Uomini perdenti, disperati e pronti a tutto. E dall’altra parte individui ricchissimi, senza freni, incapaci di guardare in basso, sotto di loro, e ubriachi di avidità. La Corea del sud ha conquistato il pubblico internazionale con libri, film e serie televisive che raccontano la società sudcoreana quasi sempre attraverso la lente delle diseguaglianze sociali. Ci sono gli ultimi – gli umili, quelli senza speranza – e poi i privilegiati. Pensiamo a Parasite, il film diretto da Bong Joon-ho entrato nella storia poiché è stato il primo, non in lingua inglese, a vincere agli Oscar del 2020 come miglior film in assoluto (in quell’occasione si è accaparrato anche i riconoscimenti per la miglior regia e la migliore sceneggiatura originale). Un successo straordinario insomma. Così la storia della famiglia Kim (padre, madre e due figli adolescenti) – che vive di espedienti dentro un banjiha, i tipici seminterrati di Seul, e si ritrova a odiare una famiglia di ricchi e a volersi appropriare di quell’agio – è diventata universale.
Più o meno lo stesso è successo ai giochi per bambini che diventano mortali di Squid game (letteralmente Il gioco del calamaro), la serie televisiva più vista della storia dello streaming. Il regista Hwang Dong-hyuk – nato e cresciuto a Seul – l’aveva scritta nel 2008, ma è solo lo scorso anno che Netflix ha deciso di acquistarla e produrla. La trama è molto simile a quella di altri fenomeni internazionali, da Battle royale a Hunger games. Più di 450 persone – i «perdenti», li definisce il regista – vengono scelte per competere in alcuni giochi tradizionali. Chi vince può arrivare a ottenere molti soldi. Chi perde muore, in maniera atroce. Ai concorrenti vengono fatte sapere subito le regole, e ce n’è una in particolare che si rivela fondamentale per capire il messaggio della serie: si può uscire dal gioco, se la maggioranza lo decide. Solo che quasi nessuno vuole farlo. L’allegoria, è stato scritto così su tutti i giornali internazionali, è quella del capitalismo, della necessità di fare soldi a tutti i costi ma, dal punto di vista dei Paesi asiatici, in quella sceneggiatura c’è molto di più.
C’è soprattutto un problema politico dietro a Squid game. Le diseguaglianze, la rabbia, il cosiddetto «ascensore sociale», la competizione, sono tutti temi della vita quotidiana delle economie più sviluppate dell’Asia orientale. Dalla Corea del sud a Taiwan, dal Giappone a Hong Kong, fino a Singapore e alla Cina continentale, nell’immaginario collettivo chi non riesce ad avere successo è condannato a una vita mediocre. Da tempo ormai la classe politica sudcoreana s’interroga su questi temi, anche perché questa competizione ha portato il Paese a un triste primato: il più alto tasso di suicidi tra i giovani.
Il presidente in carica, il democratico Moon Jae-in, ex avvocato dei diritti umani, nel 2016 fece la sua campagna elettorale e vinse anche grazie alle promesse fatte di riforma del sistema economico e di accesso al welfare. Aveva convinto l’elettorato più giovane che avrebbe costruito una società «più equa e giusta». Ma alla fine del suo mandato, che scade a marzo del 2022, non molto è stato fatto. Alle elezioni amministrative per scegliere il sindaco di Seul, nell’aprile scorso, il Partito democratico è stato battuto dai conservatori: secondo i sondaggi, la maggioranza di chi non ha dato fiducia alla sinistra guidata da Moon non lo ha fatto perché insoddisfatto dalla strategia di contenimento della pandemia (come pure è avvenuto in varie parti del mondo) ma per le mancate riforme sul mercato immobiliare.
La casa è un fattore fondamentale per interpretare le diseguaglianze sociali in Corea del sud. Negli ultimi quattro anni il prezzo medio di un appartamento di 80 metri quadrati a Seul è aumentato da 593 mila a oltre un milione di dollari, che corrisponde a 36 volte lo stipendio medio annuo di un cittadino. Sebbene gran parte della popolazione sudcoreana viva nell’area metropolitana della capitale, fuori la situazione non è migliore. Nella tradizione del Paese, all’interno di una coppia è la donna a pagare per il matrimonio però l’uomo deve provvedere ad acquistare l’appartamento dove vivrà la famiglia. Una missione impossibile per i giovani appena usciti dall’università, che sono costretti a indebitarsi per tutta la vita oppure a vivere in affitto. E se in questo gioco infernale qualcuno perde qualcosa, la conseguenza è il seminterrato, quello in cui vive la famiglia di Parasite.
Il nuovo candidato del Partito democratico, che vuole arrivare alla presidenza alle elezioni del 9 marzo prossimo, si chiama Lee Jae-myung, ha 56 anni, è il governatore della provincia di Gyeonggi, poco sotto l’area della capitale Seul. Per vincere le primarie ha fatto una campagna elettorale tutta dedicata alla giustizia sociale: più case popolari, con prezzi fissati, un reddito universale di base, più tassazione per i ricchi. Qualche anno fa si era definito un «Bernie Sanders di successo», riferendosi al leader americano della sinistra più socialista. La sua storia personale parla molto di lui: è nato da una famiglia poverissima, con sei fratelli, senza poter frequentare le medie e le superiori perché i genitori non potevano permettersi di mandare tutti a scuola. Studiò da solo, sostenne gli esami, entrò all’università e divenne avvocato giuslavorista. Finora sta raccogliendo parecchio supporto soprattutto tra gli scontenti, quelli che accusano la politica di occuparsi di problemi poco reali: Lee ha già promesso che ridurrà il divario tra ricchi e poveri, e che riformerà i «chaebol», i colossi industriali a conduzione familiare che bloccano l’economia sudcoreana, non producono ricchezza e creano diseguaglianze. Ma molti lo accusano di essere un populista, senza una vera ricetta di riforme. Per cambiare la società sudcorena non basta l’assistenzialismo, dicono all’opposizione, bisogna trasformare il Paese. Che nel frattempo però è sempre più arrabbiato e insoddisfatto.
La serie Squid game è costruita come dovrebbero essere fatte le serie per diventare virali. Le luci, la fotografia, l’ambientazione, i costumi: tutto è già pronto per essere pubblicato su Instagram, per essere trasformato in gadget promozionali, meme e immaginette da social network, travestimenti per la festa di Halloween. Per il pubblico internazionale è un romanzo a tinte dark di cui ridere, per alcuni sudcorea- ni è la rappresentazione dei perdenti che mandano avanti il Paese.
Quei perdenti che mandano avanti il Paese
Squid game, la serie televisiva sudcoreana che fa furore su Netflix, rappresenta le enormi diseguaglianze sociali, la competizione violenta e la rabbia che segnano le economie più sviluppate dell’Asia orientale (e non solo)
/ 25.10.2021
di Giulia Pompili
di Giulia Pompili