Perù, si apre un dibattito sulla giustizia

Scandalo Odebrecht – Il filone peruviano dell’indagine partita dal Brasile sta spingendo il presidente Vizcarra a riflettere se riformare il sistema politico giudiziario
/ 29.04.2019
di Angela Nocioni

Un suicidio ha scosso il Perù e aperto lo spazio a una pubblica discussione, per quanto avvelenata e caotica, su quali limiti debbano porsi i magistrati inquirenti nell’uso della prigione preventiva durante le inchieste.

Nel paese andino una grande indagine giudiziaria sulla corruzione di amministratori pubblici da parte delle imprese ha terremotato la politica locale e spiccato mandati d’arresto per gli ultimi quattro presidenti della repubblica.

Il mercoledì della Settimana santa l’ex presidente Alan Garcia – due volte presidente della repubblica (1985-1990, 2006-2011) – aspettava a casa di essere portato in carcere con accuse di corruzione. Era indagato per le concessioni pubbliche relative alla linea 1 della metropolitana di Lima. Secondo le ipotesi degli inquirenti, vari membri del suo secondo governo avrebbero intascato 24 milioni di dollari di cui ci sarebbe traccia in conti segreti ad Andorra e lui stesso avrebbe mantenuto spese superiori al suo patrimonio che, stando a quanto proclamò durante la cerimonia della sua prima investitura alla presidenza, era «costituito soltanto da un orologio».

Di recente aveva chiesto asilo politico in Uruguay, lamentando una persecuzione giudiziaria nei suoi confronti. Il governo di Montevideo l’aveva rifiutato perché, così recita la motivazione resa pubblica, «in Perù il potere giudiziario è indipendente dal governo e quindi non si può considerare nessuno perseguitato per ragioni politiche».

Pochi secondi prima essere arrestato Alan Garcia ha tirato fuori dalla cassapanca accanto al suo letto una pistola Colt e si è sparato alla tempia destra. Alcuni suoi collaboratori hanno reso pubblico un suo scritto in cui dice di suicidarsi «in disprezzo ai nemici» e afferma: «Non ci sono conti segreti, né tangenti». Altre testimonianze raccontano la sua furia contro l’uso spregiudicato da parte della prigione preventiva per spingere gli arrestati ad ammettere colpe proprie e altrui.

Due giorni dopo il suicidio di Garcia, in uno dei rivoli peruviani della stessa inchiesta centrata sulle mazzette milionarie della Odebrecht – la grande impresa di costruzioni brasiliana che ha distribuito, secondo le ammissioni di alcuni suoi dirigenti, una marea di soldi a vari governi latinoamericani cominciando da quello brasiliano (il magistrato mediaticamente più esposto in Brasile è stato Sergio Moro, chiamato a fare il superministro della Giustizia e degli Interni dall’attuale presidente di ultradestra Bolsonaro dopo aver fatto arrestare in piena campagna elettorale il candidato favorito alla presidenza della repubblica, mossa senza la quale Bolsonaro non sarebbe mai arrivato al governo) – è stato mandato in cella Pablo Kuczynsky, ex presidente ottantunenne ricoverato da tempo per problemi di salute.

Solo nel 2018 sono stati aperti in Perù 4225 dossier per reati di corruzione, con 2059 autorità locali come imputati, tra i quali 57 governatori ed ex governatori regionali, 344 sindaci ed ex sindaci e 1658 altri amministratori pubblici.

All’inizio di quest’anno il procuratore generale Pedro Chávarry ha tentato di sottrarre l’inchiesta ai due principali inquirenti, il coordinatore Rafael Vela e il suo braccio destro José Domingo Pérez. Iniziativa rivelatasi per lui un boomerang: una manifestazione di protesta cittadina ha fatto talmente scalpore da convincerlo a riaffidare l’inchiesta ai due giudici e a lasciare l’incarico.

Dopo aver visto l’ex presidente Alejandro Toledo scappare negli Stati Uniti per tentare di sottrarsi all’arresto; l’ex presidente Ollanta Humala e sua moglie Nadine Herrera fare tre anni di galera con l’accusa di aver ricevuto da Odebrecht tre milioni di dollari; il capo dell’opposizione parlamentare, Keiko Fujimori, estremista di destra figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, incarcerata con accuse di riciclaggio di denaro; Alan Garcia suicida e Kuczynsky arrestato, l’attuale presidente della repubblica, Martín Vizcarra, ha preso il coraggio a due mani e ha, per pochi minuti, deposto la bandiera dell’appoggio fideistico al pool di magistrati inquirenti – finora anche da lui indicati come angeli vendicatori per il timore di finire disarcionato da un’opinione pubblica incattivita dai resoconti di decenni di mazzette e resa assai poco attenta ai diritti degli accusati – e ha osato articolare una timida argomentazione in difesa del principio della presunzione d’innocenza.

Poche e misurate parole, le sue, sufficienti però a riportare a galla nel dibattito pubblico alcuni fatti che raccomandano l’uso della facoltà del dubbio.

Tra questi, un dettaglio: Odebrecht ha firmato con gli inquirenti un accordo di collaborazione. In questo testo l’azienda riconosce il pagamento di tangenti in quattro gare d’appalto, si impegna a portare le prove dei reati commessi e a pagare un risarcimento civile di 185 milioni di dollari in 15 anni oltre ad altri 137 milioni di dollari come multa d’ingresso qualora voglia partecipare a nuove gare d’appalto pubbliche. In cambio la magistratura peruviana rinuncia a processare i rappresentanti dell’impresa che hanno accettato di accusare terze persone di aver ricevuto mazzette. È criticabile quest’accordo? Ci si può fidare delle accuse di qualcuno che addita qualcun altro come colpevole e riceve in cambio l’immunità giudiziaria? È sano per una società affidare una rivoluzione politica alle mani di un pool di magistrati considerandoli al di sopra del Diritto? Domande che non hanno avuto finora spazio possibile nel dibattito politico latinoamericano perché chiunque osi formularle viene additato alla pubblica opinione come amico dei corrotti ma che ora, timidamente, fanno capolino, a sorpresa, dal Perù.