La storia umana dall’Antica Grecia fino ai nostri giorni è costellata di «talassocrazie» (imperi marittimi) che dovettero affermare la propria autorità disciplinando i pirati; mentre le potenze-outsider, nella posizione degli sfidanti, usavano la pirateria per destabilizzare lo status quo, l’ordine precedente. Oggi la logica delle talassocrazie si applica nel nuovo oceano che è lo spazio digitale. Nato contro ex-blocco comunista, le nuove offensive digitali riesumano divisioni antiche. La posta in gioco è il controllo dello spazio digitale. Dopo i ripetuti attacchi di «ransomware» o estorsione digitale, tornano in primo piano le azioni di hackeraggio, questa volta ai danni di un big americano come Microsoft. Tra gli sviluppi più importanti degli ultimi tempi si distingue la formazione di due blocchi sempre più segnati dalla logica della guerra fredda: la Nato che si ricompatta da una parte, l’alleanza Cina-Russia dall’altra.
Sul fronte occidentale, la vera novità è la presa di posizione dell’Alleanza atlantica. Prima c’era stata l’ennesima violazione di siti occidentali da parte di hacker cinesi, stavolta avvenuta ai danni di Microsoft Exchange, il server di email. Le vittime dell’aggressione e del furto di informazioni sarebbero decine di migliaia. Gli attacchi sono cominciati a marzo, ma è solo di recente che la Casa Bianca ha ritenuto di avere abbastanza informazioni sui colpevoli per una denuncia aperta contro la Cina. In un dossier separato e distinto, il Dipartimento di giustizia americano ha nominato quattro hacker cinesi colpevoli di attacchi contro vari siti americani e occidentali legati alla difesa nazionale e ad altre attività governative, emettendo ai loro danni un mandato di cattura. Tra le loro vittime figurano oltre dieci Nazioni occidentali. La vera novità è nella capacità di Biden di mobilitare tutti gli alleati atlantici, con una presa di posizione compatta della Nato contro la Cina. Il linguaggio usato dalla Nato è durissimo, descrive le azioni della Cina come un pericolo grave. È la prima volta che questo accade. È coerente con l’allargamento dello spazio di competenza e di intervento della Nato deciso un mese fa in occasione della visita di Biden a Bruxelles. La Nato dunque punta il dito contro i cyber-attacchi cinesi, li tratta come delle operazioni ostili che minacciano la sicurezza degli Stati membri e preannuncia ritorsioni.
Xi Jinping forse non si aspettava una simile prova di coesione da parte di Stati uniti e Unione europea. I cyber-attacchi degli hacker cinesi fanno salire la tensione, concorrono a riesumare una logica dei blocchi contrapposti e della nuova guerra fredda, che a lungo termine non è favorevole ai disegni di Xi Jinping. Quest’ultimo, dopo la visita di Biden in Europa, aveva mobilitato la sua diplomazia per fare pressione sui Governi europei e dissuaderli dallo schierarsi con l’America. Sul versante opposto, c’è l’accordo tra Mosca e Pechino per un’azione comune diretta a controllare le regole mondiali di Internet. I Governi russo e cinese intendono agire di concerto per imporre i nuovi standard tecnici e le nuove norme all’interno di organismi regolatori multilaterali come la International telecommunications union (Itu). Anche questa è una prima volta, la nascita dell’asse Mosca-Pechino su questo terreno è una novità tanto più rilevante in quanto si tratta di due governi che in casa loro applicano varie forme di controllo e di censura su Internet.
Gli ultimi mesi sono stati turbati da episodi sempre più frequenti di estorsione digitale. È la nuova forma di criminalità informatica: potenti organizzazioni di hacker paralizzano i siti di grandi aziende, infliggono grosse perdite, esigono il pagamento di un riscatto. Può sembrare un fenomeno distante dai cittadini, ma il conto lo paghiamo noi: prima per i disservizi quando aziende importanti si fermano, poi perché il riscatto viene recuperato alzando i prezzi per gli utenti.
C’è una logica precisa e la storia ce lo insegna. I pirati sono stati spesso usati per attaccare lo status quo e delegittimare la potenza dominante. Atene imitò il modello di Creta e dei Fenici nel costruire una «talassocrazia», un impero fondato sul dominio dei mari. Poi altri copiarono Atene. Città-Stato o piccole Nazioni sono state capaci di esercitare un’influenza sproporzionata rispetto alle loro dimensioni perché controllavano le rotte navali. Tra gli esempi più famosi di città-Stato proiettate sulle acque come delle potenze imperiali ci furono le Repubbliche marinare della penisola italiana come Venezia, Genova, Pisa, Amalfi. Vasti Continenti vennero colonizzati da piccoli popoli di navigatori: Spagna, Portogallo, Olanda. La Gran Bretagna costruì un impero sul quale «non tramontava mai il sole» partendo da un isolotto nel Mare del nord. Gli Stati uniti hanno sostituito l’impero britannico ereditandone la stessa proiezione globale, con una serie di flotte militari capaci di pattugliare oceani lontanissimi dalle loro frontiere.
Per chi padroneggia meglio le tecniche di navigazione, i mari sono le vie di comunicazione più efficienti e meno costose per trasportare merci e persone. Sono un formidabile moltiplicatore di ricchezza attraverso gli scambi. Controllare i mari significa avere un accesso migliore a questa fonte di prosperità, prelevare dagli uni e dagli altri pagamenti sotto forma di noli, tariffe navali, tasse, dazi, profitti mascherati in tanti modi. Poi c’è la guerra. Poter trasportare truppe sulle navi, aggirando gli ostacoli naturali del territorio; poter bombardare una città dal mare; questi sono vantaggi di chi possiede una tecnologia marittima più avanzata cioè navi più sicure, veloci, potenti. Questo spiega i miracoli compiuti da piccoli paesi o singole città. I veneziani e i genovesi del tardo Medioevo e primo Rinascimento avevano una lunghezza d’anticipo su Nazioni più grandi, per l’abilità nella navigazione. Portoghesi, spagnoli, olandesi, avevano lo stesso vantaggio tecnologico quando il centro degli scambi mondiali cominciò a spostarsi dal Mediterraneo all’Oceano Atlantico. Un aspetto cruciale per le talassocrazie sono i rapporti con la pirateria. I mari, proprio perché sono vie di comunicazione efficienti, attirano appetiti di ogni sorta. Così come gli Stati con flotte potenti usano la loro forza per prelevare tasse e dazi, allo stesso modo ci sono soggetti «privati» che hanno sempre cercato di fare lo stesso. A volte gli imperi marittimi hanno affermato la propria autorità dando la caccia ai pirati; altre volte li hanno usati per colpire i propri nemici.
Lo spazio digitale ha molti aspetti in comune con quello marittimo. Garantire la sicurezza di Internet, oggi è un compito strategico, importante quanto lo è stato assicurare la sicurezza delle rotte navali. I pirati che assaltano i cargo in mare e quelli che bloccano online l’attività di grandi aziende, hanno obiettivi simili, lo stesso effetto destabilizzante. La credibilità della potenza egemone vacilla, se non è più capace di far rispettare la legge e l’ordine. Fermare gli hacker russi o cinesi sarà una delle sfide cruciali su cui verrà giudicato nel lungo termine Joe Biden.
Quei pirati dei mari digitali
Sono sempre più frequenti gli attacchi di «ransomware» che destabilizzano l’Occidente. Intanto si delineano due blocchi segnati dalla logica della guerra fredda: la Nato ricompattata contro l’alleanza russo-cinese
/ 26.07.2021
di Federico Rampini
di Federico Rampini