Come affrontare il lungo inverno

Il lungo inverno. False Apocalissi, vere crisi ma non ci salverà lo Stato – l’ultimo libro di Federico Rampini, collaboratore di «Azione» ed editorialista del «Corriere della Sera» – è un tentativo di mettere ordine nella «perma-crisi» o crisi permanente che attraversiamo, di individuarne le vere cause, con l’aiuto di qualche raffronto storico con gli anni Settanta e cercando di evitare la tentazione di vedere sempre un’Apocalisse dietro l’angolo. I vari capitoli del saggio si concentrano di volta in volta su aspetti diversi: shock energetico e inflazione, il ruolo dei Paesi emergenti, gli scenari demografici e alimentari, il dilemma della politica monetaria, i rischi di un ritorno allo statalismo.

«Siamo entrati in un’era segnata dalla scarsità», afferma Rampini. «Ci sentiamo assediati da ogni sorta di penuria. Mancano l’energia e spesso anche l’acqua. Alimenti essenziali costano più cari. Troppe aziende lamentano di non trovare lavoratori. Sullo sfondo c’è la decrescita della popolazione che non risparmia la Cina. Con l’inflazione e il rialzo dei tassi diventa più rara e costosa la moneta. Quanto è reale, quanto è “fisica”, oggettiva e palpabile la scarsità in ciascuno di questi aspetti? Quanto è invece fabbricata, artefatta, il risultato di comportamenti e scelte politiche sbagliate? È irreversibile? O invece è un fenomeno temporaneo da cui usciremo come guarimmo da altre crisi? Il trauma cominciato con la pandemia e aggravato dalla guerra in Ucraina sarà solo l’inizio di una fase storica segnata da ristrettezze, sacrifici, razionamenti e tagli su tutto?». / RED.


Putin ha regalato l’Europa agli Stati Uniti

Un 2022 segnato da guerra, sanzioni, shock energetico, inflazione e grandi cambiamenti nel mondo del lavoro
/ 19.12.2022
di Federico Rampini

Guerra e sanzioni. Geopolitica dell’energia. Economia, inflazione e lavoro. Sono i temi sui quali il 2022 ci lascia in eredità delle lezioni importanti. Quasi nulla è andato secondo le previsioni. Le sorprese della «perma-crisi», o crisi permanente, si riflettono sugli scenari del mondo che verrà. La guerra iniziata il 24 febbraio 2022 è stata anzitutto un brutale risveglio per due autocrazie, quelle di Vladimir Putin e di Xi Jinping. L’analisi di Mosca e Pechino descriveva un Occidente decadente, che di fronte all’attacco in Ucraina avrebbe dovuto dividersi, con una Germania alla guida delle «colombe europee», le Nazioni così dipendenti dalle materie prime russe da non osare una sfida contro Putin. A scombussolare le previsioni è stata anzitutto l’Ucraina, che ha reagito compatta fra classe dirigente e popolo, ha sfoderato una capacità di resistenza notevole. L’America di Joe Biden, che inizialmente ebbe delle esitazioni sulla linea da tenere, ha ritrovato una capacità di leadership del fronte occidentale. Sul fronte bellico si è avuta prova della superiorità tecnologica delle armi occidentali, anche se questo può aver generato una fiducia eccessiva sulla possibilità di una soluzione militare. La decisione di Svezia e Finlandia di aderire alla Nato è di grande rilievo, vista la tradizione neutralistica dei due Paesi. Rafforza l’Alleanza e contribuisce anche a spostarne il baricentro geopolitico verso nord-est.

Lo stesso effetto di slittamento a nord-est lo esercita il nuovo ruolo della Polonia che ha stabilito un asse privilegiato con gli americani, essendo il Paese più lucido di fronte alla minaccia russa e il più determinato (con i Baltici) nel voler contenere l’espansionismo di Mosca. La ritrovata compattezza dell’Alleanza atlantica ha avuto varie conseguenze. L’America è stata risucchiata verso l’Europa, costretta a dedicare attenzione e risorse a un Continente che in teoria non rientrava più nelle sue priorità strategiche. Al tempo stesso l’America sembra aver convinto gli europei che devono assumersi maggiori responsabilità nella propria difesa; li ha «disciplinati», mettendo fine alle ambiguità di chi voleva trasformare l’Europa in una superpotenza autonoma in bilico fra America, Russia, Cina. In questo senso il bilancio dei primi dieci mesi di guerra in Ucraina si traduce in un guadagno geostrategico per gli Stati Uniti, che hanno cominciato a sganciare l’Europa dai suoi legami con Mosca. Riconoscere questo obiettivo beneficio non significa aderire alle teorie complottiste di chi descrive un’America regista della guerra, impegnata ad «aizzare» gli ucraini e a usarli in una «guerra per procura». Questi ultimi sono argomenti avanzati dalla propaganda russa per tentare di occultare i tremendi errori di calcolo fatti da Putin: è lui ad aver «regalato» l’Europa agli Stati Uniti, con un’aggressione che ha aperto gli occhi a molti.

