Londra piace a tutti i milionari, ma ai russi ancora di più. E la città negli anni si è lasciata fare, tanto da guadagnarsi il soprannome di Londongrad. Ma ora il premier Boris Johnson sta facendo di tutto per sottrarre la megalopoli britannica alla sua immagine – e forse solo a quella, secondo i detrattori – di parco giochi per i Paperoni vicini a Vladimir Putin, visto che proprio nella guerra il leader del Partito conservatore sta trovando un tonico per una carriera politica che tutti, fino a qualche settimana fa, davano per spacciata. Solo che gli annunci roboanti di nuove misure drastiche, come la creazione di una «cellula anti-cleptocrazia», nulla aggiungerebbero agli strumenti già a disposizione, secondo il «Financial Times». Basterebbe applicarli, usare quello che c’è, per invertire quella tendenza a chiudere un occhio sull’origine delle ricchezze che invadono la città. E, nonostante i proclami, anche l’opposizione ha notato una certa lentezza iniziale nell’agire contro gli oligarchi, che negli Stati Uniti e nell’Ue si sono già visti applicare pesanti sanzioni senza indugi. Anche Londra ci arriva, ma coi suoi tempi.
La città, come raccontato da David Cronenberg nel suo film Eastern Promises, è stata negli anni teatro di attività illecite e casi internazionali da film di spionaggio, come l’avvelenamento al polonio del dissidente Aleksandr Litvinenko nel 2006 o quello al gas nervino dell’ex agente Sergei Skripal a Salisbury nel 2018. Oltre al suicidio del magnate Boris Berezovsky nel 2013, su cui in tanti ancora hanno dei dubbi. Ogni volta i vari governi hanno fatto la voce grossa con Mosca, che però ha sempre negato ogni coinvolgimento nonostante i sospetti e la conclusione di un’inchiesta secondo cui Putin e i servizi segreti sapevano dell’omicidio Litvinenko. Fino a ora contro l’opacità degli affari russi a Londra è stato fatto ben poco, anche perché le élite russe hanno una presenza capillare nei piani alti della società del Regno Unito, mandano a studiare i loro rampolli nelle grandi scuole private, sfruttano il mercato dell’arte e dell’antiquariato per arredare le loro dacie e alimentano gli affari nel settore degli immobili di pregio. Pensiamo ai due appartamenti da 11 milioni di sterline dell’ex vice di Putin, Igor Shuvalov, il cui nome non era neppure sulla lista iniziale delle persone da sanzionare, come notato dal leader dell’opposizione Keir Starmer.
Tra le varie misure, il governo del Regno Unito ha escluso le società russe dal suo mercato dei capitali, dove dal 2010 hanno raccolto 39 miliardi di sterline, e ha proibito la vendita di titoli di debito sovrano del paese, attività in realtà già ridimensionata dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Nel mirino delle sanzioni ci sono un centinaio di persone, ma anche qui gli osservatori hanno lamentato un certo lassismo. Grazie a nuove misure che entreranno, nel migliore dei casi, in vigore tra un anno e mezzo, verrà messo un tetto a 50mila sterline per i fondi che i russi possono depositare nelle banche britanniche e sarà impossibile comprare una casa a Londra usando una società di facciata: bisognerà fornire il proprio nome. «Perché stiamo dando ai compari di Putin ben 18 mesi per trovare dove riciclare serenamente il loro denaro fuori dal mercato immobiliare britannico, in un altro porto sicuro?», ha chiesto il leader laburista Starmer durante il Question time in Parlamento.
Per dare una risposta rapida al conflitto non è molto, gli effetti rischiano di sentirsi nel tempo. Beffarda, ma certo più immediata, è la proposta del sindaco di Leopoli, Andriy Sadovyi, che ha suggerito piuttosto di mettere i rifugiati ucraini nelle magioni londinesi, da dove i figli di alcuni membri del circolo ristretto di Putin stanno twittando messaggi di pace e il loro scontento per la guerra. La figlia del portavoce del Cremlino Dimitri Peskov, per dirne una. Tutti gli occhi, ora, sono puntati su Roman Abramovich. Il più in vista tra gli oligarchi ha annunciato la decisione storica di vendere il Chelsea, la squadra di cui è proprietario da 19 anni, e di devolvere i proventi alle vittime della guerra in Ucraina. Mikhail Fridman, fondatore di Alfa Bank, tra gli uomini più ricchi della Russia e proprietario di una magione da 65 milioni di sterline a Highgate, si è visto i suoi asset congelati insieme alla sua quota in LetterOne, una società che ha partecipazioni in vari gruppi in Europa. Nato in Ucraina, con la famiglia ancora nel paese, era stato il primo a denunciare lo «spargimento di sangue» e la tragedia in corso, aggiungendo, in una lettera ai dipendenti, che «la guerra non potrà mai essere la risposta».