Putin senza rivali

Russia – Nel suo ultimo discorso del terzo mandato il presidente ha fatto sfoggio di missili chiarendo che la sua strategia nei prossimi sei anni è basata su guerra e sfida all’Occidente
/ 12.03.2018
di Anna Zefesova

Una dichiarazione di guerra: il discorso annuale sullo stato della nazione di Vladimir Putin, che è stato contemporaneamente il suo più importante discorso della campagna elettorale, a qualche giorno dalle presidenziali del 18 marzo, è stato uno sfoggio minaccioso di potenza militare. Davanti a un pubblico di mille persone – deputati, governatori, ministri e leader religiosi – che esplodeva in continui applausi, il presidente russo ha illustrato con l’ausilio di due maxi schermi su cui venivano proiettate infografiche e animazioni di missili, droni sottomarini, testate multiple e aerei ipersonici il nuovo arsenale russo. Tutte «armi che non ha nessuno», «rivoluzioni tecnologiche», «non intercettabili da nessun sistema antimissile esistente», addirittura «con raggio di azione praticamente illimitato» grazie a un propulsore atomico incorporato, con un’animazione che intanto mostrava la testata del missile strategico che si divideva in più parti che andavano a piovere sulla Florida, nei pressi della residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago, come hanno notato subito molti osservatori.

Un discorso che ha spinto molti giornali occidentali a titolare sulla nuova Guerra fredda, e a suscitare paragoni allo storico discorso di Nikita Krusciov all’Onu, quando la rabbia per i nemici capitalisti gli fece sbattere la scarpa sulla tribuna. Molti esperti hanno però visto più paralleli con gli sfoggi militaristi di Kim Jong-un: il filmato con l’attacco sull’America è risultato dopo un rapido fact checking dei giornalisti russi prelevato da una trasmissione della tv russa di ben 11 anni fa, e il dipartimento di Stato Usa ha laconicamente commentato di «essere al corrente» delle nuove armi russe, e di essere anche scettico sulla loro reale esistenza, visto che «gli ultimi test non sono stati un grande successo». Considerato che i trattati esistenti vincolano russi e americani a informarsi a vicenda sui rispettivi lanci di missili per i test, o i russi sono riusciti a collaudare armi nuove in violazione dei patti internazionali, oppure si è trattato di un’operazione diretta più a un pubblico interno che all’estero. E molti esperti, anche russi, sostengono che si tratta di armi che non esistono ancora nemmeno come prototipo, anche se Putin ammonisce che «non è un bluff» e invita i russi a inventare i nomi per i nuovi missili (e i twitter del ministero della Difesa si riempiono di proposte che vanno dai bucolici «Margherita» e «Aurora» ai caustici «Saluti dalla Russia», mentre la direttrice della tv internazionale del Cremlino, RT, propone semplicemente «Volodia», diminutivo di Vladimir).

Il presidente non nasconde contro chi sono puntati questi missili: «L’Occidente non è riuscito a fermare la Russia. Non ci avete dato ascolto, fatelo ora». E racconta la sua narrativa preferita: dopo il collasso del comunismo la Russia era un Paese debole, che aveva perso il territorio delle repubbliche ex sovietiche, ed era stato piegato dagli ex avversari. Un discorso nostalgico-aggressivo che negli ormai quasi 19 anni al potere di Putin ha sempre pagato: i picchi nei consensi il presidente russo li ha avuti quando ha lanciato guerre, contro la Cecenia, contro la Georgia, contro l’Ucraina, e la data delle elezioni non a caso è stata spostata al 18 marzo, quarto anniversario dell’annessione della Crimea, che ha regalato al capo del Cremlino la popolarità record dell’86%. Un numero che per il suo quarto mandato appare difficilmente ripetibile, e non a caso la parte tradizionale del discorso annuale del capo dello Stato, dedicata all’economia, al welfare, all’impresa e alle riforme, è stata molto sintetica e priva di grandi promesse: la recessione appare finita, ma i tagli alla spesa pubblica, il congelamento dei contributi privati alle pensioni, la chiusura degli ospedali, l’aumento della povertà – 20 milioni di russi hanno un reddito sotto la soglia minima – e la riduzione del reddito di tutti gli altri non permettono di dipingere prospettive troppo rosee, mentre appaiono inevitabili riforme come l’aumento della pressione fiscale dalla flat tax del 13% e dell’età pensionabile. Più che votare per un altro candidato, sembra che molti russi vogliano disertare le urne, anche perché il risultato è scontato, e le segnalazioni su studenti, dipendenti pubblici, medici e privati cittadini che ricevono dalle autorità pressioni per partecipare al voto e aumentare così l’affluenza sono sempre più numerose. E metà del discorso del presidente viene dedicata a magnificare la potenza militare di una Russia circondata da nemici, una retorica che finora ha sempre pagato.

