Russia-Turchia, intesa d’interesse

Ambasciatore russo ucciso ad Ankara – Se l’obiettivo del delitto (da parte di Gulen o altri) era quello di spezzare l’amicizia tattica tra Erdogan e Putin, la missione non è stata raggiunta. Anzi, ha rinsaldato la gestione della crisi
/ 27.12.2016
di Lucio Caracciolo

L’assassinio di un ambasciatore è sempre un atto gravissimo, talvolta fatale, nelle relazioni internazionali. Certo se due secoli fa il messo di San Pietroburgo presso la Sublime Porta fosse stato freddato da un giovane giannizzero, ne sarebbe probabilmente scaturita la guerra. E il caso vuole che mentre il ventiduenne Mevlut Mert Altintas freddava l’ambasciatore russo ad Ankara, Andrej Karlov, il presidente Putin stesse per assistere a una rappresentazione teatrale dedicata alla figura di Aleksandr Griboedov, inviato dello zar a Teheran, ucciso nel 1829. Ma questa volta non solo niente guerra, né calda né fredda e nemmeno diplomatica, ma anzi immediato rinsaldamento dell’intesa tattica che da qualche mese Russia e Turchia hanno saputo allestire, nonostante una storia plurisecolare di frizioni e conflitti e l’appartenenza a due schieramenti geopolitici assai diversi. 

Il freddo calcolo dell’interesse nazionale, che in questa fase porta Erdogan e Putin (foto) a procedere affiancati, ha finora prevalso sulla reazione automatica che in genere provoca un fatto del genere. Anche perché la convinzione di entrambi è che a muovere la mano dell’attentatore sia stata la Cia, che si dedica sia alla destabilizzazione della Turchia che ad intralciare il cammino della Russia, specie dopo le rivelazioni sulla presunta interferenza di Mosca nel voto presidenziale americano. Più precisamente, Erdogan e gran parte dell’opinione pubblica turca vede nell’assassinio un tassello del mosaico di infiltrazione e sabotaggio delle istituzioni turche concepito dall’imam Gulen, in esilio in Pennsylvania. La stessa eminenza grigia che avrebbe architettato il fallito colpo di Stato estivo contro Erdogan. E che il 24 novembre dell’anno scorso avrebbe scagliato due caccia turchi contro un Su-24 russo che aveva invaso lo spazio aereo nazionale, abbattendolo. C’è sempre molta dietrologia nelle percezioni di Ankara, ma in questo caso pare basarsi su elementi concreti e razionali.

L’intesa rinsaldata fra Mosca e Ankara è testimoniata dalla decisione di condurre insieme le indagini sul caso. Una folta delegazione di spie, funzionari e poliziotti russi è sbarcata nella capitale turca, affiancando i colleghi locali. Si scava nella vita del poliziotto ventiduenne, che avrebbe fatto parte per due anni e mezzo della squadra dedicata alla repressione delle rivolte e dei moti di piazza – alcuni sostengono che fosse stato impiegato anche per proteggere lo stesso presidente Erdogan. D’altronde, l’organizzazione gulenista, che il regime turco considera nientemeno che terroristica, ha alle spalle una lunga tradizione di infiltrazione nella polizia e in altri corpi di sicurezza dello Stato, per tacere delle magistratura. 

Se la pista gulenista fosse confermata, l’obiettivo immediato dell’assassinio apparirebbe l’accordo Putin-Erdogan sulla Siria. In sostanza, i russi hanno ottenuto mano libera ad Aleppo, ormai ricaduta nella sfera di sovranità del regime di Damasco, mentre i turchi possono dedicarsi liberamente alla caccia al curdo siriano, per impedire che si saldi con il Pkk installato in Anatolia sud-orientale. Le parole di Altintas – «non dimenticate Aleppo! Non dimenticate la Siria» – non avrebbero potuto essere più chiare. 

Ma la riunione al vertice fra i ministri degli Esteri turco, russo e iraniano si è svolta regolarmente poche ore dopo l’uccisione di Karlov. E ha sancito e dettagliato i termini dell’approccio più o meno coordinato delle tre potenze in Siria (e in Iraq). Una secca sconfitta per l’Occidente e in particolare per gli Stati Uniti, che fino a poco tempo fa si illudevano di liquidare il regime di al-Assad facendo leva su variopinte formazioni ribelli, tra cui alcune di spiccata impronta jihadista, anzi qaedista. Resta da vedere come la nuova amministrazione vorrà gestire questo rovescio. Per ora sembra che Trump sia intenzionato a scendere a patti con il terzetto, anche per mancanza di serie alternative. Ma vorranno gli apparati dello Stato – a cominciare da Pentagono, Cia e altri servizi - volgersi a una linea di pacificazione con il nemico russo e con quello iraniano? Oltre che con il turco formalmente alleato, ma considerato ormai inaffidabile e quasi impresentabile dal Congresso e da gran parte dell’opinione pubblica americana?

Intanto Erdogan sfrutta l’onda dell’allarme antiterrorismo per proseguire nell’opera di ricomposizione del suo controllo su tutte le strutture dello Stato, attraverso operazioni, purghe, arresti e altre iniziative meno visibili quanto efficaci. La prossima tappa dovrebbe essere l’istituzionalizzazione del regime presidenziale, mutando in situazione di diritto una condizione di fatto.  Accompagnata dal ripristino della pena di morte, malgrado le proteste internazionali, in special modo europee.

Sarà quindi interessante seguire l’evolvere della crisi nei rapporti turco-europei. L’intesa raggiunta con la Germania via Bruxelles per chiudere il passaggio turco-greco nei flussi migratori, per ora tiene. Ma per quanto? E come sarà toccato anche dalla recente strage del mercatino di Natale, a Berlino? Per quanto minacciato, Erdogan sembra tenere in mano le carte decisive.