Rio Far West

Brasile – Dalla politica che trasferisce la gestione dell’ordine pubblico alla polizia militare che semina morti nel corso dei suoi blitz, all’omicidio della nota attivista Marielle Franco. Scene che non si vedevano dai tempi della dittatura
/ 02.04.2018
di Angela Nocioni

La notizia è la reazione della gente. Un’ondata insolita di riprovazione in un Paese apparentemente narcotizzato. Cinquantamila persone hanno occupato le strade del centro di Rio de Janeiro, altrettante sono scese a protestare a San Paolo, Recife, Porto Alegre, Brasilia, Salvador, Belo Horizonte, Recife, Natal, Fortaleza, Belem, Curitiba. E nuove mobilitazioni sono state convocate per i prossimi giorni.

Qualcosa, nell’omicidio di Marielle Franco, ha passato il limite dell’abitudine collettiva alla violenza se il popolo brasiliano ha reagito con rabbia all’omicidio di questa donna nera, trentottenne, femminista, bisessuale, giustiziata con una scarica di colpi alla testa sparati da un’auto al semaforo in una strada trafficata di Rio de Janeiro poco dopo le nove di sera, durante la partita di calcio del Flamengo per la coppa Libertadores.

Era molto conosciuta e molto amata Marielle Franco. Nota a tutti per l’impegno, coraggioso, contro la violenza della polizia nei confronti della gente delle favelas. Aveva preso 46.000 preferenze due anni fa come consigliera comunale candidata dal Psol, un partitino alla sinistra del Partito dei lavoratori. 

Stava denunciando, con molto ascolto in rete, la violenza aumentata e il terrore cresciuto dopo la militarizzazione di Rio, voluta del presidente della repubblica Michel Temer. Rio è da un mese anche formalmente ormai in mano ai militari. Con una decisione inedita Temer ha spedito un militare a commissariare il governo dello Stato di Rio (il Brasile ha una struttura federale) dandogli il comando di tutte le polizie e completa libertà di spesa. Dalla fine della dittatura non era mai successo che l’ordine pubblico fosse interamente messo in mano ai militari. 

Marielle è stata tolta di mezzo da qualcuno che l’ha seguita dopo l’uscita da un dibattito pubblico nel centro di Rio, quartiere Lapa, su un argomento a lei molto caro: la violenza contro le donne nelle zone socialmente più esposte. L’hanno pedinata, sapevano che dentro quell’auto dai finestrini oscurati c’era lei, nel sedile posteriore, seduta accanto alla sua consigliera, rimasta miracolosamente illesa. Ucciso anche l’autista, Anderson Pedro Gomes. 

Sospettata d’essere coinvolta nell’omicidio è la polizia militare (pm). Tanto che non c’erano agenti della pm per strada a sorvegliare le manifestazioni a Rio, per evitare la provocazione.

Marielle aveva più volte accusato il quaratunesimo battaglione della polizia militare di Rio de Janeiro di operare come squadrone della morte nelle favelas carioca. Il giorno prima di essere uccisa, riferendosi all’omicidio di un ragazzo, Matheus Melo, aveva scritto sul suo profilo Twitter: «Ancora un omicidio che potrebbe entrare nel conto di quelli compiuti dalla polizia militare. Matheus Melo stava uscendo dalla chiesa. Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?». 

Sono stati trovati nove bossoli vicino al suo cadavere. I proiettili usati proverrebbero da un lotto venduto dall’azienda CBC alla polizia federale di Brasilia nel 2006. Lo rivela una fonte della polizia di Rio, citata dalla Tv Globo. La fonte rivela anche che la targa di almeno uno dei veicoli usati dai killer è clonata.

Nei giorni prima di essere uccisa, Marielle Franco aveva denunciato oltre all’assassinio di Matheus Melo Castro, 23 anni, ammazzato il 12 marzo, quelli di Eduardo Ferreira, 39 anni, e Reginaldo Santos i cui cadaveri sono stati buttati tra la vegetazione ai confini della favela Acari. Aveva scritto Marielle in Facebook: «È necessario gridare perché tutti sappiano cosa sta succedendo ad Acari. Questa settimana due giovani sono stati uccisi e i loro corpi gettati in un burrone. Oggi la polizia è andata nelle strada a spaventare gli abitanti lì intorno. Succede sempre e con l’intervento dei militari a Rio a situazione è ancora peggiore. Condividi quest’immagine!».

Molti amici di Marielle sostengono che quel messaggio sia stato la sua condanna a morte. «Quei proiettili sono una vendetta contro di lei e una minaccia precisa a tutti, vogliono dire: non toccate la polizia» dicono i suoi amici.

