In Europa è nata una nuova stella. Si chiama Polonia e si avvia a essere la prima potenza militare del Continente. Questa Nazione, che appare e scompare dalle carte geografiche a vantaggio o svantaggio degli imperi russo e/o germanico, è di nuovo sulla cresta dell’onda, forse come non lo è mai stata prima. Deve questa sua repentina ascesa al conflitto in Ucraina, nel quale Russia e Germania appaiono oggi i principali perdenti. Mosca perché si è lanciata in un’avventura militare senza sbocco strategico positivo. Berlino perché, del tutto impreparata alla guerra, ha perso d’un colpo l’interdipendenza energetica con la Russia e vede ridotta la sua relazione economica speciale con la Cina, mentre il suo nanismo militare ne diminuisce la taglia complessiva nella classifica delle potenze.
Di più: nello scontro con la Russia Varsavia è essenziale per gli Stati Uniti. Perché di sicura fede antirussa e antigermanica, per conseguenza filoamericana fino all’eccesso. Sicché risponde alla perfezione al paradigma atlantico, basato sul trittico «Americans in, Russians out and Germans down». Tradotto quindi in «Poles up». Elementare Watson? Sì, ma vero proprio perché elementare. Vediamo come la Polonia si è conquistata il suo nuovo peso dopo il 24 febbraio 2022, rara data discriminante fra una fase storico-geopolitica e l’altra.
In primo luogo si è proposta come retrovia dell’Ucraina invasa. Ospitando milioni di cittadini ucraini in fuga. E accogliendoli con grande fervore. Se consideriamo l’ostilità che nel passato recente ha diviso Kiev e Varsavia, la prestazione appare specialmente notevole. In secondo luogo si è affermata come canale di transito privilegiato, quasi obbligato, dei trasferimenti di armi occidentali alle truppe di Zelensky. Senza questo flusso continuo, efficiente e crescente, Kiev sarebbe oggi probabilmente rientrata nei ranghi imperiali russi. Oltre alle armi e alle munizioni, quello polacco è anche il percorso da cui transitano i volontari che a migliaia vanno al fronte per combattere i russi. Tra cui moltissimi soldati polacchi, esentati dall’obbligo di servire solo la patria. Anche perché, dal punto di vista del Governo di Varsavia, la stanno non ufficialmente servendo. In terzo luogo perché in questo modo la Polonia si qualifica leader di uno schieramento antirusso esteso dalla Scandinavia al Mar Nero, nel quale brillano svedesi, finlandesi, norvegesi, baltici, cechi, slovacchi e romeni, perfino i bulgari. Eccezione fanno gli ungheresi, a conferma che nell’Alleanza atlantica (NATO) si può stare in diversi modi, financo strizzando l’occhio al nemico e trafficando serenamente con esso. In quarto luogo perché i tre punti precedenti consentono agli americani di guardare alla Polonia come perno del loro informale impero europeo. D’intesa con i britannici, perfettamente in sintonia con le altre Nazioni russofobe dell’est.
Per rispettare gli schemi, Varsavia manifesta insieme alla sua inconcussa fede antirussa una altrettanto ferma germanofobia. Mentre combatte armi alla mano in Ucraina contro i moscoviti, la Polonia pretende dalla Germania enormi riparazioni di guerra per i danni e gli orrori subìti nella seconda guerra mondiale (si riserva di chiederli anche ai russi, ma evidentemente non ha troppo tempo da perdere quindi rinvia la pratica). Autorevoli voci polacche accusano l’establishment tedesco di voler recuperare i territori che la Polonia ha acquistato a scapito del Reich dopo il 1945, abitati per secoli da vari ceppi germanici.
Il ritmo del riarmo militare polacco è nettamente superiore a quello tedesco. Non solo in termini materiali, grazie anche al rapporto privilegiato con l’America, alla cui industria della difesa (o dell’attacco) attinge con decisione e successo, ottenendone armi di punta, moderne e temibili. Soprattutto in termini culturali: la popolazione polacca si percepisce di fatto in guerra. Nelle scuole si svolgono esercitazioni militari. I media riflettono questo clima senza troppi fronzoli né remore alla tedesca o all’italiana. Come sempre, il conseguente profilo geopolitico e strategico polacco espone il Paese al rischio di perdere tutto. Ma anche alla speranza di vincere su tutti i tavoli che contano. Se la Russia perderà, nessun altro Paese ne trarrà altrettanto beneficio di status e di potenza. Se Mosca vincerà, per l’America Varsavia diventerà ancora più importante.
Il radicalismo geopolitico che da sempre distingue la Polonia, elevandola a esempio su scala europea, le impone una partita piena di pericoli e di trappole. Ma nessuno fra gli europei sa, come i polacchi, giocare questo genere di match. Dove tutto è in gioco. Tra la vita e la morte la Polonia ha scelto l’America. E non può fare marcia indietro.