Ponte Morandi, un anno fa il crollo

Genova – Il 14 agosto del 2018 43 persone hanno perso la vita a causa del crollo della struttura che sarà sostituita da una nuova su idea dell’architetto Renzo Piano
/ 05.08.2019
di Luigi Baldelli

«Papà, è crollato il ponte». «Non dire stupidaggini Daniele, scherzi sempre». La ricorda così, Anacleto  68 anni, quella mattina di Genova del 14 agosto 2018. Lo incontro davanti al portone del palazzo dove abita, a via del Campasso. La strada poco più avanti è sbarrata da lamiere e cemento. Il suo è l’ultimo palazzo prima dell’inizio della zona rossa, la parte inaccessibile, la zona del ponte caduto che passava sopra ai palazzi e al torrente Polcevera ed univa Sampierdarena a Cornigliano, dove alcune case sono state già abbattute e presto anche quelle disabitate e ancora in piedi seguiranno la stessa sorte. Anacleto fa il cuoco ed è arrivato da piccolo a Genova nel ’67, proprio quando stavano inaugurando il viadotto. «Per noi era un punto di riferimento, la sera con mia moglie ci si affacciava al balcone a guardare le luci delle auto che passavano. Può sembrare una cosa strana per chi non è di qui, assurda forse anche. Non era certo la visione più bella del mondo, ma era il nostro ponte. Io ci passavo mille volte all’anno. E adesso è strano non vederlo più». 

Il Ponte Morandi, che prende il nome dal suo architetto, è crollato seppellendo 43 persone che sono ricordate con mazzi di fiori sul ponte pedonale delle Ratelle. Quella mattina del 14 agosto di un anno fa si stava abbattendo un forte temporale. Così forte che il rumore dei tuoni aveva attutito e sopraffatto quello del crollo. Ma quel rumore, insieme al dolore della tragedia, in qualche modo, risuona ancora nell’aria a Genova. 

Poco dopo quella triste data sono iniziati i lavori di ricostruzione. Prima hanno iniziato a demolire quello che era rimasto in piedi: i moncherini del ponte, le case sotto e accanto a dove era stato costruito. Ma demolire è molto più difficile che costruire. E dopo aver ripulito dalle macerie, aver permesso ai residenti di portare via le loro cose dalle case in cui non potevano più stare, sigillato i palazzi, chiuso le strade, smontato alcuni pezzi del ponte, a inizio giugno di quest’anno è iniziata la demolizione dei palazzi. Il giorno 28 alle 9,38 c’è stata l’esplosione che ha fatto crollare definitivamente quello che era rimasto del viadotto. Solo una parte di una pila oggi è ancora in piedi, sul lato di Cornigliano. Nel Ponte Morandi, nelle sue macerie, c’è amianto, la polvere tossica, e la preoccupazione dei cittadini per la propria salute è forte. 

Via Porro è lì, dietro l’angolo. Se ne possono percorrere solo un centinaio di metri e poi blocchi di cemento e transenne bloccano la strada. È l’inizio della zona rossa e un alto telone verde preclude la vista su quello che succede dall’altra parte. Si può intuire, dal rumore delle ruspe e dei martelli pneumatici: le ultime case stanno per essere abbattute. Poco lontano, un tendone bianco è la sede del comitato degli inquilini e degli sfollati coinvolti dal crollo. Si riuniscono qui per decidere che cosa fare, condividere informazioni, esperienze, chiedere aiuto. In fondo, su un telo bianco appare il numero 43, che ricorda il numero delle vittime. 

Il Ponte Morandi inaugurato nel 1967, in pieno boom economico, è stato uno dei simboli non solo per i genovesi, ma per tutto il Paese. E rappresenta, forse, la metafora della vita italiana e di un Paese che non identifica i responsabili della tragedia. Il suo crollo ha messo a nudo negligenze e menefreghismo. 

Lungo una salita in cerca di un punto «panoramico» interessante, mi imbatto in Ferdinando, calabrese, capelli bianchi arruffati e mani da operaio. Mi conduce in un luogo dove riesco a vedere le macerie del ponte: pezzi di ferro, cemento, calcinacci, un pezzo di asfalto che una volta era l’autostrada. Camion e operai in continuo movimento. Se allungavi la mano, mi spiega, da qui ti sembrava quasi di toccare il ponte. Per 19 anni ho visto le auto sfrecciare, ho sentito il rombo dei loro motori. Sto per congedarmi da lui quando,  con voce profonda e ferma, mi dice: «Sai quale è il ricordo che conserverò per sempre di quel giorno? Il silenzio che è seguito a quel devastante rumoroso crollo».