Un fenomeno marginale, accettabile per Consiglio federale e parlamento; un fatto inammissibile per i contrari all’occultamento del viso. Il velo che nasconde integralmente il volto delle donne è da tempo motivo di discordia tra due diverse correnti di pensiero: quella che le costringe a nascondere la faccia e quella invece che difende la parità dei diritti, in una società occidentale aperta e libera. Anche in Svizzera popolo e cantoni potrebbero vietare il velo, approvando il 7 marzo prossimo l’iniziativa popolare «Sì al divieto di dissimulare il proprio viso», che Berna propone invece di respingere. Infatti, stando all’ultimo sondaggio di Tamedia, questo progetto verrebbe accolto da una chiara maggioranza, ossia dal 65% dei votanti (il 70% in Ticino). I consensi aumentano anche nelle fila del PS e dei Verdi. Comunque vadano le cose, il divieto o meno del burqa e del niqab sul territorio della Confederazione non è destinato a stravolgere le nostre condizioni di vita, anche se per gli avversari l’approvazione dell’iniziativa è un «passo verso la cultura del proibizionismo». Interrogata su un eventuale danno d’immagine per la Svizzera se il progetto fosse accolto, la responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia, Karin Keller-Sutter, non ha timori: «Ciò non cambierebbe né i destini del nostro Paese, né quelli del mondo».
Il tema in discussione non è nuovo: l’iniziativa «anti-burqa» è stata lanciata dal comitato di Egerkingen (SO), presieduto dal consigliere nazionale Walter Wobmann (UDC/SO), e da esponenti di diverse forze politiche come UDC, Giovani UDC, PLR e Unione democratica federale (Udf). Il progetto chiede sostanzialmente di vietare la dissimulazione del viso nello spazio pubblico. Per il comitato – all’origine anche dell’iniziativa sul divieto dei minareti, accolta da popolo e cantoni nel 2009 con il 57,5% di sì – il velo integrale è un simbolo dell’islam fondamentalista che non ha ragione di sussistere in Svizzera ed è l’emblema dell’oppressione delle donne musulmane.
Secondo la consigliera nazionale Barbara Steinemann (UDC/ZH), quest’ultime ne soffrono, dato che il velo che copre l’intero corpo le priva di ogni individualità e ostacola la loro libertà di movimento. Il testo dell’iniziativa, oltre al velo integrale, mira anche a proibire in modo esplicito la dissimulazione del viso da parte di teppisti e hooligans. Walter Wobmann ricorda che «la nostra cultura vuole che si mostri il viso nello spazio pubblico. Nasconderlo è contrario all’ordine sociale». Sempre secondo Wobmann, l’iniziativa non è minimamente in conflitto con la libertà religiosa. Del resto, persino la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), in una sentenza del luglio 2014, ha stabilito che la legge francese che vieta di portare il burqa e il niqab in pubblico, in vigore dal 2010, è compatibile con la Convenzione dei diritti umani e non viola la libertà di religione o di opinione. Per la CEDU, il divieto di portare il velo non si basa esplicitamente sulla connotazione religiosa dei vestiti, ma sul solo fatto che nasconde il viso.
La Confederazione potrebbe dunque presto unirsi agli altri cinque Paesi europei – Francia, Belgio, Austria, Bulgaria e Danimarca – che hanno vietato l’uso del burqa e del niqab. In Svizzera, solo due cantoni hanno adottato disposizioni legislative per vietare il velo integrale in pubblico. Si tratta del Ticino e di San Gallo. Nel nostro cantone, una legge vieta di dissimulare il viso in pubblico dal 1° luglio 2016. È frutto di un’iniziativa popolare accolta nel settembre del 2013 dal 65,4% dei votanti. Prende di mira due categorie di persone: da un canto, i manifestanti che si coprono il viso e, dall’altro, le persone che portano un velo per motivi di appartenenza religiosa. L’iniziativa federale riprende in buona parte il tenore dell’iniziativa cantonale ticinese sul divieto di burqa e niqab. Nel novembre 2014, il Consiglio federale ha giudicato la modifica costituzionale ticinese inopportuna, sebbene conforme al diritto federale.
Nel cantone di San Gallo, nel settembre del 2018, il popolo ha confermato con oltre il 66% dei voti la modifica della legge sulle contravvenzioni, modifica che il parlamento cantonale aveva approvato con una maggioranza risicata (57 voti contro 55). Questo testo, entrato in vigore nel 2019, prevede di chiarire di caso in caso se una persona che dissimula il viso minaccia o mette in pericolo la sicurezza pubblica. Infine, il popolo ginevrino ha votato nel febbraio 2019 una legge sulla laicità dello Stato. Essa non sancisce il divieto generale di dissimulare il viso nello spazio pubblico, ma lascia al Consiglio di Stato la facoltà di limitare o vietare di portare segni religiosi ostentatori, onde prevenire disordini gravi dell’ordine pubblico. Inoltre, nelle amministrazioni pubbliche il volto dev’essere visibile.
