineamento di Mosca con Pechino. Probabilmente, se si aprisse un orizzonte di disgelo con Washington, Mosca abbandonerebbe o almeno allenterebbe volentieri l’abbraccio cinese. Per ora non sembra il caso.
I russi, per carattere e storia, esistono in quanto convinti di essere una grande potenza. Per questo i leader della Federazione curano l’apparato militare molto più del civile. Quel popolo è abituato, se necessario, a mangiare l’erba. Ma si scioglierebbe in cento sub-Russie nel momento in cui si autopercepisse Paese normale. «Potenza regionale», nella perfida definizione di Obama che fece imbestialire Putin durante la crisi ucraina.
Per l’insieme di questi fattori noi occidentali dovremmo saper rispondere alla seguente domanda: la Russia ci sta bene così o dovremmo aiutarla a dissolversi? Trent’anni dopo la fine dell’Unione sovietica, quando molti a Washington e in Europa orientale immaginano di far fare alla Federazione la fine dell’Unione, sarebbe il caso di darci una risposta. Sapendo che comunque la dissoluzione della Russia difficilmente si farebbe in pace.
Russia, un gigante dai piedi d'argilla
Forte nella produzione di armi, il Paese ha un’economia e uno Stato deboli
/ 15.03.2021
di Lucio Caracciolo
di Lucio Caracciolo