Quei cavi strategici

È necessario mettere in sicurezza le infrastrutture sottomarineche permettono il traffico internet, poiché la Cina potrebbe sabotarle
/ 24.07.2023
di Giulia Pompili

Una mattina di febbraio, da un giorno all’altro, i 13mila abitanti di un arcipelago di fronte alla costa meridionale della Cina si sono ritrovati senza internet. Connessioni rallentatissime per le comunicazioni, per le prenotazioni degli hotel e dei ristoranti, per fare ricerche su Google o accedere al proprio conto bancario online. Le isole Matsu sono un piccolo arcipelago, composto da 19 isolotti, il cui territorio appartiene alla Repubblica di Cina, il nome formale di Taiwan, ma sono posizionate proprio di fronte alle coste della Repubblica Popolare Cinese, cioè la Cina. Pechino rivendica tutti i territori di Taiwan come suoi, anche se il Partito comunista cinese non li ha mai governati, e la «riunificazione inevitabile» è una priorità della leadership cinese di Xi Jinping da sempre, da raggiungere con «tutti i mezzi necessari», quindi anche con l’invasione armata e la guerra.

L’isola delle Matsu più vicina alla terraferma dista poco più di 9 chilometri dalla costa della provincia cinese del Fujian. Ci sono due cavi sottomarini che portano internet alle Matsu, ed entrambi sono stati danneggiati nel giro di una settimana, tra il 2 e l’8 febbraio scorso. Un disastro annunciato. Può sembrare sorprendente, ma nell’era delle comunicazioni senza fili, in realtà almeno il 95% del traffico internet avviene via cavo: si stima che ci siano 1,4 milioni di km di cavi sottomarini in servizio a livello globale. Sono piccoli, di circa 25 millimetri di diametro, e si estendono in una rete capillare per portare le comunicazioni via dati un po’ ovunque, da un continente all’altro.

In alcune aree del mondo, come quella dello stretto di Taiwan, la tensione politica rende certe infrastrutture a dir poco strategiche. I due cavi che portano internet alle isole taiwanesi sono stati riparati solo il 31 marzo scorso, ma quella cinquantina di giorni di isolamento di parte del territorio amministrato da Taipei ha fatto capire in modo molto concreto non solo a Taiwan, ma anche al resto del mondo, che parte delle attività ostili delle grandi potenze potrebbe manifestarsi proprio con il sabotaggio di infrastrutture strategiche come quella. Nei giorni successivi al danneggiamento dei cavi, il Governo di Taiwan ha evitato di definirlo un atto deliberato di Pechino e non ci sono prove dirette che dimostrino la responsabilità delle navi cinesi nell’isolamento internet delle Matsu, eppure il sospetto è più che legittimo. La Cina ha la capacità tecnica di usare una tattica simile come parte di quella che viene definita la guerra ibrida, e da almeno un anno la Marina cinese ha intensificato enormemente le sue attività attorno all’isola di Taiwan. La guerra d’invasione della Russia contro l’Ucraina, inoltre, ha mostrato la fragilità del sistema di sicurezza internazionale attorno a certe infrastrutture che servono alle attività via internet dei civili, per ordinare una pizza o per mandare messaggi, ma anche ad accedere a un conto bancario, per esempio, oppure per le comunicazioni militari cifrate.

Dopo i sabotaggi ai gasdotti Nord Stream nel settembre del 2022, la necessità di mettere in sicurezza le infrastrutture sottomarine e ridurre le dipendenze dalle potenze autocratiche è diventata molto più urgente. Non a caso, il tema della difesa dei cavi sottomarini è stato sollevato anche durante l’ultimo Summit della NATO a Vilnius, in Lituania. Nel comunicato finale dei leader dei Paesi membri, al punto 65, si esplicita: «La minaccia contro le infrastrutture sottomarine critiche è reale e sta aumentando». E quindi: «Qualsiasi attacco deliberato contro le infrastrutture critiche degli Alleati sarà affrontato con una risposta unita e determinata; questo vale anche per le infrastrutture sottomarine».

Secondo alcune notizie trapelate sui media taiwanesi, per aumentare la capacità di reagire a eventuali attacchi contro la rete internet, il Governo di Taipei sta studiando un modo per raddoppiare i cavi che portano internet ai suoi territori. Ma non basta. Taiwan ha studiato molto da vicino la guerra in Ucraina, e ha capito che la Russia ha fatto della sua capacità di mettere fuori uso le infrastrutture strategiche belliche un punto di forza. L’ingresso nella guerra in Ucraina di Starlink, la costellazione satellitare di proprietà della SpaceX di Elon Musk, dimostra che una via d’uscita ci sarebbe: evitare l’isolamento spostando le comunicazioni critiche, quelle più importanti, sulla rete internet satellitare. Che però è costosa, perché si tratta di lanciare in orbita decine di satelliti equipaggiati con tecnologia di altissimo livello. E il Governo di Taipei non può affidarsi completamente all’infrastruttura privata di Elon Musk, perché il tycoon ha più volte fatto intendere di essere più interessato agli affari con la Repubblica popolare cinese.

L’alternativa del sistema satellitare ai cavi sottomarini, molto esposti a danneggiamenti e sabotaggi, è studiata anche tra i Paesi occidentali, ma il problema resta. La Russia e la Cina hanno sviluppato una sofisticata capacità antisatellitare, anche da terra: sono in grado, cioè, di mettere fuori uso un satellite ostile. Anche per questo la NATO, durante l’ultimo summit, ha ribadito anche la necessità di mettere in sicurezza i sistemi satellitari e le infrastrutture spaziali dei Paesi dell’Alleanza da potenziali minacce. La Space Force (USSF), la sesta branca delle forze armate degli Stati Uniti, oggi sta lavorando alla costruzione di costellazioni di satelliti per il trasferimento dati e il controllo delle minacce in modo da aumentare i sistemi di Difesa: secondo il Pentagono, è questa una delle priorità dell’Amministrazione Biden. Per i cittadini di Taiwan, invece, la priorità è soprattutto uscire dalla trappola delle intimidazioni cinesi e usare internet liberamente, senza la preoccupazione dei sabotaggi. La questione influenzerà anche le elezioni presidenziali che si terranno il 13 gennaio del 2024.