Il dibattito sul clima (l’espressione è ormai entrata nell’uso corrente anche in italiano) e anche parecchie manifestazioni di piazza non risparmiano la Svizzera. Manifestazioni le quali sottolineano la necessità di ridurre le emissioni di CO2 (emissioni con effetto serra) anche in Svizzera a livello zero entro il 2030. Obiettivo ambizioso, verso il quale la Svizzera è sulla buona strada, ma che è soggetto a influssi potenti da parte di elementi esterni, tanto in positivo, quanto in negativo.
Se guardiamo alle più recenti statistiche a livello mondiale, vediamo che la Svizzera è uno dei paesi più rigorosi nel contenimento di questo fattore inquinante. La statistica che mette a confronto le emissioni di CO2, in chilogrammi rispetto al prodotto interno lordo (PIL), per il 2016, epurato del rispettivo potere d’acquisto, valuta per la Svizzera un coefficiente di 0,083, e la situa dietro (nell’ordine) Francia, Gran Bretagna, Italia, Austria, la media europea, Turchia e Germania. Più lontani si trovano (sempre nell’ordine) Giappone, USA, Polonia, Canada e Australia, quest’ultima con un coefficiente di 0,335.
Ma se guardiamo ai principali fattori di questo inquinamento in Svizzera possiamo fare una prima constatazione interessante. La maggior parte delle emissioni di CO2 è data dal traffico e sappiamo che buona parte di questo traffico proviene da altri paesi. In ogni caso, inferiori a quelli di molti altri paesi sono le emissioni delle economie domestiche, quelle dei servizi e dell’agricoltura, quelle destinate alla produzione di corrente elettrica e di calore e anche quelle dell’industria. In quest’ultimo settore, unitamente a quello degli edifici, sono stati fatti molti progressi nella riduzione delle emissioni.
I fattori essenziali per questi progressi sono un’efficienza energetica relativamente elevata, nonché un «mix» energetico ideale per il contenimento delle emissioni di CO2, grazie all’energia di produzione nucleare e a quella degli impianti idroelettrici. È chiaro che con la decisione di abbandonare la produzione nucleare sarà molto difficile mantenere gli stessi livelli con emissioni di relativamente poco CO2. Valutando questa situazione sul piano economico globale, si deve ammettere che la forte prevalenza di attività di servizio, molto meno energeticamente intensive rispetto all’industria, favorisce il buon risultato della Svizzera nel confronto internazionale.
C’è però anche un problema, provocato da questa situazione favorevole e rilevato anche da uno studio del Politecnico federale di Zurigo. Il prevalere del settore dei servizi costringe in pratica la Svizzera a importare buona parte dei beni industriali, di cui necessita, dall’estero. Se si tiene conto delle emissioni provocate dalla produzione e dal trasporto di questi beni in Svizzera, si può constatare che il grado di emissioni nel nostro paese è superiore alla media mondiale. In sostanza, importando molti prodotti con produzione intensa di CO2 si provoca un aumento di emissioni all’estero, almeno pari a quelle che si risparmiano in patria.
Lo studio del Politecnico dimostra appunto che la maggior parte delle emissioni di CO2 nella produzione di manufatti dell’industria delle macchine, elettrica e dei metalli è dovuta alle componenti fabbricate all’estero. In cifre, circa l’80% delle emissioni di gas serra e il 95% di quelle di polveri fini sono prodotti all’estero. Non a caso, quindi, tanto gli esperti dell’energia, quanto quelli dell’economia rendono attenti sul fatto che il maggior potenziale di riduzione di emissioni per l’industria svizzera è all’estero. Per questo, per esempio, Economiesuisse chiede un’azione coordinata a livello internazionale, nella quale venga compreso anche il sistema svizzero e dell’UE del commercio dei certificati di emissione. Esso permette tra l’altro di mettere sullo stesso piano le imprese svizzere e quelle europee.
Rimane comunque attuale la necessità di ridurre le emissioni. La Svizzera vi provvede mediante varie leggi e ordinanze concernenti sia il traffico, sia gli immobili, nonché la produzione di energie rinnovabili. Il Politecnico di Losanna ha recentemente analizzato gli effetti di questi strumenti ed è giunto alla conclusione che i risultati sulla riduzione delle emissioni sarebbero stati raggiunti anche senza di essi. Il modello di previsione 2030 riduce le emissioni al livello del 1990, nonostante l’aumento di popolazione, la crescita economica e l’abbandono del nucleare. Ciò è dovuto tanto al progresso tecnico, quanto all’aumento dei prezzi di petrolio e gas.
La Svizzera non potrà però raggiungere l’obiettivo promesso a Parigi di una riduzione del 50% (30% in patria) del livello di emissioni del 1990 entro il 2030. E questo nonostante che tra il 1990 e il 2015 le emissioni di CO2 da fonti fossili non rinnovabili siano diminuite del 10,5%. Nello stesso periodo di tempo la popolazione è aumentata del 23% e il prodotto interno lordo del 47%. Uno sforzo ulteriore è necessario, ma non solo in Svizzera.