Nella valanga di notizie che giungono dal fronte ucraino, qualcuna passa in sordina, come quella dello scambio di prigionieri tra Mosca e Kiev, avvenuto un paio di settimane fa, che ha coinvolto circa 300 persone: ucraini (oltre 200), russi e una decina di combattenti stranieri. Volodymyr Zelensky ha ringraziato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per avere «facilitato» il raggiungimento dell’intesa. «È dall’inizio della guerra che la Turchia – in virtù dei buoni rapporti che intrattiene sia con Kiev sia con Mosca – si impegna nel ruolo di mediatore tra le parti in conflitto, conseguendo anche un altro successo: la firma di un accordo a luglio, sotto l’egida delle Nazioni Unite, per sbloccare l’export di grano ucraino attraverso il Mar Nero». A spiegarlo ad «Azione» è Valeria Talbot, co-direttrice del Centro Medio Oriente e Nord Africa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale con sede a Milano.
La Russia – sottolinea l’esperta – è il terzo partner commerciale della Turchia (34,7 miliardi di dollari nel 2021), il suo primo fornitore di gas, coprendo il 33% dell’import del Paese, nonché un’importante fonte di flussi turistici, con oltre il 19% degli arrivi nella penisola anatolica nel 2021. «Ankara ha quindi relazioni molto strette con Mosca, a livello economico ed energetico, e in questi mesi i contatti si sono notevolmente intensificati. Ne sono la prova gli incontri tra Erdogan e Putin: in luglio a Teheran (c’era anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi), in agosto a Sochi, alla metà di settembre a Samarcanda (durante il vertice della Shanghai Cooperation Organization)».
Sul piano geopolitico, comunque, non mancano frizioni e tensioni tra i due Paesi: ad esempio entrambi giocano un ruolo importante in contesti come quello siriano e libico, senza dimenticare la questione del Nagorno Karabakh nel Caucaso. «Insomma, si tratta di un rapporto complesso quello con Mosca, una relazione asimmetrica a favore di quest’ultima. Ma la Turchia non ha mancato di mettere dei punti fermi, ad esempio condannando l’invasione russa in sede Onu (2 marzo). Ankara ha infatti anche saldi legami con l’Ucraina, dove Erdogan si è recato a metà agosto per discutere col suo omologo Zelensky. La volontà turca di impegnarsi nella ricostruzione delle infrastrutture del Paese, manifestata in occasione dell’incontro, rinsalda una cooperazione che negli anni si è sviluppata nei settori economico e della difesa (i droni da combattimento Bayraktar che Kiev utilizza nel conflitto contro la Russia sono turchi)».
Inoltre – aggiunge Talbot – è evidente l’interesse della Turchia nei confronti dell’integrità territoriale dell’Ucraina, Paese chiave negli equilibri di potere nella regione del Mar Nero, sorta di «cuscinetto» che assorbe le mire espansionistiche della vicina Russia. Questo spiega anche perché Erdogan si era espresso a favore della restituzione a Kiev della Crimea, la cui annessione a Mosca nel 2014 non è stata riconosciuta dal Governo di Ankara. «Ecco quindi i motivi che hanno portato la Turchia ad assumere il ruolo di mediatore, ruolo che ha riportato il Paese al centro di una fitta rete diplomatica internazionale. Anche i partner occidentali di Ankara, membri della Nato, con cui le relazioni sono altalenanti, hanno apprezzato l’impegno e i risultati conseguiti». Questo – secondo la nostra interlocutrice – si inserisce nel contesto più ampio della ridefinizione della politica estera turca. Dopo anni di politica muscolare e assertiva, adesso Ankara punta sulla normalizzazione dei rapporti diplomatici con i suoi vicini mediorientali, mossa da ragioni di carattere economico oltre che dalla necessità di uscire dall’isolamento regionale in cui si è trovata per lungo tempo.
«La Turchia sta attraversando un periodo di grosse difficoltà. Pensiamo all’inflazione galoppante e al deprezzamento della valuta nazionale. I dati ufficiali dell’Istituto di statistica turco riportano un’inflazione all’80,21% nel mese di agosto, ma l’aumento reale dei prezzi sarebbe molto più alto. Si sta così erodendo il potere di acquisto di molte classi, anche medio basse. Riallacciare ad esempio relazioni commerciali con le monarchie del Golfo non può che dare respiro ad un’economia allo stremo». Il difficile andamento dell’economia, sottolinea Talbot, si traduce in un crescente malcontento popolare che pesa sulla popolarità di Erdogan e del suo partito di orientamento conservatore (Akp), costantemente in calo. Partito che dovrà vedersela con un fronte di opposizione composito alle prossime elezioni previste entro giugno 2023.
Nonostante la continua crescita dell’inflazione, comunque, a metà agosto la Banca centrale turca ha ridotto il tasso di interesse dal 14% al 13%, in linea con la poco convenzionale politica monetaria portata avanti dal presidente. Erdogan è infatti fortemente contrario all’incremento dei tassi ed è al contempo sostenitore di politiche espansive, che nel 2021 hanno fatto registrare una crescita del Pil dell’11%. «Lui punta ad ottenere benefici economici nell’immediato per cercare di tamponare la situazione e il malcontento. In via straordinaria ha anche deciso di procedere a un ulteriore aumento del 30% del salario minimo, portato a 5.500 lire turche (pari a 330 dollari) a partire dal 1° luglio, dopo un primo rialzo del 50% operato lo scorso dicembre. Queste misure però non risolvono i problemi strutturali del Paese».
Intanto nel vicino Iran – da cui arrivano in Turchia consistenti flussi turistici – sta prendendo corpo una decisa protesta che vede in prima fila le donne, dopo l’uccisione di Mahsa Amini (leggi articolo a pagina 25). «Non credo che il movimento possa coinvolgere la Turchia su vasta scala – osserva l’intervistata – ma non escludo che nel Paese continuino le manifestazioni di solidarietà nei confronti delle iraniane. Proteste consistenti, ad Ankara e dintorni, ci sono state l’anno scorso quando la Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, poiché – per le autorità – danneggia i valori della famiglia tradizionale». Il modello ideale di donna evocato da Erdogan rimane quello di madre di numerosi figli e angelo del focolare nonostante il Paese si stia evolvendo e un certo processo di emancipazione femminile sia iniziato. Vedremo cosa ci riserverà il futuro. «Potrebbe essere un futuro senza il presidente Erdogan. Sta adesso alla capacità delle opposizioni – un fronte molto eterogeneo, con partiti di estrazione e idee diverse – di attrarre consensi, presentandosi come un’alternativa credibile. Sarà una bella sfida».