La morte di Marielle potrebbe segnare l’ora della rivolta dei «favelados». Successe anni fa al Pavonzinho, la favela più piccola del centro di Rio. Panoramicissima baraccopoli con vista sulla baia di Copacabana, il Pavonzinho era considerata la vetrina della Unità di pacificazione di polizia, il piano del governo del partito dei lavoratori in vigore dal 2008 per portare polizia con formazione specifica a lavorare nelle favelas. La ragionevole missione delle Upp non è eliminare il traffico di droga, ma sottrarre il controllo del territorio ai narcos. Nella logica del progetto la presenza stabile in favela della polizia pacificatrice, fatta di agenti giovani della polizia militare con una preparazione non solo militare, dovrebbe rappresentare la presenza dello Stato. In un secondo momento, sempre in teoria, agli agenti dovrebbero essere affiancati medici, infermieri, insegnanti, assistenti sociali. Si tratta della fase due, celebrata forse con troppo anticipo in Brasile e all’estero, della tanto sbandierata «Upp social» che dovrebbe recuperare allo Stato le favelas portandoci dentro ospedali, scuole, campi sportivi. E che è rimasta però una sigla misteriosa nella maggior parte delle baraccopoli occupate. 

Tanto sembrava funzionare bene invece al Pavonzinho il piano di pacificazione, che ormai capitava spesso di vedere anche turisti inerpicarsi su per le strade della favela «pacificata» per una birra. La morte di Douglas Rafael da Silva Pereira, 26 anni, molto conosciuto nella comunità, scatenò invece anni fa la rivolta che arrivò a lambire il lungomare dei grandi alberghi sull’Avenida Atlantica. La famiglia del ragazzo ucciso e testimoni assicuravano fosse stato ammazzato, dopo essere stato torturato, dalla polizia militare, che avrebbe tentato goffamente di disfarsi del cadavere. Difficile da sostenere la tesi della «pallottola vagante», difesa dalla polizia, visti i fori dei proiettili sparati a bruciapelo e i segni evidenti di violenze sul corpo del ragazzo. Quella volta il clima da pre-insurrezione durò meno di una settimana. Stavolta la situazione è ancora più tesa. Il coinvolgimento della polizia militare è dato per scontato da troppa gente perché non ci sia il rischio di una reazione.

La politica di sicurezza di Rio è in scacco. Il piano per occupare le favelas controllate dai narcos con la presenza stabile delle Upp ha rivelato fragilità inattese. Gli abitanti delle favelas, che sembravano inizialmente aver accolto con favore la presenza della nuova polizia, denunciano di subire dalle Upp le stesse violenze esercitate per decenni dai vecchi militari. 

Questa è l’aria che si respira anche al Complesso della Maré, un territorio conteso da tre gruppi di narcotrafficanti in guerra tra loro, dal quale Marielle Franco viene. Quella è la sua gente. Lì lei è cresciuta e ha sempre lavorato. Il sobborgo, un tempo culla del Comando Vermelho, la più vecchia organizzazione di narcos carioca, occupa lo spazio stretto tra le due principali arterie che collegano Rio all’aeroporto internazionale Galeao: la Avenida Brasil e la Linea Vermelha. È impossibile nascondere la Maré. Chiunque arrivi a Rio dall’aeroporto deve passarle a fianco. Vede i muri scrostati della favela prima di scorgere la statua del Cristo redentore, prima di arrivare al mare.

Alla Maré l’ex presidente Dilma Rousseff, di appartenenze politiche opposte a quelle dell’attuale presidente Temer (che è stato suo vice ed è riuscito a scalzarla dal potere con un abile stratagemma culminato in un impeachment) ha spedito prima dei Mondiali di calcio le truppe federali. 

Prima ancora dell’esercito alla Maré è entrato il Bope, il Battaglione delle operazioni speciali della polizia militare, realisticamente raccontato dal film Tropa d’elite che nel 2007 vinse l’Orso d’oro a Berlino. Non ci vanno leggeri quelli del Bope, appena entrati in una sola giornata di intervento alla Maré hanno lasciato a terra dieci cadaveri. Nessuno si è mai dato la pena di verificare se gli uccisi fossero davvero dieci pericolosi trafficanti.

In questi giorni, subito dopo l’omicidio di Marielle e Anderson, le sparatorie sono aumentate. Non solo in favela, anche nell’affollatissimo centro cittadino. Solo il 19 marzo, ci sono stati otto morti in ventiquattro ore.