Quella sintonia con l’italiano medio

Berlusconi condivideva con la maggioranza degli elettori la passione per il calcio, le donne e la sfiducia verso la politica
/ 19.06.2023
di Aldo Cazzullo

Dai servizi sociali ai funerali di Stato, dalla condanna per frode fiscale al lutto nazionale, dalla decadenza da senatore alla chiusura del Parlamento per sette giorni, cosa mai accaduta dai tempi di Cavour. A giudicare dal modo in cui l’Italia gli ha detto addio, la guerra della memoria l’ha vinta Silvio Berlusconi (nella foto). In realtà la morte non è mai il momento giusto per giudicare un personaggio pubblico. Qualsiasi critica appare un sacrilegio. Ma un personaggio pubblico, soprattutto se destinato a passare alla storia, può e spesso deve essere criticato. Resta il fatto che la commozione popolare è stata vasta, in particolare tra le generazioni vissute al tempo di Berlusconi; mentre per i ventenni il Cavaliere era come per noi cinquantenni Andreotti, un personaggio di un’altra epoca.

Com’è noto, Berlusconi ha fondato prima la tv privata, poi un partito che per decenni ha dominato la politica italiana. Ma questo è stato possibile a causa della sintonia che ha saputo creare con l’italiano medio. Una sintonia tutt’altro che scontata. Era milanese e prese i voti del sud. Era ricchissimo ed ebbe il consenso dei poveri. Una volta gli chiesero cosa se ne facesse di sette ville in Sardegna. Rispose: «Ho cinque figli, credo che l’ambizione di ogni padre italiano sia di lasciare a ogni figlio una casa a Milano e una al mare». Come se residenze tra le più belle del Mediterraneo valessero un bilocale a Borghetto Santo Spirito o a Milano Marittima. Eppure l’italiano medio gli credette; e non perché – come recita una delle sue massime più celebri – fosse come un ragazzino di dodici anni che a scuola non era neppure nei primi banchi. Gli credette perché in Berlusconi ritrovava cose che sentiva proprie: la diffidenza verso la sinistra, lo Stato, il fisco, la magistratura, i partiti. E l’establishment, di cui Berlusconi, nonostante la sua ricchezza e il suo successo, non faceva parte, almeno all’inizio. Qualcuno ha fatto notare che i massimi interessi del Cavaliere coincidevano con quelli della maggioranza degli italiani: il calcio e le donne. Lui stesso raccontava che il più bel complimento della sua vita gliel’avesse fatto un tifoso milanista, mettendo insieme entrambe le cose: «Silvio, sei una gran bella figa!». Però la spiegazione del suo successo non è ovviamente tutta qui. Con la maggioranza degli italiani, Berlusconi ha condiviso la profonda sfiducia verso la politica. Verso i Governi, qualunque fossero: «Altri si disperano quando ci sono le crisi, per me è il periodo in cui sono più libero». Nello stesso tempo, degli italiani Berlusconi ha rappresentato anche l’irrequietezza, l’energia, l’insofferenza per le regole – «la sinistra sa parlare solo di quelle» – la capacità di trasformarsi in imprenditori.

Altri leader – ovviamente Mussolini, ma non soltanto lui – volevano cambiare gli italiani. A Berlusconi gli italiani piacevano così come sono. Li ha assecondati, invitando a rivendicare in pubblico quel che con i democristiani si faceva di nascosto in privato; e assecondandoli li ha cambiati più di quanto abbia fatto in vent’anni il regime, quello vero. La sinistra, come d’abitudine, non ci capì nulla. Fin dal duello tv del 1994, in cui il leader del PDS Achille Occhetto tirò fuori alcune foto de «Il Giornale» di cui pochi si erano accorti («Io non vado in barca con i mafiosi!») e lui sorrise: «Beato lei che ha tempo di andare in barca, io ho troppo da lavorare!». Ovviamente Berlusconi possedeva una barca molto più bella di quella di Occhetto; ma non si candidava a leader della classe operaia.

Non si era potuto candidare a Milano per il veto di Bossi, ed era «sceso in campo» nel collegio di Roma centro. La sinistra gli contrappose uno stimato economista, Luigi Spaventa. Lui disse: «Cosa vuole questo Spaventa? Prima vinca due Coppe dei Campioni, poi si confronti con me!». Un’argomentazione bizzarra. Eppure Berlusconi vinse il collegio, le elezioni e pure la sua terza Champions, 4-0 al Barcellona, proprio la sera in cui otteneva la fiducia in Senato. Gli mancavano tre seggi; si trovarono tre democristiani disposti a uscire dall’aula. Tempo dopo un senatore, Sergio De Gregorio, ammise di aver ricevuto tre milioni di euro per passare dallo schieramento con cui era stato eletto, quello di Prodi, al centrodestra.

Oggi tutto questo appare, se non dimenticato, in secondo piano. Questi giorni, più che di riflessione, sono stati di commozione. Tra i moltissimi necrologi arrivati al «Corriere della Sera» in morte del Cavaliere, ce n’è uno che mi ha colpito in modo particolare. Era firmato da Carla Dall’Oglio, la prima moglie di Berlusconi. A lungo, in anni ormai lontani, un’intervista a Carla Dall’Oglio è stato il sogno dei giornalisti italiani: perché lei non parlava mai. Si diceva che vivesse a Londra, non esattamente di stenti, e che gli accordi post-matrimoniali escludessero appunto le interviste. Ora si è fatta viva con poche, bellissime parole, rivolte al suo ex marito: «Sei stato un grande uomo e uno straordinario papà. Ricorderò la bellezza degli anni trascorsi insieme». Così, senza un’ombra di rancore, persino legittimo in una donna che era stata abbandonata. Non voglio fare confronti. Non si parla delle proprie donne, figurarsi di quelle degli altri. Il quasi-matrimonio con la deputata Marta Fascina, con il quasi-suocero che porta all’altare la quasi-moglie, non è stata oggettivamente una delle pagine migliori del berlusconismo. Altre storie. In ogni caso queste parole di Carla Dall’Oglio, dopo tanti silenzi, sono davvero oro.