Le nuove regole vigenti in Svizzera

E nel nostro Paese come funziona? «Azione» lo ha chiesto all’Ufficio dello stato civile del Cantone che ha precisato: «Nel caso di coppie eterosessuali i documenti relativi all’atto di nascita (sia nazionale sia internazionale) prevedono che i genitori vengano indicati come “madre” e “padre”». Mentre nel caso di coppie omosessuali la situazione cambia. «A fine maggio 2022 la Svizzera ha ratificato la Convenzione internazionale di stato civile n° 34 relativa al rilascio di estratti e di certificati plurilingue, che è entrata in vigore il 1° luglio di quest'anno (per informazioni si legga www.ciec1.org/convention-34-presentation-fr)». La convenzione precedente – spiega il documento online citato – non era più adeguata ai cambiamenti intervenuti nel diritto di famiglia dopo la firma della stessa nel 1976, ad esempio l'introduzione di matrimoni e unioni registrate tra persone dello stesso sesso in un numero crescente di Paesi. «In base ai modelli previsti dalla Convenzione n° 34 – afferma l'Ufficio dello stato civile ticinese – è possibile rilasciare degli atti di stato civile con l’indicazione di due madri o di due padri. Inoltre l’Ufficio federale dello stato civile ha messo a disposizione un modello di certificato di famiglia nel quale i coniugi vengono indicati come “sposi” e non più “moglie” e “marito” e vi è la possibilità di indicare due madri o due padri». Un passo avanti dunque. Per quello che riguarda i documenti di altro tipo, per esempio quelli scolastici, valgono la sensibilità e la volontà dell’autorità che li emette. /RED


Quando le mamme sono due

In Italia una questione burocratica legata alla definizione di due genitori gay nei documenti d’identità diventa battaglia politica
/ 12.12.2022
di Alfio Caruso

C’è una bambina romana, nata con la fecondazione artificiale, che ha due mamme, quella legale e quella adottiva, tuttavia sul suo documento d’identità l’anagrafe pretendeva di scrivere che avesse una madre e un padre. E in un eccesso di generosità lasciava alle signore la scelta su chi delle due dovesse cambiare genere, almeno sulla carta. Un’enormità perfino per un Paese abituato agli eccessi e alle stramberie di una burocrazia sempre cieca e spesso dannosa. A quel punto, con il sostegno della Rete Lenford – avvocati, professionisti, studiosi della questione LGBTI – è partito il ricorso al tribunale civile. Il giudice Francesco Crisafulli ha accolto l’istanza delle due mamme. Un’ordinanza di venti pagine per dettagliare la sua decisione, con un fondamento: il provvedimento voleva restituire «un senso alle parole». Quindi «la dicitura che dovrà comparire sulla carta di identità della bambina dovrà essere neutra: genitore, anziché padre e madre». Il giudice ha spiegato fino in fondo la sua decisione: «Un documento indicante una delle due donne come “padre” contiene una rappresentazione alterata e perciò falsa della realtà», di conseguenza – a suo dire – i funzionari dell’anagrafe erano stati costretti ad un falso in atto pubblico mettendo sulla carta d’identità la dicitura «padre». Nel passaporto appena rilasciato la bimba ha ufficialmente due madri e nessun padre.

Benché la sentenza valga soltanto per il caso esaminato, le conseguenze pubbliche sono state inevitabili e in Italia hanno già creato un nuovo casus belli tra i difensori delle tradizioni, arroccati intorno al segretario della Lega e ministro Matteo Salvini, e quanti non vogliono chiudere gli occhi dinanzi all’evoluzione della società. Il Governo Meloni ha promesso massima attenzione, però pare soprattutto preoccupato dai problemi tecnici, cioè dalla modifica del sistema anagrafico vigente con il rischio di mandare in tilt l’intera macchina d’identificazione personale. Ma non è una pura questione burocratica, viceversa riguarda direttamente le famiglie omogenitoriali, quelle che vengono chiamate famiglie arcobaleno. Il problema insorge quando i bambini si trovano con due mamme o due papà: che cosa scrivere nei documenti?

