Perché la questione taiwanese ci riguarda

La continua tensione in Asia orientale potrebbe mettere a rischio la stabilità mondiale. È con il ricatto economico che Pechino spinge la comunità internazionale a isolare Taipei ma c’è chi non ci sta. La posizione della Svizzera
/ 14.08.2023
di Giulia Pompili

La minaccia posta dallo spionaggio straniero di Russia e Cina in Svizzera resta alta, soprattutto per quel che riguarda gli agenti sotto copertura contro individui coinvolti nelle decisioni del Paese in uno Stato che ospita organizzazioni internazionali (vedi Nazioni Unite). L’ultimo dossier sulla sicurezza in Svizzera, pubblicato a fine giugno dal Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC), mette in guardia non solo sulla minaccia posta dalla Russia, ma anche sulle operazioni cinesi portate avanti nel territorio svizzero. A differenza di Mosca, Pechino sfrutta personale non diplomatico – come scienziati, giornalisti e uomini d’affari – per aumentare la sua influenza nel Paese anche su questioni politiche e d’immagine, promuovendo la visione del mondo della Cina anche tra la gente comune. Non a caso l’ambasciatore cinese a Berna, Wang Shihting, è molto attivo sulla scena pubblica svizzera e qualche tempo fa in un’intervista a RTS ha denunciato la «grossolana ingerenza» del Consiglio nazionale sulle faccende interne alla Cina, perché è così che Pechino considera la questione Taiwan.

All’inizio di maggio il Consiglio nazionale ha approvato una risoluzione per chiedere di rafforzare i legami con lo Yuan legislativo, il Parlamento di Taiwan. La risoluzione è stata votata a seguito di una proposta della Commissione esteri presentata nell’ottobre del 2022, ed è arrivata un anno e mezzo dopo una risoluzione simile, che invitava a intensificare le relazioni con la Repubblica di Cina (comunemente nota come Taiwan). Un gruppo di parlamentari elvetici (due PS, due Verdi e un UDC) nel febbraio 2023 aveva compiuto una missione a Taipei, durante la quale c’era stato un incontro con la presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, e la richiesta di rafforzare i legami economici per lavorare con le democrazie asiatiche contro le interferenze cinesi. Tutto è in linea con i principi della Svizzera di cercare pace e stabilità, aveva fatto sapere Edith Graf-Litscher, portavoce dell’Ufficio di presidenza del Consiglio nazionale.

Le relazioni bilaterali tra Taiwan e il resto del mondo sono sempre di più un problema politico, e non solo in Europa. La Repubblica Popolare Cinese considera l’isola – de facto indipendente, governata da una giovane e vibrante democrazia – parte integrante del proprio territorio, e questo nonostante il Partito Comunista Cinese non l’abbia mai governata. Pechino lavora da anni all’isolamento diplomatico di Taiwan – ormai soltanto tredici Paesi al mondo la riconoscono come Stato sovrano (tra questi non c’è la Svizzera) – e non ha mai escluso l’uso della forza per compiere quella che considera «l’inevitabile riunificazione».

Qualunque Paese decida di rafforzare i rapporti con Taipei riceve critiche e condanne da Pechino, ed è successo anche alla Svizzera: dopo l’approvazione della citata risoluzione, l’ambasciata cinese a Berna ha pubblicato un comunicato di protesta formale, nel quale «esprime la sua forte insoddisfazione e respinge fermamente» le attività del Consiglio nazionale. È accaduto anche alla Lituania, due anni fa, quando ha aperto un ufficio di rappresentanza di Taiwan usando la parola «Taiwan» e non «Taipei», come vorrebbe Pechino per evitare di normalizzare le istanze di autonomia dell’isola. Subito dopo l’apertura dell’ufficio, la Lituania è stata colpita da un violento boicottaggio economico da parte della Cina, e l’Unione europea è stata costretta a trascinare Pechino all’Organizzazione Mondiale del Commercio per pratiche commerciali scorrette.

La forza cinese è quella del business, e quindi è quella che viene definita l’arma di «coercizione economica». È soprattutto con il ricatto che la Cina è in grado di convincere la comunità internazionale, specialmente il Sud globale, a isolare Taiwan. L’ultimo Paese ad aver chiuso l’ambasciata di Taipei per aprirne una di Pechino è l’Honduras. Già da tempo la presidente dell’Honduras, Xiomara Castro, lamentava il fatto che dalle relazioni con Taiwan il Paese non aveva grandi benefici economici, mentre l’apertura al mercato cinese avrebbe portato più ricchezza anche per i cittadini. Secondo gli osservatori, l’Honduras è stato un grande successo diplomatico per la Cina, e soprattutto il segnale di un aumento esponenziale dell’influenza cinese in America del sud. Nonostante l’isolamento diplomatico, Taiwan è una potenza dal punto di vista del commercio internazionale nel settore tecnologico, e ha uffici di rappresentanza in oltre cento capitali nel mondo. Ma per i Paesi in difficoltà economica e in via di sviluppo il gigantesco mercato cinese, le promesse di investimenti e prestiti agevolati, continuano a essere un’attrattiva molto forte.

I rapporti con Taipei sono stati al centro dell’ultima campagna elettorale in Paraguay, dove il candidato dell’opposizione Efraín Alegre aveva promesso di chiudere le relazioni con Taiwan e aprirle con la Cina per ragioni «non ideologiche, ma per interesse nazionale»: anche qui, si trattava solo di business. Secondo Alegre, le esportazioni di soia e di manzo dal Paraguay sarebbero aumentate e avrebbero risollevato l’economia interna se solo il Paese avesse cambiato il riconoscimento da Taipei a Pechino. A vincere alle elezioni di inizio marzo, però, è stato Santiago Peña, che è sicuro del contrario: ha detto di voler continuare a rafforzare le relazioni con Taiwan e qualche giorno dopo l’elezione ha ricevuto una telefonata dalla presidente Tsai.

Oltre che dal punto di vista militare, con l’intensificazione delle incursioni aeree e navali cinesi attorno all’isola, la questione taiwanese è anche e soprattutto diplomatica e politica. La comunità occidentale, dall’Europa all’America, sostiene lo status quo – cioè mantenere le relazioni tra Cina e Taiwan così come sono – ma per Pechino, sempre più forte e influente, la «riunificazione» è una priorità politica. Secondo il primo ministro giapponese Fumio Kishida, «l’Ucraina di oggi è l’Asia orientale di domani». In pratica, la politica attorno a Taiwan non è più soltanto una questione regionale.