Quella sottile linea rossa

Russi e americani restano in costante contatto per evitare che un incidente li trascini in una guerra dagli esiti disastrosi
/ 20.03.2023
di Lucio Caracciolo

Dal 1945 a oggi l’America si è imposta una «linea rossa»: mai rischiare la guerra nucleare con la Russia (prima URSS). La ragione è che molto probabilmente segnerebbe la fine dell’America. Il fatto che questa fine trascinerebbe con sé quella della Russia, e probabilmente del resto del mondo, contribuisce a preservare questo principio. Maturato e praticato nelle eleganti bipartizioni della Guerra fredda – Est contro Ovest, Male contro Bene, Libertà contro Dittatura – questa scelta è stata prevalente in tutte le amministrazioni e nei laboratori strategici di Washington, con rare eccezioni, comunque mai capaci di sovvertire tanto principio. Insomma, gli Stranamore ci sono sempre stati e ve ne saranno ancora, ma appunto «strani». Fuori norma. E resi finora innocui.

Questa lezione illumina l’atteggiamento dell’amministrazione Biden nella guerra di Ucraina. Fin dal 24 febbraio, il presidente e le voci più autorevoli della sua amministrazione hanno detto, ripetuto e enfatizzato che gli Stati Uniti non sono in guerra contro la Federazione Russa, né hanno intenzione di combatterla. Certo, in privato e talvolta in pubblico alcuni esponenti più avventurosi, imbevuti di spirito neoconservatore – ad esempio il segretario di Stato Antony Blinken e soprattutto la sua vice Victoria Nuland – hanno spiegato che scopo non secondario dello scontro fra l’Ucraina sostenuta indirettamente dalla NATO o meglio da parte di essa e la Russia era di indebolire, se non «dissanguare», l’impero di Putin. E non c’è dubbio che questo obiettivo sia stato in parte raggiunto, anche se i conti andranno fatti a guerra sospesa. Resta che a «dissanguare» sul campo i russi sono stati i proxies ucraini, che per questo hanno pagato e continuano a pagare un tributo di sangue estremo.

Questa linea rossa è ben nota a Putin. Il quale la condivide, a parti rovesciate: mai scontro diretto con gli USA. Nel suo calcolo tattico, il colpo di Stato con invasione dell’Ucraina era possibile perché il Cremlino sapeva che alla Casa Bianca nessuno aveva voglia di morire per Kiev. Se solo avesse avuto sentore del rischio di scontro nucleare diretto con l’America, non avrebbe azzardato l’«operazione militare speciale». In uno dei suoi frequenti slittamenti semantici, non aveva forse lo stesso Biden stabilito, poco prima dell’attacco all’Ucraina, che una «modesta incursione» russa sarebbe stata tollerabile?

Più la guerra prosegue, più le probabilità di uno scontro accidentale fra Stati Uniti (più NATO) e Russia tuttavia aumentano. Come tutte le operazioni Blitz mal considerate per eccesso di fiducia in sé stessi o per sottovalutazione delle forze altrui, anche quella di Putin si è impantanata e probabilmente sfocerà in una mezza sconfitta spacciata per mezza vittoria. Ma non è affatto scontato che la sospensione delle ostilità, oggi attivamente cercata da tutte le parti in causa dietro la cortina della retorica, sia davvero dietro l’angolo.

In ogni caso, è interessante come per fedeltà alla «linea rossa» reciproca russi e americani restino in costante contatto per evitare che un incidente li trascini semiautomaticamente in guerra. L’episodio del drone Reaper americano caduto nel Mar Nero perché mandato in tilt da due caccia russi è solo l’esempio più macroscopico della cogestione dei «contatti» critici fra Forze armate russe e americane o NATO. Poche ore dopo l’evento il Pentagono, consultatosi con Mosca, ha deplorato l’evento con toni tutto sommato moderati, invitando i russi a comportarsi in modo più «professionale». E i russi non hanno esagerato nelle accuse agli americani di agire in modo «provocatorio» a ridosso delle frontiere di Mosca.

Le aree più pericolose sono semmai quelle baltiche, specie in prossimità dell’exclave russa di Kaliningrad (Königsberg), incastonata fra Polonia e Lituania. Territorio minimo ma strategico e armato fino ai denti, con missili capaci di colpire in profondità i Paesi NATO. Qui gli incidenti aeronavali vengono sfiorati di frequente. Qualche volta accadono e non si annunciano per evitare di incendiare lo scontro.

Washington ha comunque stabilito che non intende partecipare a operazioni che puntino a frammentare la Federazione Russa. Polacchi, baltici, persino britannici – oltre naturalmente agli ucraini – evocano questa possibilità come esito auspicabile del conflitto, non sappiamo quanto convintamente. Farla finita una volta per tutte con la minaccia russa parrebbe obiettivo allettante anche per gli americani. Non è così. Per tre motivi: nessuno sa che fine farebbero le seimila testate atomiche russe in caso di spartizione certo non pacifica dello spazio moscovita; la Cina potrebbe profittarne per mettere le mani sulle ricchezze della Siberia e dominare da sola l’Asia centrale; se non vi fosse più una minaccia strategica a est di Varsavia sarebbe molto difficile per Washington spiegare a sé stessa a che cosa serva la NATO. In guerra le apparenze talvolta ingannano. L’importante è non restare prigionieri della propria retorica.