Progetti avveniristici da sogno

Trasporti&visioni - Il metrò per le merci potrebbe diventare realtà tra dieci anni con l’inaugurazione del primo troncone tra Zurigo e Egerkingen. Il progetto di scalare le Alpi con le navi di Pietro Caminada, un ingegnere italo-svizzero, è rimasto invece un sogno
/ 04.10.2021
di Luca Beti

Presi come si è dalla pandemia, ci si dimentica a volte di alzare il proprio periscopio e di guardare oltre i dati dei contagi, la percentuale dei vaccinati e le varianti. Può succedere così che ci sfugga qualche notizia interessante, magari anche incoraggiante come quella sul progetto avveniristico «Cargo sous terrain», il metrò per le merci. Nella sessione estiva delle Camere federali, il Consiglio degli Stati ha approvato all’unanimità una nuova legge che crea le basi legali per la realizzazione di una rete di gallerie per il trasporto delle merci nell’Altopiano svizzero. Il Consiglio nazionale l’ha discussa nella sessione autunnale, approvando le basi giuridiche con 137 voti a favore e 37 contrari. La legge dovrebbe entrare in vigore nel 2022.

Più che di un progetto futuristico, si può quasi parlare di una realtà vicina. Secondo i piani della società promotrice, la Cargo sous terrain SA, i lavori di costruzione inizieranno tra cinque anni. L’inaugurazione del primo troncone di 67 chilometri tra Egerkingen/Niederbipp, crocevia logistico nel Canton Soletta, e la regione di Zurigo, è prevista nel 2031. I costi di realizzazione sono stimati a 3,5 miliardi di franchi. L’idea è di creare una specie di posta pneumatica sotterranea per trasportare generi alimentari, vestiti o apparecchi elettrici dai grandi centri di distribuzione nella regione di Olten al cuore economico della Svizzera, a Zurigo. Veicoli su ruote autonomi ed elettrici, che viaggiano 24 ore su 24, sette giorni su sette, a circa 30 chilometri all’ora su tre corsie, sposteranno bancali da A a B. Per il trasporto rapido sarà allestita una funivia appesa al soffitto che trasporterà pacchi e lettere a circa 60 km/h. Nei punti di trasbordo, i cosiddetti hub, i bancali o i contenitori di piccole dimensioni saranno riportati in superficie tramite montacarichi e poi distribuiti nei centri urbani mediante un capillare sistema di trasporto che farà capo a veicoli silenziosi e a basso impatto ambientale.

In seguito, il complesso sistema di galleria verrà ampliato a tappe e collegherà sull’asse est-ovest Ginevra e San Gallo, integrando le città di Basilea, Lucerna e Thun. Il dedalo sotterraneo di circa 500 km dovrebbe essere ultimato nel 2045. I costi del progetto si aggirano sui 30-35 miliardi di franchi, quasi 15 miliardi in più dell’importo speso per la realizzazione dell’AlpTransit. 

A differenza della nuova ferrovia transalpina, il metrò per le merci non sarà sostenuto dalla Confederazione, bensì da una cordata di importanti attori privati, tra i quali La Posta, FFS Cargo, Swisscom, Migros, Coop, die Mobiliar, Vaudoise, Credit Suisse, la Banca cantonale di Zurigo. Il gruppo ha già sbloccato un prefinanziamento complessivo di 100 milioni di franchi per la fase di progettazione fino all’inizio dei lavori di costruzione nel 2026. L’azienda cinese Dagong Global, che deteneva il 17 per cento delle azioni, è invece uscita di scena. La sua partecipazione al progetto ha fatto storcere il naso a più di un politico a Berna e per smorzare sul nascere il prevedibile vento di fronda nei confronti dell’iniziativa, la Cargo sous terrain SA ha preferito rinunciare ai capitali provenienti da Pechino.

