Quantitative easing: che ne è dell’inflazione?

Come una qualsiasi «bolla», che si sposta da un polo all’altro, il rialzo dei prezzi è lungi dall’essere un ricordo del passato
/ 01.10.2018
di Edoardo Beretta

Discutere di «inflazione» in tempi recenti si può fare attraverso due canali: con il primo semplicemente rinviando all’andamento del livello dei prezzi di consumo (nullo in certe Nazioni, che risentano anche delle recenti pressioni deflazionistiche), mentre con il secondo coinvolgendo una visione più «a tutto tondo». Per intenderci: gli uffici nazionali di statistica calcolano generalmente l’eventuale rialzo dei prezzi avvalendosi di un «paniere» di beni e servizi di largo consumo, le cui componenti sono «pesate» (cioè «ponderate») per la loro incidenza di spesa. Se durante le crisi la «frenata» dell’economia coinvolge anche l’usuale crescita dei prezzi, sono in tanti nell’establishment ad avere lungamente atteso una sostenuta ripresa degli stessi a fronte delle massicce iniezioni di liquidità operate negli ultimi anni da parte delle principali banche centrali a sostegno dei relativi sistemi economici. Basti pensare che la Fed americana e BCE hanno rispettivamente immesso più di 4.000 miliardi di dollari statunitensi1 e di 2.000 miliardi di Euro2 (da, almeno in parte, riassorbirsi gradualmente). 

Stando agli indicatori statistici più comuni, nessun «balzo» significativo è (ancora) occorso sui principali mercati interni dei beni di consumo: tutto ciò ha lasciato da un lato sconcertati i detrattori delle politiche monetarie fin lì adottate (in quanto descritte come «inflazionistiche») e dall’altro ha dato man forte agli istituti bancari centrali, che si sono sentiti confortati nella giustezza del loro agire. Resta, dunque, da domandarsi dove sia rimasta la «bolla inflazionistica» ‒ come paventata dai più ‒ a fronte dell’«annacquamento» della ricchezza reale su volumi monetari crescenti. Una prima risposta a tale interrogativo affonda le proprie radici nel passato quando per «inflazione» ancora si intendeva ‒ per citare, ad esempio, il fondatore della scuola monetarista di Chicago Milton Friedman (1963) ‒ un «fenomeno sempre ed ovunque di natura monetaria». Concretamente, quindi, la cosiddetta «inflazione» (che nel significato odierno si limita ad indicare il solo rialzo dei prezzi, sebbene esso non sia necessariamente ascrivibile a cause monetarie) non è per forza rilevata dagli indici dei prezzi al consumo nella sua complessità. Ad esempio, nelle Nazioni post-industriali il rialzo del costo della vita ‒ a differenza dei Paesi emergenti ‒ tende sempre meno a ricadere sui beni di prima necessità, per il cui acquisto solo i bassi redditi (meno tipici per tali società) impegnano una quota elevata dei loro introiti mensili. 

Per di più, si potrebbe discutere sulle stesse modalità di rilevamento statistico, poiché il «paniere di consumo» sovente attribuisce un peso ponderale elevato alla componente tecnologica: quest’ultima ‒ se negli Anni Novanta avrebbe comportato un rialzo dell’indice ‒ è ora sempre più soggetta a prezzi in rapido decremento (perlomeno, dopo la fase di lancio sul mercato), che a loro volta ben si prestano ad «addolcire» eventuali trend al rialzo per altre voci di spesa quotidiana. Per non parlare poi di come parti del settore produttivo siano ormai dedite alla cosiddetta shrinkflation, cioè alla riduzione della quantità di un bene di consumo (shrinkage) a parità di prezzo di vendita o all’abbassamento della qualità delle componenti così da risparmiare in termini di costi di produzione. Così facendo, l’indice statistico viene «bluffato» e non fa registrare alcuna variazione. Ma, del resto, è la stessa letteratura economica a narrare di tale fenomeno allorquando si passò dalle monete nazionali all’Euro nel lontano 2002. 

L’eventuale rischiosità post-crisi è, quindi, sempre meno rintracciabile nei mercati legati ai beni e servizi «tradizionali», bensì in due macrosettori: quello finanziario (con tutte le sue sfaccettature in termini di tipologie di strumenti fino a sconfinare in quello delle materie prime, su cui molte attività finanziarie appunto poggiano) ed immobiliare. 

Vuole forse dire che ci si dovrà nell’immediato attendere rialzi dei prezzi degli strumenti finanziari (quali, ad esempio, dei titoli azionari) oltre che delle proprietà immobiliari? Anche ma, più in generale ancora, sarà da attendersi una variabilità data dal fatto che ciascuna «bolla» (che sia finanziaria o meno) si muova da un punto all’altro dell’economia, comportando nel punto di partenza un «vuoto» (con conseguente rallentamento dei prezzi o decremento dei valori economici) ed al punto di arrivo un eccesso di liquidità (con conseguente aumento dei prezzi). Naturalmente, alla stregua di ogni «bolla d’aria», la variabilità può anche presentare trend poco chiari, cioè potenzialmente suddividendosi fra i diversi settori economici. Se l’indice dei prezzi al consumo dovrà continuare ad essere utilizzato quale base di decision making, abbisognerà di un necessario adeguamento così da non temere di abbracciare una dimensione più ampia e contemplare l’impatto della tassazione indiretta o di altri aumenti nell’opera di monitoraggio dell’economia.

Note

1. http://www.trend-online.com/prp/fed-qe-anniversario
2. http://www.investireoggi.it/obbligazioni/bce-acquistati-quasi-2-000-miliardi-di-euro-dallinizio-del-quantitative-easing