Il 2023 si è aperto con una grande novità per la diplomazia elvetica. Il primo gennaio la Svizzera è diventata membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Ha conquistato uno dei dieci seggi attribuiti agli Stati membri non permanenti, che in seno al Consiglio operano accanto ai cinque Stati membri permanenti, che sono gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Francia e la Gran Bretagna. È la prima volta che la Svizzera assume questo ruolo nel più importante organo delle Nazioni Unite, chiamato a promuovere e difendere la pace e la sicurezza internazionali. Un ruolo che assumerà per due anni, fino alla fine del 2024.
Quale potrà essere la posizione di un piccolo Paese neutrale in un organo che, almeno sulla carta, ha un raggio d’azione e ambizioni mondiali? Il Consiglio di sicurezza è l’espressione del mondo sorto dopo la fine della seconda guerra mondiale. Assegna un ruolo preferenziale alle potenze vincitrici del conflitto ed è sovente paralizzato dall’uso del diritto di veto, cui possono ricorrere gli Stati membri permanenti. Le tensioni e i contrasti tra le potenze occidentali da una parte, la Russia e la Cina dall’altra, sono profondi ed emergono costantemente. Quello che è successo con la guerra in Ucraina è l’esempio più recente. Mosca ha bocciato tutte le risoluzioni che condannavano l’uso della forza da parte dei russi e le Nazioni Unite sono rimaste praticamente impotenti di fronte alle numerose violazioni del diritto internazionale e alla tragedia umana che ne è scaturita.
Nonostante il bilancio negativo sulla promozione e la difesa della pace, il Consiglio di sicurezza può far fronte ad altre importanti sfide internazionali provocate dall’urgenza climatica, dalla pandemia, dalla crisi economica, dalla protezione dei civili nelle regioni in guerra oppure dalle migrazioni. In questi settori la Svizzera può essere presente e dare un suo contributo. Soprattutto quando assumerà la presidenza del Consiglio di sicurezza. Succederà due volte, durante il mese di maggio 2023 e durante il mese di ottobre 2024.
Il raggiungimento di un seggio di Stato membro non permanente è stato l’epilogo di un lavoro politico e diplomatico durato una decina d’anni. La Svizzera fa parte dell’ONU dal 2002 e si è candidata a un seggio nel Consiglio di sicurezza nel 2011. Cominciò allora un’opera di convincimento sul piano internazionale e, soprattutto, sul piano interno, dove emersero le resistenze più forti. L’UDC ritenne che la candidatura fosse incompatibile con la neutralità e potesse mettere in pericolo il ruolo di mediatore internazionale della Svizzera, nonché i suoi buoni uffici. Cercò di bloccarla, ricorrendo ad alcuni atti parlamentari. Nel 2016 presentò una mozione con la quale chiese l’abbandono della candidatura. La mozione venne però respinta dal Parlamento e la stessa sorte toccò a una seconda analoga mozione, presentata ancora dall’UDC nel 2018. Il 9 giugno 2022 l’Assemblea generale dell’ONU ha attribuito alla Svizzera un seggio non permanente per due anni, con 187 voti su 192.
La questione della compatibilità con la neutralità rimane comunque importante in un Paese molto diviso nel dibattito su questo principio fondamentale di politica estera. Un dibattito in cui non trova sufficiente spazio la distinzione tra il diritto della neutralità, fissato nella Convenzione dell’Aja del 1907, e la politica della neutralità, ossia quelle misure che uno Stato neutrale può adottare per garantire la propria sicurezza e per tener conto dei bisogni della solidarietà internazionale e del mantenimento della pace. Un dibattito che tornerà ancora più d’attualità quando andrà in votazione l’annunciata iniziativa popolare voluta da Christoph Blocher. L’anziano leader dell’UDC è favorevole a una neutralità integrale, iscritta nella Costituzione federale e che impedisca, per esempio, di adottare le sanzioni economiche che il mondo occidentale ha decretato contro la Russia.
Nel 2015 il Consiglio federale ha pubblicato un rapporto in cui sostiene che l’essere membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è incompatibile con la neutralità. La sua tesi si appoggia sulla recente evoluzione di questo principio e sulla presenza nel Consiglio di alcuni Stati neutrali. L’Irlanda e la Norvegia fanno parte del Consiglio di sicurezza. L’Austria e la Svezia sono già state membri del Consiglio; la Svezia addirittura quattro volte, l’ultima nel 2017-2018. Ogni Paese ha la propria storia e la propria tradizione e, probabilmente, definisce e applica in modo diverso il principio di neutralità. Toccherà alla Svizzera trovare una strada che le consenta di difendere la neutralità senza danneggiare le decisioni comuni e ritrovarsi isolata.
Quali saranno i punti di maggiore interesse che caratterizzeranno l’azione della Svizzera nel Consiglio di sicurezza? Il Consiglio federale ha definito quattro priorità tematiche: la difesa e la promozione della pace, la protezione della popolazione civile nelle regioni dove ci sono conflitti armati, il sostegno delle iniziative in favore del clima e l’appoggio alle misure che possano agevolare la riforma del Consiglio di sicurezza e rendere più efficace la sua azione. È un vasto programma chiamato a rendere molto intensa l’azione che svolgerà la delegazione elvetica guidata dall’ambasciatrice Pascale Baeriswyl. Il Consiglio federale ha pure indicato le procedure che verranno seguite per preparare, in tempi brevi, le prese di decisione. A seconda dell’importanza dei temi discussi verranno coinvolti il Dipartimento degli esteri, il Consiglio federale e, nei casi più importanti o più gravi, anche le commissioni di politica estera del Parlamento. Influenzeranno il processo anche le situazioni che sorgeranno in futuro e sulle quali oggi è possibile tratteggiare solo delle ipotesi. È probabile, per esempio, che la Russia e la Cina eserciteranno pressioni sulla Svizzera, per condizionarne le prese di posizione, per mettere alla prova la sua neutralità. Non è però possibile prevedere fin dove arriveranno queste pressioni. Infine conviene tener presente l’evoluzione della situazione internazionale e le sue ripercussioni. In particolare come terminerà la guerra in Ucraina, il sorgere di possibili nuovi conflitti generati dalle ambizioni cinesi su Taiwan e il protrarsi delle rivalità tra democrazie liberali e regimi autarchici.