Quest’ultimo aspetto è in linea con il controprogetto indiretto che Consiglio federale e Parlamento hanno adottato per contrastare l’iniziativa anti-burqa del comitato di Egerkingen, nella consapevolezza – affermano – che la dissimulazione del viso possa talvolta creare problemi concreti. Per il Governo, questa legge federale è intesa a risolvere i problemi in modo mirato: ogni persona è tenuta a mostrare il proprio viso al rappresentante di un’autorità ai fini dell’identificazione, come per esempio negli uffici amministrativi e nei trasporti pubblici. Chi si rifiuta è punito con una multa. Questo controprogetto entrerà in vigore soltanto in caso di bocciatura dell’iniziativa e sempre che non sia contestato da un referendum.
A ogni modo, i cantoni restano liberi di spingersi oltre il controprogetto, dato che, dal punto di vista istituzionale, spetta a loro la competenza di regolamentare l’utilizzo dello spazio pubblico. I cantoni possono emanare disposizioni specifiche se ritengono necessario intervenire. Come detto, Ticino e San Gallo hanno già legiferato sul velo integrale. Altri 15 cantoni (GE, VD, FR, NE, JU, BE, LU, SO, BS, AG, ZH, ZG, SH, TG, AR) hanno introdotto disposizioni sulla dissimulazione del viso in occasione di manifestazioni o di avvenimenti sportivi. Di fronte a tante norme che creano incertezza, probabilmente una sola direttiva federale sarebbe più opportuna.
Il Consiglio federale ritiene invece che si debba dare la precedenza a un approccio federalista, poiché i cantoni conoscono meglio le attese della popolazione. Per l’Esecutivo, l’iniziativa è un’ingerenza nella competenza dei cantoni. Anche se il velo integrale può causare un certo disagio, vietarlo a livello nazionale è eccessivo. La Svizzera – ha ricordato la consigliera federale Karin Keller-Sutter – non registra problemi a causa della dissimulazione del viso, anche perché le donne che coprono interamente il loro corpo «da noi non si vedono quasi mai».
Stando a uno studio dell’Università di Lucerna, solo 20-30 donne portano in Svizzera il burqa, in voga soprattutto in Afghanistan e Pakistan. Inoltre, chi indossa il burqa o il niqab (lascia scoperti solo gli occhi), lo farebbe di sua spontanea volontà. Una stima del governo parla invece di un numero di casi di velo integrale che oscilla tra 95 e 130. Per Karin Keller-Sutter, l’iniziativa è quindi inutile e non occorre modificare la Costituzione per così poco. Su questo aspetto, i fautori dell’iniziativa fanno però notare che anche il Codice penale annovera reati che si riscontrano raramente, ma non per questo lo si mette in discussione.
Il governo rileva ancora che un divieto non migliorerebbe la situazione delle donne, visto che la maggior parte di quelle che portano il velo si trova in Svizzera per motivi turistici e non ha quindi bisogno di integrarsi. Infine, il Consiglio federale non crede al rischio di radicalizzazione legato al porto del burqa o del niqab in Svizzera. L’islam radicale si esprime attraverso altri canali. La sicurezza non risulterebbe rafforzata da questa iniziativa. Per combattere il terrorismo, le Camere hanno recentemente inasprito il diritto penale e le misure di polizia.
Ma un’iniziativa che vuole vietare l’occultamento del viso non è anacronistica quando tutti se ne vanno in giro indossando mascherine per proteggersi dal coronavirus? Orbene, i suoi fautori sottolineano che tra chi indossa il burqa o il niqab oppure una mascherina protettiva ce ne corre. È dunque facile capire che non sono queste protezioni sanitarie a essere prese di mira dal testo. L’iniziativa stabilisce in modo esaustivo una serie di eccezioni al divieto di portare il velo su scala nazionale. È così possibile dissimulare il proprio viso nei luoghi di culto, per motivi inerenti alla sicurezza e alla salute (per esempio il casco integrale da motociclista o la mascherina igienica), alle condizioni climatiche (portare la sciarpa) o alle usanze locali (costume di carnevale).
Sebbene non si tratti di un fenomeno molto diffuso, il divieto di portare il velo integrale potrebbe raccogliere i favori popolari, come avvenne nel 2009, appunto con l’iniziativa contro i minareti, allora ritenuti un «simbolo di potere politico-religioso per mettere in atto la legge islamica». Per i sostenitori dell’iniziativa, «il burqa rispecchia correnti fondamentaliste dell’Islam, incompatibili con i valori democratici svizzeri». Jean-Luc Addor (UDC/VS) sottolinea che questo progetto ha pure un chiaro obiettivo preventivo, visto che «ci troviamo in uno scontro di civiltà e quindi anche in uno stato di autodifesa contro l’islamizzazione dell’Europa e soprattutto del nostro Paese».
Ancora i fautori rilevano che «bocciare l’iniziativa equivale a legittimare l’aumento dei casi di donne e ragazze costrette a indossare abiti che simboleggiano l’oppressione e l’alienazione delle donne». Una posizione condivisa anche da personalità di spicco di altre correnti politiche, come l’ex consigliera agli Stati Géraldine Savary (PS/VD) o la consigliera nazionale Marianne Binder (PPD/AG), intenzionate a promuovere la dignità e l’uguaglianza delle donne. Hanno capito che non è credibile affermare principi e dimenticarli con il pretesto che l’iniziativa è frutto della destra conservatrice.