Putin e la strategia del dialogo

La Federazione russa sta vivendo una fase di debolezza ed è costretta a cercare appoggio un po’ su tutti i fronti, dall’Oriente all’Occidente. In gioco c’è la sua sopravvivenza futura
/ 28.06.2021
di Lucio Caracciolo

La Russia cerca di uscire dall’assedio. Nel giro di un paio di settimane, Putin ha prima incontrato Biden a Ginevra, poi ricevuto con compiacimento l’invito franco-tedesco a un incontro con l’Ue, cui hanno aderito anche Italia e altri paesi europei, per ristabilizzare il continente. Niente di clamoroso, ma la volontà su entrambi i fronti di ristabilire un dialogo decente fra Russia e Occidente.

Sono sette anni che i rapporti fra Nato e Russia hanno subìto un netto peggioramento. Tutto è cominciato nel 2014 con la crisi ucraina e con il colpo di mano anglo-americano a Kiev, culmine di un vasto movimento di piazza, che ha liquidato la leadership filo-russa (o presunta tale). Da allora, e per il tempo visibile, l’Ucraina è fuori dalla sfera d’influenza russa. In extremis Putin ha recuperato manu militari la Crimea, mentre continua a sostenere i ribelli del Donbass, la regione più povera e più «russa» dell’Ucraina, nella guerra a bassa intensità contro Kiev.

Gli americani non avevano però calcolato la conseguenza strategica di questo loro successo. Privo di riferimenti in Occidente, con le spalle al muro, a Putin non restava che recarsi, cappello in mano, da Xi Jinping per iscriversi al partito cinese nella competizione Pechino-Washington sulla leadership mondiale. Operazione dolorosa, certo non spontanea. La diffidenza, quando non l’ostilità reciproca fra russi e cinesi, due civiltà prima ancora che due imperi, segna la storia non solo moderna del continente eurasiatico. Quella mossa ha maturato nel tempo una strana ma effettiva intesa fra Mosca e Pechino, che altera a favore della Cina il rapporto di forze con l’America. Fra l’altro, i russi stanno armando fino ai denti i loro provvisori partner orientali, trasferendo loro tecnologie e conoscenze di primo livello anche in campo spaziale. Non è facile prevedere quanto l’attuale accordo possa continuare.

Fatto è che la Federazione Russa vive una fase di speciale debolezza. Sul fronte dell’impero esterno, dopo la perdita della Ucraina potrebbe toccare presto anche alla Bielorussia, con ciò portando il confine fra occidentali e russi quasi in vista delle mura del Cremlino. È dalla fine dell’Unione Sovietica (1991) che la cortina di ferro, tutt’altro che smantellata, si è scoperta mobile. A senso unico. Avanza infatti, passo dopo passo, ben dentro lo spazio ex sovietico. Considerando la scarsa affidabilità del provvisorio partner cinese, la pressione da sud di islamisti armati, il rapporto molto ambiguo con la Turchia – nemico di sempre – e soprattutto la decisione americana di considerare nefando e avversario il regime di Putin, ce n’è abbastanza per dubitare che la Federazione Russa possa conservarsi integra nei prossimi anni. Si aggiunga che lo zar è entrato nella fase finale e discendente della sua parabola senza che all’orizzonte appaia un successore, e la diagnosi può apparire quasi sentenza di morte annunciata.

È in questo contesto che Putin sta cercando di dividere gli occidentali, secondo una tecnica di sperimentata matrice sovietica. Prima il cauto dialogo con Biden, comunque un passo avanti rispetto agli insulti e ai reciproci solipsismi dominanti negli ultimi anni, poi l’intesa con gli europei occidentali, che non vogliono isolare la Russia. Non perché l’amino, ma in base a calcoli di sicurezza e di utilità. Il collasso di quell’immenso paese, difficilmente concepibile in termini pacifici, aprirebbe un vuoto enorme. Con rischio di dispersione dell’arsenale nucleare e, in prospettiva, di avanzamento della Cina verso Occidente, attraverso la Siberia. Si aggiunga l’interdipendenza gasiera, e si intuisce perché Parigi e Berlino abbiano tentato la sortita negoziale.
I paesi dell’ex blocco sovietico in Europa non l’hanno presa bene. Quanto agli ucraini, sono infuriati. Ma è tutta la «Nuova Europa» che vede nel dialogo russo-americano, prima, e in quello euro-russo, poi, conferma del sospetto di sempre: gli occidentali non moriranno per noi se i russi ci attaccheranno. E siccome molti di loro sono convinti che l’attacco sia ben possibile, se non imminente, la conferma risulta assai preoccupante. La Nato è appena uscita da un vertice destinato a ostentare compattezza, che al primo stormir di vento si conferma illusoria.

Alla fine la palla è in casa russa e americana. Saranno Mosca e Washington a stabilire se, e in che misura, una fase di distensione sia possibile oggi. Cominciando per esempio dal controllo degli armamenti strategici. Gli europei, se vorranno, seguiranno. Rigorosamente divisi. Perché alla fine in Europa ci dividiamo fra chi considera i russi degli europei un po’ speciali, piuttosto irritabili e prepotenti, ma utili e razionali (la Vecchia Europa), e chi li tratta da barbari asiatici (la Nuova Europa). Non sarà un vertice in più o in meno ad alterare percezioni tanto opposte.