Nel 2020, anno decisamente unico in ogni suo aspetto, si è anche sotto il profilo economico assistito ad un fenomeno quale la deviazione massiccia del prezzo dell’oro rispetto al suo tendenziale andamento storico: infatti, ha raggiunto livelli pari a 2’070,05$ all’oncia . Ma anche il mercato azionario − in particolar modo, quello americano che riscuote maggiore interesse per gli investitori istituzionali anche se soggetto a «bolle finanziarie» − ha registrato nel caso del NASDAQ100 (che raggruppa i titoli azionari delle cento aziende non finanziarie a più elevata capitalizzazione) una crescita del 43,27% da inizio d’anno1. Nel contempo, il mercato delle criptovalute con il prezzo del Bitcoin «in testa» ha subito un altrettanto vigoroso ritorno sulla scena mondiale, raggiungendo picchi di 24’980,60$2. Da un punto di vista macroeconomico non vi possono essere dubbi sul fatto che nessun cripto-token − Bitcoin incluso − possa essere paragonato all’epitome di metallo prezioso (cioè all’oro), ma anche solo alla stessa cartamoneta o persino moneta scritturale emessa da ciascun sistema bancario. Infatti, se tali creazioni monetarie sono di provenienza e garantite da istituti bancari (soggetti ad organi specifici di sorveglianza), il Bitcoin così come le altre (ben 81162) criptovalute rappresentano un’invenzione tecnologico-computazionale di emissione privata scevra di alcun potere d’acquisto intrinseco.
Se è vero che anche la moneta scritturale nasce quale mero impulso elettronico, essa è (o dovrebbe essere) «collateralizzata» dalla capacità produttiva del Paese di riferimento (cioè dal rispettivo PIL). Al contrario, il Bitcoin trae origine ex nihilo, cioè è emesso «dal nulla» mediante la sola capacità computazionale di una rete di miner («estrattori»), e mira a divenire sempre più scambiabile anche con attivi finanziari e non (fra cui, potenzialmente, beni e servizi). Purtuttavia, la differenza fra quanto ha valore perché derivante dalla produzione reale (che concorre al PIL) e quanto serve ad attribuirle dimensione economica (fra cui la moneta in quanto numerario dell’economia) non potrebbe essere più marcata.
Senza affrontare il tema nella sua complessità (evidenziandone anche gli aspetti di potenziale interesse generalizzato quali la tecnologia Blockchain che vi sta sotto), si deve però far rilevare quanto entrambi i trend, cioè quello legato all’oro così come quello afferente al Bitcoin, abbiano un comune denominatore: la ricerca (perlopiù, da parte di investitori istituzionali quali fondi) di rendimento economico. In altre parole, il «ritorno in scena» del Bitcoin rispetto al poderoso calo verificatosi per almeno tutto il 2018 non è imputabile a qualche forma di rivalutazione dell’utilità e/o delle prospettive di sviluppo dello stesso, bensì ad un’enorme massa di liquidità a livello bancario, finanziario (cioè più lato sensu rispetto ai soggetti delle sole «banche») ma anche di shadow banking (cioè di intermediari non finanziari, ma dalle prestazioni di servizi simili), che abbisogna di essere investita nonostante (o, forse, per via) di tassi d’interesse ai minimi storici. Se in passato tale liquidità in eccesso è stata convogliata anche sul mercato immobiliare, quest’ultimo è per il momento meno «attenzionato» rispetto a quello finanziario, criptovalute incluse, in quanto certamente meno dinamico per trend di prezzo, già solo per il fatto di riferirsi ad asset immobili.
Previsioni? Difficile e poco opportuno farne ogniqualvolta vi siano interessate forze speculative capaci di capovolgerne l’andamento a piacimento. Se esse sono presenti in ciascun ambito economico, lo sono ancor più in uno sviluppatosi recentemente (2009) caratterizzantesi già solo per l’emissione privata di tali strumenti finanziari per un elevato livello di deregolamentazione. È, comunque, plausibile che il Bitcoin faccia a partire dai prossimi mesi gradualmente ritorno a quotazioni più in linea con il trend degli anni passati dopo avere forse messo all’incasso un ulteriore incremento: la rapidità, con cui ciò potrebbe avvenire, dipenderà tuttavia dalle prospettive sul tavolo di un settore finanziario (nella sua accezione più ampia) sempre più speculativo per modello di business, ma anche perché − diciamolo pure − scoraggiato da investimenti in titoli e strumenti finanziari da rendimenti bassi e/o legati agli attuali tassi di interesse. Che l’innovazione tecnologico-monetaria sia necessaria a garantirne attualità − nei secoli, si è passati dai mezzi di pagamento equiparabili a «merci» ai metalli preziosi, fino ai titoli (fra cui: la cartamoneta) e moneta sempre più digitale/scritturale − è evidente. È, tuttavia, necessario interrogarsi sull’opportunità di deregolamentare ulteriormente un settore come quello dell’emissione monetaria, che si è concesso già «stravizi» prima con la crisi economico-finanziaria globale del 2007-8 a fronte della concessione a cuor leggero di mutui a soggetti subprime e poi con i salvataggi dell’economia globale mediante l’espansione della massa monetaria (che è lo stesso strumento utilizzato ora).
Note
1. Elaborazione propria di https://goldprice.org/de/gold-price-history.html.
2. Dati del 26 dicembre 2020 (https://coinmarketcap.com/it/).
3. Elaborazione propria di https://get-historical-data.com/products/?product=btcusd&interval=1d.