Il bilancio è ambiguo sul fronte delle sanzioni. Nel decidere le misure economiche contro la Russia, gli occidentali (insieme con Giappone, Corea del Sud, Australia) hanno dato prova di coesione. La loro efficacia però è stata ridotta dal fatto che la Russia ha potuto riconvertire una parte del suo commercio estero verso la Cina, l’India e un vasto fronte di Paesi «non allineati» in Asia, Africa, America latina. Si è confermato che le sanzioni raramente costringono le autocrazie a cambiare le loro scelte politiche; ancor più raramente provocano la crisi di un regime. Più cresce la platea di Paesi sottoposti a sanzioni occidentali, più si configura un «atlante alternativo» del pianeta, dove le Nazioni in castigo rafforzano i legami fra loro e per questa strada recuperano una certa autosufficienza. Di particolare rilievo è il ruolo di quel terzo polo che non si schiera apertamente né con l’Occidente né con la Russia ma continua a fare affari con tutti: ne fanno parte la maggioranza dei Paesi asiatici, africani, sudamericani.

Sembrano aver funzionato a modo loro le contro-sanzioni di Putin sull’energia, costringendo i Paesi europei a un salasso di risorse per poter affrontare con scorte adeguate il primo inverno di guerra. Sull’energia gli europei hanno dovuto apprendere dure lezioni di realismo. Molto prima della guerra in Ucraina si erano legati ad una dipendenza eccessiva verso il gas russo illudendosi che non avesse dei costi politici: questi si sono rivelati immensi. Si erano anche illusi sulle possibilità di una transizione veloce e pressoché totale verso le energie rinnovabili, i cui limiti restano enormi. Il contraccolpo è stato brutale. Privati del gas russo molti Paesi hanno ripreso a consumare carbone, ben più inquinante. Le rinnovabili, oltre a non poter sostituire integralmente le energie fossili, dipendono in buona parte da tecnologie cinesi o materie prime controllate da Pechino. Sulle energie fossili le Nazioni europee hanno dovuto operare una riconversione o torsione geopolitica, speculare e inversa rispetto a quella avvenuta dopo gli shock petroliferi del 1973-79. Allora l’Europa cercò di ridurre la propria dipendenza dal mondo arabo e si girò verso Mosca; ora rifà la manovra al contrario. Al tempo stesso, e per la prima volta nella storia, le importazioni europee di gas dagli Stati Uniti hanno superato quelle dalla Russia.

Shock energetico e guerra hanno avuto conseguenze sui rapporti di forze relativi tra le due Nazioni più importanti della Nato, Stati Uniti e Germania. L’America è l’unica superpotenza a controllare i tre fattori-chiave del triangolo magico su cui poggiano gli imperi: moneta universale, energia, superiorità tecnologica. La Germania ha visto franare un modello economico basato su due ingredienti: gas russo a basso prezzo e mercato cinese spalancato. Grandi cambiamenti ci sono stati nel mondo del lavoro. Questi sembrano legati alla pandemia, in vari modi: dagli effetti psicologici e sulla ridefinizione delle priorità individuali (soprattutto fra i giovani), all’aumento dell’assistenzialismo in varie parti dell’Occidente, America inclusa. Il risultato netto è stata una maggiore rigidità della forza lavoro, una predilezione per lo smartworking in vari settori e in certi casi la scomparsa di alcune fasce di manodopera dal mercato. Nell’insieme, soprattutto negli Stati Uniti, fenomeni di scarsità di forza lavoro hanno contribuito a modificare i rapporti di forza a favore dei dipendenti, per la prima volta da molti decenni.

L’inflazione è stata capace di sorprendere le banche centrali e ha inferto un nuovo colpo alla credibilità già minima degli economisti. Quasi nessuno di loro aveva previsto un anno fa le fiammate inflazionistiche che hanno segnato il 2022. Ne è seguita una sterzata delle politiche monetarie, per cui il mondo intero è uscito da 14 anni di abbondanza della liquidità, ad una situazione di rialzo dei tassi e crisi debitorie. Tra le prime vittime del nuovo clima monetario più austero ci sono alcuni Paesi emergenti indebitati in dollari e le criptovalute. Il 2022 si chiude con qualche segnale rassicurante sulla capacità delle banche centrali di domare l’inflazione.