L’immagine di grande potenza, presentata a pochi giorni dalle elezioni, viene però appannata non solo dalla crisi economica, ma anche da una serie di scandali, come l’arresto a Pattaya di Nastia Rybka. La escort «Nastia Pesciolino», Anastasia Vashukevich, bielorussa 25enne, occhi da gatto e labbra a canotto, è stata arrestata dalla polizia thailandese per aver condotto seminari illegali sulla seduzione a una ventina di turisti russi. Ora dal carcere di Bangkok Nastia, in attesa di estradizione in Russia, ha chiesto asilo negli Usa, promettendo in cambio di raccontare tutto sul Russiagate, con 16 ore di registrazioni del suo amante, l’oligarca Oleg Deripaska, che discute con altre persone coinvolte l’interferenza russa nelle elezioni americane.

La disinibita Rybka è una vittima della campagna del leader dell’opposizione Alexey Navalny che, escluso dalle elezioni, ha pubblicato in Rete l’inchiesta sul vicepremier russo Serghey Prikhodko (responsabile delle relazioni internazionali con Eltsin e poi con Putin) che va con le escort sullo yacht di Deripaska, con tanto di filmato girato dalla ragazza – e messo da lei su Instagram – in cui i due uomini discutono del conflitto tra Russia e Usa in termini piuttosto volgari. Per ricattare l’oligarca, Nastia ha scritto anche un libro che permette di rintracciare il percorso dello yacht Elden di Deripaska nei fiordi della Norvegia, nell’agosto 2016, con a bordo svariate ragazze. Deripaska è stato per anni in affari con il capo della campagna elettorale di Trump Paul Manafort, che gli aveva offerto «briefing privati» su The Donald, da far arrivare a Putin. Un personaggio chiave, dunque, e il «New York Times» ha rivelato che Deripaska avrebbe offerto agli americani di vuotare il sacco sul Russiagate, in cambio dell’immunità.

La reazione delle autorità russe allo scandalo è stata quella di oscurare, per la prima volta, un post di Navalny come «informazione vietata in territorio russo». Prikhodko non ha sporto querela, Deripaska è corso in tribunale, ma con una denuncia per violazione della privacy e non per calunnia. E Nastia «Pesciolino» sostiene che il suo arresto sarebbe stato ordinato da Mosca: il giorno dopo a Bangkok è atterrato l’Iliushin di Stato numero RA-96023, con a bordo Nikolay Patrushev, capo del Consiglio di sicurezza russo, ex capo dell’Fsb e uno dei collaboratori più stretti e più «falchi» di Putin. Una pura coincidenza, sostiene il Cremlino: Patrushev era lì per un negoziato con i colleghi thai. Lo stesso aereo però è al centro di un altro scandalo, dall’altra parte del mondo, a Buenos Aires, dove era arrivato nel dicembre 2017 per trasportare a Mosca 400 chili di cocaina trovati nella scuola dell’ambasciata russa. A Mosca sono stati arrestati tre ex tecnici dell’ambasciata, mentre il capo della banda, Andrey Kovalchuk, è latitante, ma secondo il suo avvocato in realtà è una spia russa incastrata da americani e argentini. Ma la parte più misteriosa è il trasporto della droga a Mosca, con un aereo di Stato, con posta diplomatica, forse già usata dalla gang in precedenza, e la quantità di droga fa pensare a una rete molto più estesa e collaudata.