«Gli brucia la tundra, letteralmente», il commento sferzante di Joe Biden sull’assenza di Vladimir Putin alla conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici a Glasgow probabilmente verrà aggiunto dal Cremlino alla lista delle offese provenienti dall’America, insieme allo sprezzante downgrade a «potenza regionale» dichiarato a suo tempo da Barack Obama. Secondo il presidente americano, la decisione di Putin e del suo collega cinese XI Jinping di disertare la Cop26 è un segno di scarsa serietà. «Come possono pretendere di essere dei leader globali?», si è interrogato, ricordando i pesanti problemi del clima e l’inquinamento di Cina e Russia.
Mosca ha replicato nel suo solito stile polemico, ricordando per bocca del portavoce del Cremlino i roghi forestali in California. Ma la battuta di Biden sembra aver colpito un punto dolente, anche perché i roghi forestali in Siberia hanno messo in dubbio proprio la strategia sulla quale Putin, nel suo collegamento video con Glasgow, ha dichiarato di voler scommettere per ridurre le emissioni: fare affidamento sulle immense foreste russe che dovrebbero assorbire il biossido di carbonio in eccesso. Gli incendi dell’estate scorsa hanno distrutto le foreste per una superficie pari all’intero Regno unito, e a colpire molti osservatori, in Russia come all’estero, è stata l’inefficienza con la quale il Governo ha affrontato il disastro. In Jacuzia le autorità sono arrivate a chiedere donazioni ai cittadini, mentre Mosca annunciava di inviare aerei e aiuti per combattere gli incendi in Grecia, ma non in Siberia.
Un comportamento simile a quello assunto in precedenza con il Coronavirus, quando il Cremlino aveva schierato tutta la potenza della sua diplomazia per la diffusione del vaccino Sputnik all’estero invece di intensificare la campagna vaccinale in patria. Una scommessa «geopolitica» il cui prezzo viene pagato in queste settimane. La Russia infatti batte giorno dopo giorno i record di contagi e morti di Covid, e perfino le statistiche ufficiali segnalano una situazione catastrofica, mentre le stime di esperti indipendenti pubblicate sul «Financial Times» parlano di 750 mila decessi nella pandemia, un numero secondo soltanto agli Usa (che però hanno più del doppio degli abitanti). Il Cremlino è stato costretto a introdurre un lockdown parziale di una settimana, ma siccome i «giorni non lavorativi», come vengono definiti, sono a carico dei datori di lavoro e non vengono praticamente risarciti dallo Stato, sono durati troppo poco per interrompere le catene di contagio. L’utilizzo dei Qr code che attestano l’avventura vaccinazione/guarigione/test varia da regione a regione, mentre infuria l’epidemia di certificati falsi, comprati su siti truffaldini oppure addirittura emessi da medici corrotti che in cambio di qualche decina di euro hanno «vaccinato il lavandino» iscrivendo i loro pazienti nel registro degli immunizzati.
Un fallimento clamoroso che ha mostrato sia i limiti dell’efficienza della macchina del regime – che, contrariamente alle sue tendenze di accentramento, ha preferito delegare la gestione dell’epidemia alle regioni per non assumersi responsabilità né per le carenze sanitarie, né per lo scontento delle vittime economiche del lockdown – che quelli della fiducia dei russi nei suoi confronti. Putin si è espresso più volte contro l’obbligo vaccinale, che intanto viene introdotto di fatto nelle zone più colpite come San Pietroburgo, dove la responsabile della sanità locale ha intimato agli over 60 di vaccinarsi con due dosi entro il 15 dicembre. Ma la fretta nella produzione dello Sputnik (per non parlare degli altri due vaccini meno noti, uno dei quali, l’Epivacorona, pare avere un’efficacia pari a zero), lo zelo della propaganda nel pubblicizzarlo all’estero unito a una pioggia di fake news sulla pessima qualità dei vaccini occidentali, hanno convinto la maggioranza dei russi che la campagna di immunizzazione è un ennesimo tentativo del Governo di guadagnare ai loro danni.
Secondo una ricerca dell’agenzia Gxp news, che ha analizzato i tassi vaccinali in una serie di Paesi, negli Stati ex sovietici il rifiuto dell’immunizzazione è direttamente correlato con la quantità di cittadini che ritengono la società in cui vivono profondamente corrotta. In un clima di sfiducia verso chi li governa, la campagna vaccinale si trasforma da una causa di bene comune in un gioco a guardie e ladri, e riuscire a ingannare il regime diventa un titolo di merito.
La sconcertante trasformazione di un Paese con altissimi tassi di urbanizzazione, industrializzazione e istruzione come la Russia nella Nazione europea con la più elevata mortalità da Covid è uno dei prezzi più elevati pagati per la demodernizzazione putiniana. Mentre Putin decanta il «conservatorismo ottimista» che eleva a ideologia ufficiale russa, proponendo un ritorno al passato anche nelle relazioni sociali, gli esperti in vari settori denunciano un’emergenza nelle infrastrutture sempre più obsolete ereditate dall’Unione sovietica. Una situazione aggravata dal cambiamento climatico, come dimostrano anche i sempre più numerosi incidenti industriali con gravissime conseguenze ambientali nelle zone artiche, dovuti spesso allo scioglimento del permafrost. La strategia green russa però rimane in buona parte sulla carta, e perfino molti esperti del settore si mostrano estremamente scettici verso il progetto di abbandonare le fonti di origine fossile. Lo stesso Putin è stato di recente molto sarcastico riguardo all’aumento della domanda di gas in Europa, scherzando sui «calcoli sbagliati sul vento che non soffia». Il conflitto di interessi di un Paese che continua a ricavare metà delle sue entrate dalle esportazioni di petrolio e gas è evidente, e di conseguenza anche gli investimenti nella transizione verde sono irrisori: Mosca ha aderito alla Cop26 e inviato le sue proposte praticamente all’ultimo momento, e chiaramente valutando più l’opportunità per Putin di partecipare a un evento per big internazionali che l’occasione di affrontare problemi reali.
I commentatori più conservatori arrivano perfino a sostenere che la transizione green proposta dai Paesi occidentali sia un’invenzione propagandistica a danni della Russia, la «superpotenza energetica» come teorizzava l’ex consigliere di Putin Vladislav Surkov negli anni Duemila. La tentazione di scommettere sul fallimento delle iniziative internazionali per frenare il cambiamento climatico è determinata anche da un ragionamento meramente politico. Il nucleare russo suscita nel mondo una comprensibile diffidenza dopo Chernobyl, e sulle tecnologie pulite il gap tecnologico della Russia con il mondo occidentale (ma anche con la Cina e il Giappone) potrebbe rivelarsi incolmabile, soprattutto se si continua a rinviare la modernizzazione, non soltanto quella tecnologica.
Quel rifiuto della modernità
Energie fossili e Covid imperversano: lo sguardo al passato di Putin ha costi elevati sia a livello ambientale sia in termini di vite umane
/ 15.11.2021
di Anna Zafesova
di Anna Zafesova