Al momento, il metrò per le merci sembra godere di un ampio sostegno finanziario da parte dell’economia privata elvetica. Sarà un elemento decisivo per la sua realizzazione. In passato, quante idee geniali sulla carta hanno infatti fallito nel momento in cui dovevano essere trasformate in realtà? Sono innumerevoli. Tra queste mi piace ricordare quella di Pietro Caminada. L’ingegnere italo-svizzero di origini grigionesi voleva creare una «via d’acqua transalpina», un sistema di gallerie per superare le Alpi con navi da carico. Un’intuizione geniale che, almeno in teoria, sembrava funzionare. Caminada intendeva scalare le montagne con le navi, sovvertendo le leggi della fisica. Ma chi era questo utopista che ricorda, in parte, la storia di Fitzcarraldo che a cavallo fra ’800 e ’900 trasportò una nave oltre una montagna nella foresta amazzonica? Della vita di Pietro Caminada non si sa molto. Nato nel 1862 a Milano, figlio di Gion Antoni Caminada di Vrin, villaggio nella val Lumnezia nei Grigioni, e figlio di Maria, una milanese. Subito dopo la morte del padre, emigra con il fratello in Argentina. Nel 1892, i due visitano Rio de Janeiro. Pietro viene ammaliato dalla metropoli e decide di rimanervi. Nei quindici anni trascorsi in Brasile partecipa a vari progetti, per esempio disegna i primi piani urbanistici della futura capitale Brasilia oppure fa transitare un tram sull’acquedotto in disuso «Arcos de Lapa», diventato poi uno dei simboli di Rio de Janeiro. Nel 1907 rientra con la famiglia in Italia e a Roma apre uno studio di architettura. L’idea di una «via d’acqua transalpina» se la porta in valigia dal Sudamerica e la presenta lo stesso anno nella pubblicazione «Canaux de montagne – nouveau système de transport naturel par voie d’eau».

All’inizio del XX secolo oltre che sullo sviluppo della rete ferroviaria, in Europa si punta molto sulle vie d’acqua per raggiungere i porti più importanti. E proprio dal porto di Genova doveva partire il sistema di canali di Caminada. Superati gli Appennini al Passo dei Giovi con una galleria di 3 chilometri, si proseguiva lungo la Pianura padana fino al lago di Como. A Chiavenna, per le chiatte di 50 metri di lunghezza e 500 tonnellate di peso iniziava la vera e propria salita lungo la Val San Giacomo fino al Passo dello Spluga, superato con un tunnel di 15 chilometri che partiva da Isola e raggiungeva la Gola della Roffla, nella valle del Reno posteriore. Attraverso la val Schons e la Viamala, il canale raggiungeva Thusis e infine il lago Bodamico e Basilea. La lunghezza della via d’acqua era di 591 chilometri, di cui 230 su laghi e fiumi navigabili. Il canale vero e proprio misurava quindi 361 chilometri: 30 percorsi in gallerie doppie, 43 nel sistema tubolare e il resto a cielo aperto. Le «chiuse tubolari» sono l’elemento centrale del progetto. Invece delle chiuse convenzionali, Caminada prevede due tubi paralleli e comunicanti: quando una sezione si riempie d’acqua, la nave al suo interno viene spinta in avanti e verso l’alto, mentre nell’altra chiusa tubolare la nave scende con l’acqua. Insomma, un ascensore azionato dalla forza di gravità in una sorta di «perpetum mobile». Alla sua invenzione, l’ingegnere dà il nome di «autoidroferica», una creazione linguistica per spiegare un sistema di trasporto autonomo e funzionante senza impiego di energia. In quegli anni, nulla era impossibile: la ferrovia conquistava il mondo, i transatlantici collegavano i continenti e il canale di Suez univa gli oceani. Nessuno metteva quindi in dubbio la fattibilità del progetto.

Pietro Caminada è una personalità carismatica che sa catturare l’attenzione di vari personaggi in vista e possibili finanziatori. Tra di loro c’è anche il senatore Giuseppe Colombo. In un articolo pubblicato in prima pagina sul «Corriere della Sera», l’ex ministro delle finanze ed ex direttore del Politecnico di Milano scrive di una soluzione che apre «orizzonti nuovi e inaspettati alla navigazione transalpina». Cinque giorni più tardi, all’inizio di gennaio del 1908, il re Vittorio Emanuele III invita Caminada a un’udienza privata al Quirinale. «Quando io sarò dimenticato da tempo la gente parlerà ancora di lei», gli dice il monarca. E invece non andrà proprio così. Nonostante l’entusiasmo generale, anche il «New York Times» dedica un articolo a Caminada, «a man of genius», il progetto rimane un sogno. In quegli anni, l’Italia è in difficoltà economiche e sociali. Nel 1915, il Paese entra in guerra. Della «via d’acqua transalpina» non parla più nessuno. Pietro Caminada non la dimentica e nel 1923 intende svolgere un primo sopralluogo nella zona dello Spluga. Anche questo rimane però un progetto irrealizzato. Caminada muore qualche mese prima a Roma all’età di sessant’anni.

Bibliografia
«Verkannte Visionäre – 25 Schweizer Lebensgeschichten» di Helmut Stalder, NZZ Libro.