La storica sentenza della Corte suprema che cancella il diritto costituzionale all’aborto – non vietando l’interruzione di gravidanza, bensì rinviando la questione alle legislazioni statali o al Congresso – dà nuovo sostegno all’idea che l’America è una nazione lacerata, dilaniata da una sorta di guerra civile endemica, a bassa intensità ma a suo modo distruttiva. Bisogna incrociarla con un’altra crisi costituzionale, l’inchiesta parlamentare sugli eventi del 6 gennaio 2021, quando Donald Trump fomentò l’assalto al Congresso da parte di bande di suoi fan violenti, e al contempo cercò di ribaltare con metodi illegali il verdetto delle urne. In ambedue i casi si tratta di crisi «costituzionali» per più ragioni.
La sentenza sull’aborto spinge mezza America a ripudiare la legittimità della Corte suprema; in ogni caso accentua la politicizzazione di questo organo (anche se non è una novità assoluta). L’impossibilità di legiferare nel Congresso federale spinge i 50 Stati a risolvere la questione ciascuno per sé. E così sempre di più abbiamo due Americhe. Già divise su tutto, ora si distingueranno perché in una metà circa degli Stati l’aborto diventa regolato da norme così restrittive da risultare quasi impossibile; l’altra metà per reazione lo liberalizza ulteriormente e offre aiuti materiali alle donne che vogliano viaggiare da uno Stato all’altro per potersi permettere un’interruzione di gravidanza.
La spaccatura è speculare per l’inchiesta del Congresso sul 6 gennaio 2021. I democratici pensano di avere l’ennesima «pistola fumante» che distruggerà per sempre Trump e potrebbe perfino infliggergli condanne penali; l’opinione pubblica repubblicana sbadiglia di fronte a un procedimento che giudica fazioso alla pari dei precedenti tentativi d’impeachment. Il consenso sulle regole del gioco scende ancora più in basso. È una vicenda che rafforza l’analisi del campo anti-occidentale. Xi Jinping e Vladimir Putin convergono nella loro descrizione della democrazia americana come di un sistema malato, moribondo, cassa di risonanza di una società civile sull’orlo del caos, incapace di produrre decisioni forti e governabilità stabile. Ironia della sorte: fino a pochi anni fa in Cina si potevano operare degli aborti di Stato imposti forzosamente, con metodi polizieschi, su quelle donne che non applicavano la legge del figlio unico. Poi: contrordine compagni, il crollo della natalità ha spinto Xi Jinping nella direzione opposta e ora il regime di Pechino difende a modo suo «il diritto alla vita» perché cerca di incentivare la natalità, senza riuscirci davvero. Ma nulla in Cina o in Russia assomiglia allo «scontro di civiltà» che si consuma tra le due Americhe, quella pro-choice (favorevole al diritto di scelta delle donne, se desiderano interrompere la gravidanza) e quella pro-life che considera un infanticidio eliminare un feto.
Putin e Xi possono gongolare nella previsione che l’aborto, insieme con l’inflazione oppure il diritto alle armi, monopolizzano l’attenzione degli americani e rendono più precario in prospettiva il consenso bipartisan sull’Ucraina. Né più né meno che una guerra di religione agita l’America dagli anni Ottanta, e stavolta vede prevalere la destra religiosa. Il clima rovente attorno alla sentenza della Corte suprema abbandona il campo alle posizioni più estreme da ambo le parti. Mentre nella società civile americana ci sarebbe spazio per le sfumature. La questione del «diritto alla vita del feto» spacca in due gli Stati Uniti ma attraversa anche le coscienze più progressiste. Un esempio di sincera incertezza lo dà una intellettuale di sinistra, laica e femminista, Katie Roiphe che dirige un programma di giornalismo alla New York University. Roiphe ricorda un saggio del romanziere David Foster Wallace sul tema: «L’autorità e il suo uso in America». Lì si è imbattuta in questo passaggio: «L’unica posizione coerente consiste nell’essere sia pro-life sia pro-choice cioè difendere sia il diritto alla vita del feto, sia la libertà di scelta della donna. C’è una saggezza basilare e indiscutibile in questo principio: di fronte al dubbio insolubile se qualcosa è un essere umano oppure no, è meglio non ucciderlo. Perciò ogni americano ragionevole deve essere pro-life. Al tempo stesso abbiamo questo principio: di fronte al dubbio insolubile su qualcosa, non ho il diritto morale o legale di dire a un’altra persona ciò che deve fare. È parte del patto democratico che noi americani abbiamo stretto fra noi. E questo mi sembra richieda a ogni americano ragionevole di essere pro-choice».
Roiphe si sofferma su questa possibilità di capire e condividere le idee dell’altra parte, di prenderle sul serio, di esaminarle fino in fondo, per poi trarne le proprie conclusioni senza perciò nutrire disprezzo o sdegno o furia verso chi raggiunge conclusioni diverse. «Questo – osserva la docente – sembra bizzarro e stravagante nel clima attuale. Possiamo contemplare la possibilità che qualcuno dall’altro lato, qualcuno che non la pensa come noi, sia in buona fede e non pazzo o stupido o malvagio?». Roiphe da femminista scopre le sue carte: «Sono sempre stata a favore dell’aborto, ma mi chiedo come definire un feto. Non riesco a pensare un feto di 14 settimane come un grumo di cellule. Avendo visto, in un’ecografia, battere il cuore di un feto di otto settimane, sento una simpatia segreta verso l’interpretazione che quello è vita».
Un’altra celebre «femminista critica», la scrittrice Caitlin Flanagan, è sulla stessa lunghezza d’onda: «La verità è che gli argomenti a favore di ciascuna tesi sono forti, e se tu non lo riconosci allora non stai affrontando seriamente la questione dell’aborto». Le posizioni di Roiphe e Flanagan sono minoritarie. Roiphe commenta con amarezza: «Mi interrogo su questo approccio filosofico in generale. Sarebbe nel nostro interesse prendere seriamente in considerazione gli argomenti più forti della parte avversa? Che sconvolgimento ne risulterebbe nel nostro paesaggio politico? Forse Twitter fallirebbe all’istante? L’identità politica appassionata che molti di noi esibiscono è basata sulla contrapposizione noi contro loro, i sani di mente contro i pazzi, noi speranza dell’umanità contro loro spazzatura della terra. C’è un’oscura lotta faziosa per impadronirsi della gloriosa, ambigua, pericolosa nozione di libertà».
Nel frattempo tutti i regimi autoritari del pianeta si godono lo spettacolo di un’America che spende le sue energie a combattere contro sé stessa. Qualcuno arriva a ipotizzare scenari di secessione; oppure riforme radicali che cambino, per esempio, la composizione della Corte suprema e del Senato. Sono ipotesi assai improbabili. In realtà di secessione non c’è bisogno visto che nei fatti le due Americhe si stanno creando dei sistemi giuridici sempre più divaricati e quindi possono convivere come coniugi «separati in casa». Si accentuerà la tendenza degli americani a scegliersi come luogo di residenza un posto consono ai propri valori. In quanto a cambiare la Corte per rendere la democrazia più rappresentativa non ci riuscì neppure Franklin Roosevelt quando aveva maggioranze oceaniche nel paese, e non è il caso di Biden.