Ricchi e poveri

Cile – Il Papa ha concluso la visita in un Paese il cui grande problema è la differenza sociale e che ha appena eletto l'ultraliberista Piñera, uscito vincitore contro Alejandro Guillern, candidato erede delle posizioni di centro sinistra di Michelle Bachelet, presidente uscente
/ 22.01.2018
di Angela Nocioni, foto di Silvia Albini

«Non è vero che siamo un paese ricco. Siamo un paese con alcuni ricchi e moltissimi poveri». Elizabeth Paez, 25 anni, studentessa di filosofia a Santiago, chiude così il suo intervento alla riunione convocata in fretta e furia dal suo gruppo universitario dopo la notizia delle tre bombe artigianali scoppiate in tre chiese cilene alla vigilia dell’arrivo del Papa in Cile.

Michelle Bachelet, la presidente socialista uscente che sta per cedere il passo all’imprenditore di destra Sebastian Piñera alla guida del governo, ha definito le esplosioni «strane, molto strane». Sebbene alcune indiscrezioni facciano supporre che l'intelligence abbia elementi per sospettare si tratti di un’azione con regia di estrema destra per offuscare il successo d’immagine in extremis dalla Bachelet, riuscita ad ottenere una simbolica benedizione papale proprio mentre è agli sgoccioli del suo mandato, l’ipotesi più accreditata qui all’università è che si tratti di un una protesta violenta di movimenti legati invece alla mobilitazione di gruppi indigeni armati contro il governo.

Una risposta degli investigatori non c’è ancora, ma la notizia dell’esplosione ha subito riportato a galla la profonda frattura tra i movimenti radicali di sinistra che hanno grande appoggio nell’ambiente universitario e il centro sinistra che ha guidato negli ultimi governi il Paese. La discussione è sempre la stessa da anni: il modello economico adottato a Santiago e i suoi costi sociali.

Il grande problema cileno resta la forbice tra ricchi e poveri. La differenza  sociale è perpetuata dal funzionamento perverso del modello di studi universitari adottato finora. Un laureato entra nel mercato del lavoro con 30 o 40 mila dollari di debito da restituire alle banche che gli hanno erogato il prestito scolastico per accedere alle prestigiose università di Santiago. Altrettanto discriminatorio è il sistema di previdenza sociale. Il mito dei fondi pensione cileni, osannato negli anni Novanta come modello di liberismo classico da imitare, si è sgretolato per fattori demografici ed economici. Elaborato alla scuola ultraliberista statunitense dei Chicago boys, il modello dei fondi pensione si è rivelato nel tempo una trappola. L’errore consiste nella sovrastima della capacità di contribuzione: le pensioni pagata dal sistema Afp (quello dei fondi pensioni) sono state in media di 100 dollari al mese e il 50% di chi ha aderito non arriva neppure alla pensione minima costringendo lo Stato a integrarle. Da qui la necessità di intervenire con fondi pubblici che mitigassero i disastri sociali ed economici dell’esperimento. Anche perché il sistema Afp prevedeva 20 anni di contribuzione che nessuno è riuscito ad ottenere. Solo il 10% di chi ha aderito ai fondi è stato in grado, negli ultimi due decenni, di effettuare versamenti regolari dodici mesi all’anno.

Grande tema di polemica politica constante è anche quello migratorio. In Cile arrivano decine di migliaia di migranti da Haiti, Venezuela, Perù e Argentina. La congiuntura economica non felice di molti Paesi latinoamericani, che in qualche caso assume le proporzioni di crisi umanitaria, è causa della migrazione verso il Cile, chiuso tra le Ande e il Pacifico. E movimenti razzisti soffiano sul malcontento per imporre lo slogan “il Cile per i i cileni”.

Il Paese si trova in una situazione economica che, sebbene sia rosea rispetto alla gran parte del resto del continente latinoamericano, è pur sempre percepita come fiacca all’interno dei confini nazionali.

Nel 2017 il Pil è cresciuto dell’1,4%, nonostante il prezzo del rame (principale prodotto di esportazione cileno) sia schizzato in alto. Una crescita di poco più dell’uno per cento è poco per un Paese di soli 17 milioni di abitanti e con straordinarie ricchezze naturali.

Per di più si sono contratti gli investimenti. “La riattivazione degli investimenti sarà molto lenta, perché dopo quattro anni di declino quello che succede è che gli studi di ingegneria e ambientali non sono più validi” sostiene Javier Hurtado, direttore della ricerca presso la Camera di Costruzioni del Cile (CChC). Secondo le stime della Camera, l’attività del settore potrebbe variare tra 0 e 3 per cento quest’anno. Dello stesso parere il dirigente di Sociedad de Fomento Fabril, Rafael Palacios, il quale sostiene che “non si può parlare di un nuovo ciclo per l’economia cilena, dobbiamo andare verso una semplificazione normativa per ridurre l’incertezza della regolamentazione”.

Nonostante il maggiore dinamismo dell’attività mineraria (la produzione di rame è aumentata insieme al prezzo del prezioso minerale) la crescita del commercio dovrebbe accelerare marginalmente fino al 4,0% nel 2018 secondo la Camera di Commercio di Santiago (CCS), mentre nel settore agricolo si prevede una crescita del 2,7%.

Questo quadro economico ha rafforzato la posizione di Piñera, uscito vincente dal ballottaggio dello scorso dicembre, rispetto a quella delle sinistre unite nella candidatura di Alejandro Guillier, erede del modello di centrosinistra della Bachelet.

Piñera ha infatti goduto dell’effetto trainante in termini di voti del ricordo della fase economica positiva registrata durante il suo precedente mandato (2010-2013) che ha coinciso con un momento economicamente florido.

Il Cile è un Paese abituato ad avere una delle economie più dinamiche della regione e durante il governo di Piñera è cresciuto in media del 5,3% l’anno, rispetto alla media del 3,3% del primo mandato presidenziale (2006–2009) della socialista Michelle Bachelet.

Negli ultimi mesi è stato gioco facile per l’ex opposizione cilena rimproverare alla Bachelet di non essere riuscita a ridurre il livello di disoccupazione, attualmente intorno al 6,8%, pur avendo aumentato la spesa pubblica.

Ai ricchi imprenditori cileni non è poi piaciuta la riforma fiscale del 2014, voluta dal centrosinistra, che ha aumentato l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società dal 24% al 27% e ha reso, dicono, “più complicato il sistema tributario”.

A questa destra di matrice liberale, che per interessi economici e cultura di appartenenza si è facilmente raccolta attorno a Piñera, fa ombra (ma anche comodo, in termini di preziosi voti, quando si tratta di andare alle urne) una destra estrema, con simpatie militari, che non ha mai rinnegato il suo consenso verso il regime di Pinochet.

È quella che il Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa definisce “destra cavernicola”, i cui slogan inquietanti hanno favorito Piñera che, pur ultraliberista, si è ritagliato prima del ballottaggio un ruolo di moderato, apprezzato sia a destra sia a sinistra.