In Italia Giorgia Meloni prende la guida della Nazione, nel suo vocabolario preferita a Paese, con un Governo pieno di vecchie cariatidi e privo di quelle personalità di spicco da lei vanamente inseguite. La novità finora è ristretta all’ampollosa definizione di taluni Ministeri. Dopo dieci anni di opposizione inossidabile, i Fratelli d’Italia, di cui lei rimane l’unica sorella, oltre che la capa indiscussa, si mostreranno all’altezza? Meloni è consapevole che la sua crescita impetuosa – dall’1,9% delle prime elezioni (2013) al 26% delle ultime (25 settembre scorso) – potrebbe polverizzarsi: Renzi e il M5S insegnano. Intorno a lei già mugugnano i tanti fratellastri: in Italia, più che altrove, tutto si può perdonare, tranne il successo.
Ci sono i due grandi sconfitti della sua coalizione, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, e ci sono i numerosi compagni di strada decisi a non essere accantonati. Ai loro occhi Meloni è ingrata e soprattutto donna, di un tipo, per di più, pericolosissimo: di quelle che «portano i pantaloni», che sono state allevate e salvate dentro un emisfero femminile, che dagli uomini di casa hanno solo ricevuto sberle, che pretendono di essere chiamate «il presidente del Consiglio» nel convincimento di voler battere i «maschietti» proprio nel loro gioco. Berlusconi si vanta di averla nominata ministra nel 2008, Salvini di averne difeso la presenza nell’alleanza di centrodestra quando era dominata da re Silvio. Entrambi, però, lamentano di aver incassato solo schiaffoni nella composizione del nuovo Governo. Berlusconi non ha avuto né il sospirato dicastero della Giustizia, i suoi eterni guai in tribunale lo espongono a una nuova espulsione, né le deleghe per giornali e televisioni, che rappresentano la polpa di parecchie sue intraprese. Salvini ha dovuto rinunciare agli Interni, al controllo degli smisurati fondi europei, alla riforma delle pensioni. Per di più ignora se gli verrà lasciata la competenza sui porti, fondamentali nella sua ottica di contrasto all’emigrazione. Ecco perché ha provato a condizionare le mosse iniziali dell’irrefrenabile Meloni convocando una sorta di gabinetto di guerra in tempo di pace: c’erano tutti i ministri della Lega, compreso quello dell’Economia, Giorgetti in odore d’eresia, e c’era anche il comandante della Guardia di finanza. Malgrado simile dispiegamento, è sembrata la riedizione padana di un famosissimo detto napoletano: «Facimm ammuina» (facciamo confusione).
Giorgia Meloni non se n’è manco curata. Mostra di voler procedere in autonomia, di non tenere in grande considerazione le due ruote di scorta, al di là di un ossequio formale. Le prime mosse hanno denotato un realismo politico così radicale da contraddire gran parte del suo passato. Pur avendo aumentato i consensi accogliendo i nipotini irredimibili di Mussolini, i nostalgici di un passato che non torna, i no-vax, i no-pass, i no-euro, gli antagonisti della destra sociale, nella quale ha militato e si è formata, Meloni ha già pronunciato una condanna del fascismo; ha difeso l’ebraismo; ha nominato ministro della Salute un luminare della medicina favorevolissimo ai vaccini e alle altre misure di contenimento del Covid; ha indicato nel personale pantheon femminile due nomi sacri della Sinistra, Nilde Jotti e Tina Anselmi; ha dichiarato che con i conti, e soprattutto con il debito, non si scherza: quindi adesione totale e convinta all’Europa e all’atlantismo. Dalla quale discende la netta difesa dell’Ucraina e la conseguente condanna della Russia. Da tramortire in un colpo solo Berlusconi e Salvini, ancora avviluppati a Putin e ai suoi sporchi affari. Berlusconi se n’è fatto portavoce alla vigilia del varo del nuovo Governo, con uno scandalo planetario e immediato dietrofront. E dato che nessuno dubita della sua lucidità, ne consegue che non abbia potuto esimersi. Così si torna ai report americani, al tempo di Hillary Clinton segretaria di Stato (2008-2012), che parlavano di cospicui guadagni berlusconiani con i traffici del gas russo: una concessione di Putin avvenuta, secondo il diretto interessato, per ricompensarlo del presunto accordo di Pratica di mare (2002) fra lo stesso Putin e l’allora presidente Bush. Una colossale impostura: dietro i sorrisi e le strette di mano incominciò, viceversa, il distacco dello zar dall’Occidente e dai suoi valori.
Salvini sta messo addirittura peggio: non ha ancora disdettato il patto che da anni unisce la Lega al partito di Putin, Russia Unita; sono stati scoperti gli intrallazzi economici dei suoi uomini con oligarchi di Mosca; l’ambasciata russa di Roma era pronta a pagare il biglietto aereo per mandarlo a Mosca, dove Salvini si diceva sicuro di poter intavolare una trattativa fra Putin e Zelensky. Eppure la sorte di Meloni, e il giudizio sul suo operato, non si giocheranno sui grandi temi internazionali ed economici, bensì sui diritti, un campo in cui Berlusconi e Salvini saranno semplici spettatori. Aborto, unioni civili, rispetto delle minoranze e dei generi, famiglie: se dovessimo dare credito ai programmi, bisognerebbe mettere in preventivo restrizioni e chiusure. Tuttavia, nella cerimonia di giuramento dei nuovi ministri, si è assistito a un’impressionante parata di conviventi, compagni, compagne, figli nati fuori dal matrimonio e figli dello stesso padre, ma di madri diverse. Financo Meloni ha esibito una bambina e un affascinante partner, con il quale non si è finora voluta sposare.