Perché rilanciare la Bundeswehr

Difesa – Mentre Donald Trump vuole il disimpegno dalla Nato, Berlino non è disposta ad attendere la creazione di un coordinamento militare permanente tra le forze armate dei ventotto Paesi membri Ue
/ 27.02.2017
di Lucio Caracciolo

L’Unione Europea in disintegrazione, la Nato senza missione, gli Stati Uniti sempre meno interessati al Vecchio Continente, la Russia di nuovo militarmente importante, la Cina che si affaccia sul Mediterraneo. Basta questo breve elenco per capire come mai in ambito europeo si ritorni a parlare di difesa comune, un progetto affossato dalla Francia più di sessant’anni fa. Diplomatici e militari accennano a nuovi scenari di integrazione fra le Forze armate dei paesi membri del- l’Unione Europea, ma per ora si resta sul vago. Anche perché non si vede come un esercito europeo possa fare a meno di uno Stato europeo, ovvero di un potere politico responsabile, ai cui ordini sottomettersi. È dunque probabile che anche questo esercizio strategico resti sulla carta, pegno di ottime intenzioni che si scoprono irrealistiche.

Molto più concreto ed effettivo il progetto di rilancio della Bundeswehr, le Forze armate della Repubblica Federale Germania. Il Paese più rilevante d’Europa non sembra disposto ad attendere che tutti i partner Ue trovino un’improbabile intesa sulla messa in comune delle risorse e delle forze. E comincia a muoversi da solo, offrendosi come polo di riferimento per i paesi europei della Nato, in particolare per quelli militarmente più deboli.

Fino a pochi anni fa l’esercito era un tabù in Germania. Le truppe tedesche erano schierate in patria, anzi dovevano restare quasi sempre in caserma, anche in occasione delle cerimonie rituali, illuminate dalle tradizionali fiaccolate. Semplicemente, l’opinione pubblica interna – ma anche internazionale – non era pronta ad accettare l’idea di una Germania potenza militare. Il passato nazista e militarista non era ancora passato. Forse non lo è nemmeno oggi, ma a Berlino la pensano diversamente.

Dopo le prime missioni internazionali, in particolare la partecipazione alla guerra contro la Jugoslavia (1999), le Forze armate tedesche sono state gradualmente sdoganate. E se prima l’argomento frenante era «mai più guerra dal suolo germanico», il controargomento, avanzato per la prima volta dal ministro degli Esteri Joschka Fischer per legittimare l’intervento in Kosovo, è «mai più Auschwitz». Nel senso che proprio per il loro passato i tedeschi non possono stare a guardare quando si compie un genocidio, o presunto tale. Di recente il concetto si è molto allargato, permettendo ai soldati germanici di avventurarsi lungo percorsi e missioni un tempo impensabili, dall’Afghanistan all’Africa. Ma lo strumento militare resta ancora sottosviluppato rispetto alla potenza economica e sempre più anche geopolitica della Germania. Quella che ha fatto esclamare ripetutamente a Donald Trump come l’Europa non sia che l’altro nome della Germania.

Un ufficiale britannico aveva bollato recentemente la Bundeswehr quale «aggressiva organizzazione di campeggiatori». Fra pochi anni, quello tedesco sarà probabilmente il più importante esercito della Nato in Europa, superando i cugini francesi. L’idea è di elevare le Forze armate germaniche ad Ankerarmee, esercito àncora per gli altri partner euroatlantici. Già oggi i due terzi delle truppe olandesi sono integrate in strutture di comando tedesche. Ben presto seguiranno anche reparti romeni e cechi. Mentre l’integrazione con i francesi resta piuttosto limitata, malgrado l’impulso dato a suo tempo da Mitterrand e Kohl.

Ma che cosa intende farci Berlino con una Bundeswehr davvero potente? Il Libro bianco prodotto dal Ministero della difesa tedesco disegna un ruolo più ambizioso per un esercito molto più moderno, ma non entra nel merito delle priorità geostrategiche. Il direttore politico del Ministero, Géza Andreas von Geyr, ha specificato che «il focus della politica di sicurezza tedesca è globale». La strategia non è da tempo il forte della classe dirigente tedesca, abituata per decenni, dopo la «rieducazione» alleata, a espungere la categoria di potenza, specie se militare, dalla propria pianificazione. Ma qualcosa comincia a cambiare.

Uno dei focus che la Germania considera più rilevanti è il Mediterraneo. Regione fino a ieri quasi ignorata da Berlino. Eppure le crisi e le guerre in corso fra Nord Africa e Levante, e soprattutto il massiccio afflusso di migranti in terra tedesca, impongono ad Angela Merkel di attrezzarsi a future missioni militari nello spazio euromediterraneo, per garantire la sicurezza del suo Paese.

Inoltre, la guerra in Ucraina ha messo in allarme tutto il fronte Est dell’Ue e della Nato, ovvero l’«estero vicino» della Bundesrepublik. Qui naturalmente i rischi e le minacce sono di altro tipo e dimensione. E non possono essere gestiti che con il supporto decisivo degli Stati Uniti e degli altri partner Nato.

In questo contesto, ecco cadere l’ultimo tabù: la bomba atomica. Negli ambienti politici, diplomatici e militari di Berlino si torna a discettare di arsenale nucleare perché non ci si fida più troppo dell’ombrello atomico americano. Il responsabile Esteri dei cristiano democratici, l’ex colonnello Roderich Kiesewetter, afferma: «L’Europa ha ancora bisogno di protezione nucleare a scopo di deterrenza». E il condirettore della «Frankfurter Allgemeine Zeitung», Berthold Kohler, scrive che è tempo per la Germania di «pensare l’assolutamente impensabile», ovvero «una capacità propria di deterrenza nucleare». Sarebbe utile che questo dibattito uscisse dai corridoi e dalle stanze segrete del potere. Prima che qualcuno decida di mettere gli altri di fronte a fatti compiuti.