Quota aziende a rischio chiusura

Ristoranti e bar 68%

Alberghi e turismo 50% 

Coiffeur e cosmetica 50%

Negozi non food 49%

Arte e cultura 46%

Salute 36%

Negozi food e chioschi 36%

Formazione 34%

Edilizia 34%

Avvocati e fiduciari 28%

Ramo IT 25%

Agricoltura 12%

 

Fonte: Uni Losanna, KOF


PMI, le più minacciate dalla crisi

Covid-19 - L’aiuto della Confederazione si giustifica anche perché la lunga fase di chiusura potrebbe causare un aumento della povertà. Lo dice uno studio diretto dal professor Rafael Lalive di Losanna
/ 11.05.2020
di Ignazio Bonoli

L’intervento del Consiglio federale, per parare il colpo provocato dalla pandemia del Coronavirus, è stato accolto favorevolmente da una buona parte delle circa 600’000 piccole e medie aziende in Svizzera. La crisi ha infatti avuto l’effetto immediato, con la chiusura, di provocare grossi problemi di liquidità, da risolvere con il preciso scopo di salvare strutture e personale, per essere pronti al momento della ripresa.

Ovviamente il prolungarsi del «lockdown» ha accentuato questi problemi e suscitato in parecchi imprenditori il timore che il nuovo debito (anche se a condizioni di favore) avrebbe pesato sui bilanci aziendali, in un futuro che appare ancora incerto. Il successo dell’azione di governo dimostra che c’è un reale problema di salute finanziaria di molte PMI, ma ha anche sollevato il problema della scarsa conoscenza di questa situazione e quindi anche della previsione di quanti fallimenti si sarebbero potuti registrare nel settore.

Per ovviare a questa lacuna, il professor Rafael Lalive, dell’Università di Losanna, con il sostegno del KOF del Politecnico di Zurigo, ha eseguito un’indagine a campione su circa mille imprese del settore, con lo scopo di farsi un’idea sulla loro situazione finanziaria. Una prima constatazione evidenziata dallo studio indica che il 30% di queste PMI in Svizzera gode di una liquidità di meno di 50’000 franchi, per cui, già dopo pochi giorni di chiusura molte di esse stavano lottando per la sopravvivenza. Le perdite del solo mese di aprile superano già la metà del capitale disponibile.

Per le aziende con un capitale superiore ai 50’000 franchi la situazione è meno grave. Le perdite di cifra d’affari superiori alla metà del capitale sono annunciate dal 10% circa delle imprese. In queste situazioni il problema dei costi fissi, che non si possono ridurre, è cruciale. Lo studio conferma anche le sensibili differenze da settore a settore. Una situazione molto tesa è verificabile presso i parrucchieri, i terapisti e anche i ristoranti. In questi settori oltre la metà degli operatori dicono di poter resistere al massimo a un mese di chiusura e solo un quarto delle aziende dice di poter resistere al massimo tre mesi. In campo turistico si constata una solidità maggiore. La metà degli albergatori, probabilmente perché abituati ad aperture stagionali, dice di poter resistere anche più di sei mesi.

La situazione ha indotto il Consiglio federale ad allentare più presto le misure di contenimento. Per i ristoranti, infatti, ben il 68% teme per la propria esistenza. Timori che sono condivisi anche in parecchi rami del commercio e della cultura, oltre a quelli citati. E proprio in questo campo delle piccole e medie aziende, l’essere costretto a non fare niente ha anche un impatto psicologico importante.

I responsabili hanno tempi di lavoro spesso di più di 50 ore settimanali e investono i loro risparmi nell’azienda. Molti rinunciano anche a una cassa pensione o a risparmi per la vecchiaia. Ma anche l’aiuto della Confederazione è molto contenuto. Il dirigente di una società propria può contare su 3320 franchi mensili a forfait, mentre l’imprenditore singolo riceve 2000 franchi mensili in media, secondo la Cassa di compensazione. In molti casi si tratta di una goccia nel mare delle necessità finanziarie. Eppure – secondo lo studio citato – l’intervento è stato bene accolto da oltre la metà dei beneficiari, ma per parecchie aziende, soprattutto in Ticino (10%) e in Romandia (11%), sarebbe nettamente insufficiente, o poco sufficiente rispettivamente per il 32% in Ticino e il 23% in Romandia.

Un’ulteriore conferma dei danni maggiori della crisi nella Svizzera latina. D’altro canto si può però constatare che molte piccole aziende hanno reagito di propria iniziativa, sviluppando nuove idee o incrementando la digitalizzazione. Resta aperta la questione su come reagiranno i consumi dopo la riapertura. Molti temono che i clienti saranno molto più prudenti a causa di eventuali contagi. Lo temono soprattutto coloro che non possono lavorare rispettando la distanza fisica (per es. coiffeur, fisioterapisti, ma anche bar e ristoranti). Normalmente lo Stato non dovrebbe intervenire in questi casi, ma la crisi è tale da mettere in pericolo l’intera sostanza imprenditoriale di un settore economico importante. Non solo, ma vista la situazione degli interessati, c’è anche un rischio di impoverimento.

Altri studi hanno constatato che nel mese di marzo il 40% delle domande di assistenza proviene da imprenditori indipendenti. Finora queste domande erano opera soltanto del 4% degli indipendenti, che solitamente sono restii nel rivolgersi agli enti assistenziali. La prova del fuoco del settore la vivremo dopo la riapertura delle attività. Una nuova indagine – annunciata per l’estate – ci dirà se si otterranno i risultati sperati e quindi anche se l’aiuto statale sarà stato opportuno e giustificato.