Problema rinviato ma non risolto

Scenari – Nelle prossime settimane si giocheranno i destini dell’Ue e, soprattutto, del Regno Unito
/ 21.01.2019
di Lucio Caracciolo

Il Brexit è un giallo. Mancano poche settimane alla scadenza del 29 marzo, quando secondo le regole vigenti il Regno Unito dovrebbe dire addio all’Uni­one Europea, uscendone senza alcun accordo. Ma siamo nel mondo reale, non in quello del puro diritto. E soprattutto siamo nello spazio comunitario, dove se mai c’è una regola è quella che stabilisce la possibilità – se non la necessità – di adattare le norme al peso degli Stati membri e alla gravità delle questioni sul tappeto. Ora, il Regno Unito è senza dubbio un peso massimo, e la questione della sua permanenza o meno nell’Ue assolutamente vitale per ciò che resta della famiglia comunitaria e soprattutto per i britannici stessi. Tutto quindi sembrerebbe cospirare verso un eventuale rinvio, forse anche lungo, della scadenza. Ma il caos che regna a Londra e la debolezza dell’insieme comunitario non garantiscono affatto che a questo rinvio – ripetiamo: rinvio, non soluzione del problema – davvero si arrivi.

Dopo che il Parlamento britannico aveva sconfessato con 432 no e solo 202 sì l’intesa con Bruxelles, faticosamente negoziata per mesi da Theresa May con la Commissione europea – margine negativo mai toccato da un primo ministro dal 1924, «regnante» Ramsay McDonald – il giorno successivo la stessa signora premier è stata salvata dal suo partito e dalla sua esigua maggioranza, che le ha votato la fiducia. In termini pratici, questo consente a Londra di chiedere un prolungamento del negoziato. Tempi supplementari che potrebbero consentire di negoziare un’intesa più favorevole ai britannici, digeribile da Westminster. O persino lo svolgimento di un secondo referendum.

Tutto ciò però a due condizioni. Primo: May deve volerlo e farlo passare all’interno di un partito, di un parlamento e di un Paese in preda a una crisi di nervi. Secondo: gli altri membri dell’Unione Europea devono concederle i tempi supplementari – forse i rigori. La seconda ipotesi è forse meno improbabile della prima. Il fatto che Angela Merkel cominci ad esprimersi anche pubblicamente in questo senso ne è una conferma. La cancelliera sembrerebbe suggerire l’opzione del secondo referendum, che secondo i sondaggi potrebbe rovesciare il Brexit. Un doppio salto mortale che richiede tempo, calma e decisione. Risorse di cui oggi a Londra si riscontra la carenza.

È antico costume comunitario far ripetere i referendum finché il popolo non vota «giusto». Così svuotandolo di senso. Ma il Regno Unito è un grande paese e gli inglesi un popolo orgoglioso e capace di scatti imprevisti, apparentemente irrazionali – per esempio combattere contro Hitler quando tutto sembrava suggerire la necessità della resa. Per fortuna quei tempi sono trascorsi, e poi la May non è certo Churchill. Eppure le scelte che dovranno essere prese dai sudditi di Sua Maestà Britannica e da chi li rappresenta sono esistenziali. Un Brexit disordinato potrebbe disintegrare il Regno Unito. Non solo sotto il profilo economico, ma in quanto Stato.

La Corona tiene infatti insieme un complesso di popoli e di soggetti molto diversi. I quattro principali sono Londra, l’Inghilterra profonda, la Scozia e l’Irlanda. La capitale è una sorta di città-stato piuttosto cosmopolita, che in caso di Brexit vedrebbe sfumare il sogno di qualificarsi come massimo centro finanziario del pianeta. I Little Englanders che la circondano, tra il vallo di Adriano e la Manica, la detestano cordialmente, quasi quanto odiano Bruxelles – caso da manuale di rivolta contro le élite. A Edimburgo Brexit sarebbe probabilmente sinonimo di nuovo referendum sulla secessione, forse stavolta vinto dai nazionalisti scozzesi. Quanto ai nordirlandesi, per i quali il Brexit duro implica un nuovo muro con l’Irlanda e il riemergere in piena vista della spaccatura interna fra cattolici e protestanti, nazionalisti e unionisti, non si può escludere il ritorno alla violenza intestina, a una guerra civile strisciante.

Il tempo è scarso, il caos massimo. Nelle prossime settimane si giocano contemporaneamente i destini dell’Unione Europea e, soprattutto, del Regno Unito, residuo insulare di uno dei più gloriosi imperi della storia universale. Fa pensare la constatazione che nella grande ora siano così piccoli i leader cui spetta l’ultima parola, al di là e al di qua dal Canale. Talvolta l’altezza della sfida può trasfigurare i capi, o farne emergere di nuovi. Non sembra, per ora, il caso.