Quella pioggia di miliardi dagli Usa

Kamala Harris in Centroamerica chiarisce le intenzioni della nuova Amministrazione americana: «Non venite, sarete respinti». Gli Stati uniti puntano sugli aiuti finanziari ai Paesi di origine dei migranti ma la strategia fa acqua
/ 14.06.2021
di Angela Nocioni

Non venite negli Stati uniti illegalmente, se verrete sappiate che sarete rimandati indietro. Questo il senso del messaggio che la vicepresidente degli Stati uniti, Kamala Harris, ha portato di persona nei Paesi centroamericani da cui proviene la grande massa di migranti in attesa di varcare la frontiera meridionale degli Usa. Che entrare legalmente sia impossibile per la quasi totalità delle persone che vorrebbe farlo è un dato di fatto evidente ma inespresso. Il tour di Harris è iniziato in Guatemala e proseguito in Messico, i grandi serbatoi di vite umane speranzose che premono al confine sud del grande sogno americano. Infranto da poche esplicite parole: restate dove siete perché altrimenti vi rimandiamo indietro.

Un messaggio talmente chiaro nella sua durezza che i collaboratori della vicepresidente, temendo un boomerang, si stanno facendo in quattro per distribuire alla stampa mille dettagli degli altri obiettivi del viaggio: distribuire aiuti al Centroamerica per circa 4 miliardi nei prossimi quattro anni (ma il Congresso non ha ancora approvato la prima tranche di 861 milioni), fornire finanziamenti per sviluppare il know how dei potenziali migranti, combattere la corruzione nei Paesi d’origine. Sforzi vani perché l’obiettivo politico del viaggio appare chiarissimo: Harris si è data la pena di chiarire le intenzioni della nuova Amministrazione americana per quanto riguarda la politica migratoria. Intenzioni che hanno tra l’altro suscitato le critiche dell’ala a sinistra del Partito democratico. Kamala Harris intende spendere questa moneta in politica interna. Per questo non ha lasciato che fossero solo le frontiere chiuse a dissuadere i migranti, ma è voluta andare di persona, consegnando ai media le sue ufficiali dichiarazioni di inflessibilità. Così da poterne ricavare consenso dentro i confini americani. Perché i duecentomila nuovi ingressi stimati da gennaio 2021 sembrano troppi a molti statunitensi e quindi l’uso di toni perentori potrebbe avere un ritorno in termini di popolarità.

Lo strumento che l’Amministrazione Biden dice di aver intenzione di usare per frenare l’ondata di ingressi da una regione del mondo devastata dal combinato di povertà, crisi politico-economica e violenze – il tutto esasperato dalla pandemia da Covid-19 – è lo stesso usato da Biden quando era vicepresidente di Barack Obama. Una pioggia di miliardi sulle regioni da cui i migranti scappano, nella speranza che quest’ultimi siano dissuasi dall’idea di fuggire. Recentemente, parlando al Congresso, il presidente Biden ha definito tutto quel denaro verso sud come un personale successo: «Da vicepresidente mi sono impegnato essenzialmente nel dare gli aiuti necessari a rimuovere le cause fondamentali delle emigrazioni. Aiutare la gente a rimanere dov’è perché non si senta costretta a emigrare. Il nostro piano ha funzionato». L’ultimo punto è discutibile. Negli ultimi due anni l’ondata migratoria da sud verso nord s’è alzata. I soldi arrivati ai Paesi di partenza dei migranti non hanno frenato le nuove partenze e non si sa con chiarezza nemmeno come siano stati spesi.

In Guatemala, prima tappa del viaggio di Harris, negli ultimi dieci anni è arrivato dagli Stati uniti oltre un miliardo di dollari di sostegni. Purtroppo però gli indici di povertà sono cresciuti, la corruzione è alle stelle e il Paese è quello che, nelle statistiche, risulta spedire negli Usa la maggior quantità di minori rispetto a qualsiasi altro Paese del mondo. Segno che qualcosa nella distribuzione di fondi non ha funzionato. Questo è quel che più intimorisce i collaboratori di Harris: coniugare l’immagine della vicepresidente a una massiccia distribuzione di soldi pubblici statunitensi a Governi che contemporaneamente appaiono sui notiziari come in mano a personaggi accusati di vari reati (l’attuale presidente del Salvador di repressione, quello dell’Honduras di narcotraffico, quello del Guatemala di perseguitare a livello giudiziario chi lotta contro la corruzione interna) potrebbe risultare una trappola. Harris pare però volersi ritagliare uno spazio personale nel tema caldissimo dell’immigrazione e si è quindi lanciata in un tour internazionale delicato come suo debutto in politica estera.

I critici dell’invio di aiuti ai Paesi di origine dei migranti usano come argomentazione principale l’impossibilità di impedire che la corruzione locale si mangi tutti i soldi inviati, ma anche l’impossibilità di impedire che siano le imprese americane incaricate di far fruttare quel denaro a beneficiare, alla fine, della gran parte degli aiuti spendendoli in salari, spese e profitti prima ancora di aver garantito qualche reale servizio ai supposti beneficiari designati. Secondo dati dell’Usaid, l’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale, l’80 per cento dei soldi stanziati negli ultimi cinque anni dagli Stati uniti per progetti di sviluppo in Centroamerica sono stati messi in mano a intermediari statunitensi, ossia imprese che hanno le caratteristiche (uffici, contabilità, amministrazione ecc.) in grado di offrire le garanzie necessarie all’utilizzo di grandi quantità di denaro pubblico. Imprese che lavorano con l’obiettivo legittimo di generare un profitto per loro stesse e che sono grate beneficiarie degli aiuti statunitensi al Centroamerica.