È ora disponibile anche in italiano un’autobiografia di Chelsea Manning, l’addetto dei servizi segreti che nel pieno della guerra in Iraq rivelò informazioni altamente compromettenti sull’azione delle forze americane. Contiene un elemento nuovo che, se non distorce la narrazione, almeno pesantemente la influenza: la «autorivelazione» della vera identità sessuale dell’autore. Scritta nel 2007, al tempo di un impegno fortissimamente criticato anche dalle nostre opinioni pubbliche, l’aspetto politico-militare avrebbe certamente prevalso, il problema personale sarebbe rimasto in penombra. Oggi, il (come dirlo?) fatto nuovo di un maschio che si scopre donna e che a poco a poco invade la narrazione si pone almeno in parallelo con la dimensione politica. Sarà accettato? Non piacerà? Secondo me, almeno il rispetto è dovuto al drammatico concatenarsi dei due elementi.
Le vicende familiari dell’autrice – tipiche di quell’America profonda così diversa per usi e costumi dalla vecchia Europa – occupano la prima parte del libro. Nella carriera scolastica del/della giovane Manning influisce la sempre più capillare diffusione delle nuove tecniche informatiche. È bravo (è brava!) a scuola, vive le esperienze tipiche di una gioventù disinibita benché incerta sui valori, entra finalmente al servizio degli uffici segreti delle forze armate e come tale viene a conoscenza di molte informazioni non partecipate all’opinione pubblica attraverso i mass media. È su questo punto critico (la domanda: «perché la gente non dovrebbe sapere?») che Chelsea Manning si mette alla prova, quando, mandata in Iraq dove infuria la guerra, ne vede, come ognuno può immaginare, di cotte e di crude. Perché non si dovrebbe sapere? Non siamo il Paese della libertà? Per esempio, dello scempio che l’equipaggio di un elicottero Apache fa di civili innocenti e di due giornalisti della Reuter, nel luglio del 2007? I mass media non sono forse un asse portante della civitas americana? «Le mie azioni erano state guidate dal desiderio che i cittadini americani sapessero cosa veniva commesso nel loro nome».
Scoperto il suo contatto con WikiLeaks di Julian Assange e con altri mezzi d’informazione, la polizia dell’esercito e i servizi segreti la mettono sotto pressione – in condizioni inumane di detenzione e di interrogatorio, descritte nei particolari. Si arriva al processo davanti alle corti militari e alla sentenza: 35 anni di detenzione, fino a che il presidente Obama (ma la guerra in Iraq a questo punto ha cambiato obiettivi…) la fa beneficiare di un provvedimento di grazia: dal 2017 Chelsea Manning è libera. «Non so perché Obama abbia deciso di commutare la mia pena. Quando un giornalista glielo domandò, lui riconobbe che mi ero assunta la responsabilità di ciò che avevo fatto e che avevo già scontato una pena piuttosto dura di carcere». E ribadisce: «Ciò che ho fatto quando ero nell’esercito è stato un atto di ribellione, di resistenza, di disobbedienza civile. Un gesto che si inserisce in una tradizione importante della nostra storia».
Come leggere questa vicenda? Certamente con rispetto, e non solo per il cambiamento antropologico vissuto dalla protagonista insieme con l’acuirsi della sua coscienza civica. Con un poco di indulgenza, direi pure, per il rapporto che ella instaura, e che definirei un poco disinvolto, rispetto alle regole di riservatezza «normali» per ogni esercito (per molto meno, durante la seconda guerra mondiale, soldati svizzeri furono processati e condannati a morte). Ma è vero che negli Stati Uniti i mass media godono di una libertà unica al mondo: «Il Congresso non farà leggi restrittive della libertà di stampa» recita la Costituzione. È punito chi divulga informazioni riservate, ma non sono puniti i media che le diffondono. In Svizzera, per il «caso Jagmetti» – la relazione dell’ambasciatore negli Stati Uniti sui rapporti con i circoli ebraici americani –, il «Tages-Anzeiger» fu condannato a una multa, confermata addirittura dalla Corte di Strasburgo, benché fosse evidente l’interesse pubblico delle informazioni pubblicate. La situazione dei whistleblower da noi è tuttora irrisolta: sono ammesse le denunce interne che concernono la pubblica amministrazione, in misura minima quelle che riguardano le aziende private. Dovrebbe essere il contrario. La conoscenza del dibattito che sottotraccia continua ad animare la politica americana ci potrebbe servire da lezione.
Bibliografia
Chelsea Manning, Readme.txt. La mia storia, Rizzoli, Milano, 2022, pp. 317.