Secondo inveterato costume, Matteo Salvini si è affidato alla mozione degli affetti, con lacrimuccia incorporata, che a lui solitamente si ritorce contro: «Illegali o discriminanti le parole mamma e papà? Le parole più belle del mondo, ma secondo il Tribunale civile di Roma sarebbe una violazione delle norme comunitarie e internazionali. Non ho parole, ma davvero». Al contrario, ne ha a bizzeffe per difendere il decreto emesso il 31 gennaio 2019 da ministro dell’Interno, quando aveva imposto alle coppie omosessuali di identificarsi come «padre» e «madre», alla faccia del buonsenso e dei diritti elementari. Un decreto voluto, nonostante i pareri opposti del garante della privacy e dei Comuni. E che all’epoca era stato votato anche dal M5S alleato nel Governo presieduto dal miracolato Conte. Adesso Alessia Crocini, presidente delle famiglie arcobaleno chiede la cancellazione di quel decreto: «I bambini con due mamme o con due papà hanno il diritto di veder riconosciuta la loro storia e la loro famiglia». In senso opposto si è subito mossa l’associazione Pro Vita&Famiglia: raccolte oltre 47mila firme per non toccare la dizione «madre» e «padre».

D’altronde è dieci anni che la contrapposizione va avanti. Nel 2013 Camilla Seibezzi, cinquantaduenne funzionaria del comune di Venezia, una figlia avuta con un’altra donna, propose la dicitura «genitore 1 – genitore 2» per la modulistica scolastica del municipio veneziano, di cui era consigliera delegata a diritti civili e politiche anti-discriminazione. La richiesta puntava a modificare i moduli per l’iscrizione agli asili nido e alle scuole dell’infanzia, che riportano la dicitura «padre» e «madre». Ma la dicitura primo genitore e secondo genitore (cioè il primo che firma e il secondo che firma), ha dato adito al malinteso di «genitore 1» e «genitore 2», ricomparso pure nell’ultimo caso, malgrado nessuna delle parti in causa vi abbia accennato. In realtà anche Seibezzi, come ha spesso chiarito, aveva usato il termine «genitore», così inviso ai partiti di destra, per venire incontro ai bambini privi di un padre o di una madre. E l’aveva fatto copiando dal libretto delle giustificazioni delle scuole superiori dove sta scritto «firma del genitore o chi ne fa le veci».

A rinfocolare la polemica l’introduzione nel 2015 della carta d’identità elettronica voluta dal Governo Renzi. Per i minori la richiesta poteva esser presentata dai «genitori o tutori». Nella sezione «genitori» si leggeva «cognome e nome dei genitori o di chi ne fa le veci», con la traduzione inglese «parents – tutor’s name». Ma nel gennaio 2019 si scatenò Salvini, fresco ministro dell’Interno. Per decreto la frase «o dai genitori o tutori in caso di minore» fu sostituita da «o dal padre o dalla madre, disgiuntamente, o dai tutori, in caso di minore». Dunque «genitori» venne rimpiazzato da «madre e padre»; le parole «cognome e nome dei genitori» da «cognome e nome del padre e della madre». Non si salvò nemmeno la traduzione inglese: al posto di «parents», «father and mother». Infine la variazione, che tanti problemi ha causato ai bimbi con un padre o con una madre: nella sezione dedicata alla presentazione della richiesta della carta d’identità elettronica, il decreto Salvini non dava scampo: «La richiesta valida per l’espatrio per il minore è presentata dal padre e dalla madre congiuntamente, o dai tutori». E chi aveva un solo genitore rimaneva a casa.

In disaccordo anche l’Europa, alle cui normative si rifà il prefetto Lamorgese quando subentra a Salvini da ministro dell’Interno: «genitori» è da preferire a «madre» e «padre», anche per eliminare la discriminazione nei confronti di chi ha soltanto uno dei due. All’epoca, però, è proprio Meloni a guidare il coro di quanti lamentano la reintroduzione di «genitore 1» e «genitore 2», nella pratica mai esistiti. Dopo la sentenza del giudice Crisafulli la partita è ricominciata sulla pelle dei bambini.