L’Italia sarà il primo Stato del G7 a entrare ufficialmente nel progetto cinese delle nuove vie della seta. Il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, sarà a Roma il 22 e 23 marzo per firmare con il capo del governo italiano, Giuseppe Conte, il relativo memorandum of understanding. Documento poco più che simbolico. Ma siccome la politica, specie se internazionale, vive di simboli, cui in alcuni casi seguono fatti, il protocollo sino-italiano ha notevole valore. Tanto da aver innescato la robusta reazione degli Stati Uniti d’America, che considerano l’Italia provincia del proprio informale impero europeo.
Le nuove vie della seta (Belt and Road Initiative la denominazione attribuitagli da Pechino) sono infatti molto più che un progetto di infrastrutturazione delle rotte commerciali, marittime e terrestri, fra Europa e Cina. Nelle intenzioni di Xi Jinping esprimono una controglobalizzazione di marca cinese, alternativa all’americana. Con dimensioni anche strategiche e militari, oltre che di soft power. La sequenza è più o meno questa: si decide insieme al paese partner quali infrastrutture costruire o ammodernare e si stanziano i fondi necessari; vi si spedisce manodopera cinese, che porta con sé il necessario, fino all’ultimo chiodo; se ritenuto indispensabile da Pechino si esporta anche la sicurezza per proteggere i propri operosi connazionali, sotto forma di intelligence o addirittura di soldati, da installare in basi apposite (così a Gibuti, prima struttura militare all’estero della Repubblica Popolare Cinese).
Qualcosa di indigeribile per Washington. Specie in questa fase, in cui la competizione per il primato globale con la Cina ha toccato punte assai aspre, bel al di là della questione dei dazi.L’ingresso dei cinesi in Italia si colloca in questa competizione, nuova forma di bipolarismo strategico. Quando ha saputo che il vice premier italiano Luigi Di Maio, capo dei 5 Stelle, stava per firmare nel novembre scorso a Pechino il memorandum of understanding con Xi Jinping, Washington è intervenuta a gamba tesa. Di Maio ha fatto marcia indietro. Ma il filo non è stato interrotto. E dopo mesi di discussioni non troppo cortesi fra Roma, Washington e Pechino si è arrivati a un compromesso che, salvo colpi di scena dell’ultimo secondo, porterà appunto alla firma italiana e cinese in calce al memorandum.
Gli italiani hanno promesso agli americani che l’intesa riguarderà solo il commercio e non, come temevano e forse tuttora temono i servizi segreti e la diplomazia Usa, con ricadute nel delicato campo del 5G. Nuova frontiera delle telecomunicazioni nell’età dell’ «Internet delle cose», con ramificazioni importanti nell’intelligence. Fatto è che Huawei, leader nel 5G, è già presente in Italia e sta progettando di espandervi la sua rete. Difficile quindi che, sullo slancio dell’accordo italo-cinese, l’azienda di Shenzen non allarghi la sua attività nella Penisola, e con essa la sua capacità di raccogliere informazioni messe poi a disposizione del governo di Pechino. Insomma, la disputa Italia-America-Cina continuerà anche dopo l’intesa di fine mese.Per ora è noto che compagnie cinesi intendono investire soprattutto sui porti di Trieste e Genova, hub alto-adriatici e alto-tirrenici delle vie della seta marittime. Particolarmente delicata, e già molto avanzata, la partita di Trieste. Ricorre quest’anno il trecentesimo genetliaco del porto franco, voluto dagli Asburgo. Questo regime, che consente di aggirare i normali dazi riscossi dal paese ospitante, è tuttora valido.
Sotto ogni profilo, salvo la forma, Trieste resta un porto dell’ex impero asburgico. Le connessioni ferroviarie sono quella stabilite a metà Ottocento, ovvero dirette a nord, lungo la direttrice austro-bavarese, mentre le linee con l’Italia sono in stato deplorevole. Inoltre, un oleodotto porta in Baviera il 100% del petrolio consumato nello Stato Libero, per diramarsi verso il Baden-Württemberg, di cui copre il 60% del fabbisogno. Infine, Trieste sta stringendo la collaborazione con l’interporto germanico di Duisburg, snodo terrestre dei collegamenti ferroviari fra Europa e Cina. L’Italia quindi non trarrà enorme beneficio da questo accordo, a meno che non si decida a sviluppare le connessioni con Trieste, città per la quale centinaia di migliaia di soldati italiani morirono nella prima guerra mondiale.La partita strategica riguarda però il potenziamento delle connessioni digitali. Cinesi e americani sono in competizione per costruire un data center nel terminal triestino che servirà le nuove vie della seta. Nell’incoscienza dell’opinione pubblica e di gran parte della classe dirigente italiana. Non però dei servizi di intelligence americani e cinesi.