Minaccia islamista e minaccia russa si mescolano nel fare del colpo di Stato militare in Niger un evento che l’Occidente segue con più attenzione del solito. I golpe non sono proprio una novità in quella parte del mondo. Quelli precedenti che hanno avuto luogo nel Burkina Faso e nel Mali non sembrano aver scosso altrettanto. Nel Sudan continua la guerra tra due fazioni armate, anche in quel caso con scarsa visibilità nel resto del mondo. Il Niger, almeno nei primi giorni dopo la deposizione del presidente Mohamed Bazoum e l’evacuazione di molti francesi e italiani, ha avuto una visibilità particolare. Ci sono varie spiegazioni, oltre all’uranio del Niger che alimenta le centrali nucleari francesi, le quali forniscono energia elettrica anche ad altri Paesi europei.
Non molto tempo addietro il segretario di Stato USA, Antony Blinken, aveva esaltato proprio il Niger come un modello di transizione pacifica verso la democrazia. La presenza militare francese in quel Paese è ben nota, ed è un magnete per l’ostilità di una parte della popolazione oltre che degli stessi militari golpisti. Ma il Niger ospita anche mille soldati americani (e non solo). Il contingente USA è lì soprattutto per addestrare le forze armate locali a combattere le milizie jihadiste. ISIS e Al Qaeda sono state indebolite in altre parti del mondo; nel Sahel invece la loro forza e diffusione sono in aumento. Nei Paesi del Sahel le milizie terroriste del fondamentalismo islamico hanno fatto 42’000 morti negli ultimi dieci anni. Per gli Stati Uniti il Niger era diventato il perno di operazioni anti-jihad, e anche un’oasi filo-americana in mezzo a tanti Paesi scivolati nell’orbita d’influenza della Russia, o quantomeno dei mercenari del Gruppo Wagner. Ora l’aiuto militare americano diventa controverso. Anche se il golpe nel Niger non è stato realizzato dalle forze armate regolari – quelle che ricevono l’addestramento americano e francese – bensì dalla guardia presidenziale che avrebbe dovuto proteggere Bazoum, tuttavia una legge del Congresso americana vieta gli aiuti militari a Paesi dove siano avvenuti colpi di Stato. In circostanze eccezionali la Casa Bianca può aggirare quel veto: lo ha fatto con l’Egitto di al-Sisi al quale continua a fornire armi e assistenza.
America, Russia, Francia, non sono gli unici attori e forse neanche i più rilevanti in quell’area. I Paesi vicini temono il contagio perché il jihadismo dilaga ben oltre il Sahel. Il caso più importante è la Nigeria. La prima Nazione africana per popolazione e per PIL, da anni è alle prese con gli islamisti di Boko Haram e altre milizie di fondamentalisti musulmani. La Nigeria è anche sensibile alla pericolosità dei colpi di Stato perché la sua storia dall’indipendenza in poi ha visto un’alternanza di giunte militari e di Governi democratici. L’attuale presidente della Nigeria, Bola Tinubu, fu incarcerato dall’esercito. Tinubu è anche presidente di turno dell’Ecowas, la Comunità economica dell’Africa occidentale. Ha guidato l’Ecowas in una dura condanna contro il golpe del Niger, assortita da sanzioni e da una minaccia d’intervento militare. Ci sono le premesse per un allargamento della crisi. Un intervento di Ecowas, con la spedizione di una forza multilaterale nel Niger incaricata di ripristinare il legittimo governo di Bazoum, è stato definito come un atto ostile da Paesi vicini che sono già dittature militari: Mali, Burkina Faso, Guinea.
Una regionalizzazione del conflitto darebbe luogo a una guerra tra regimi contrapposti: democrazie civili contro despoti in divisa. Consacrerebbe anche un nuovo ruolo dell’Ecowas, di cui si sono viste le premesse negli anni scorsi. Questa Comunità economica in passato è riuscita a ribaltare dei colpi di Stato militari in Gambia, Guinea e Sao Tomé. Se riuscisse a intervenire in modo efficace anche nel Niger, la sua statura internazionale ne sarebbe esaltata insieme con il protagonismo degli africani. Il ruolo del Gruppo Wagner in Africa è sorprendente, alla luce dei rovesci che ha subito in Ucraina e in Russia. La vicenda ancora recente dell’insubordinazione contro Putin rimane piena di ambiguità e di ombre; induce alla cautela prima di equiparare i successi di Wagner in Africa a una solida ripresa d’influenza di Mosca nel Continente nero. Un altro precedente che suggerisce prudenza è il flop del vertice Russia-Africa che si teneva a San Pietroburgo (la città di Putin) nel giorno stesso del golpe in Niger. A quel summit, preparato con cura e annunciato con grande enfasi per smentire l’isolamento internazionale della Russia, si sono presentati solo 16 capi di Stato africani, cioè meno della metà rispetto ai 43 che parteciparono al primo vertice con questo formato che si tenne a Sochi nel 2019. Altri dieci Paesi hanno declassato la propria partecipazione mandando a San Pietroburgo i loro primi ministri; ma anche aggiungendovi questi il totale rimane molto al di sotto rispetto a quattro anni fa.
I Governi del Grande Sud sono sensibili alla propaganda russo-cinese che denuncia i vizi neo-colonialisti e imperialisti dell’Occidente; però sono anche sensibili ai numeri. E i numeri dicono che la Russia in Africa è un partner economico irrilevante. Al summit del 2019 Putin si impegnò a espandere il commercio con l’Africa fino a raggiungere più del doppio del livello di partenza, portandolo in cinque anni da 16,8 a quasi 40 miliardi di dollari. Secondo i dati dell’agenzia di stampa ufficiale Tass, che attinge al ministero del commercio estero russo, nel 2021 l’interscambio con l’Africa era salito pochissimo, a 17,7 miliardi, per lo più concentrato su armi e grano. Per capire la modesta entità di queste cifre bisogna paragonarle all’interscambio tra l’Unione europea e l’Africa che è di 295 miliardi di dollari annui, a quello tra Cina e Africa a quota 254 miliardi, infine a quello degli Stati Uniti pari a 83,7 miliardi.
Come donatore di aiuti umanitari la Russia è tra i più avari del mondo. Riesce a essere meno generosa di Paesi molto più poveri. Le donazioni fatte da Mosca al World Food Program, l’agenzia ONU che combatte la fame nel mondo, sono state di soli 6,5 milioni di dollari quest’anno cioè inferiori a quanto hanno donato l’Honduras, la Guinea Bissau e il Sud Sudan. Dato che la Russia ha un peso economico minuscolo, sia nel commercio che negli investimenti, in passato aveva compensato quella debolezza con la sua presenza militare. Come security provider, cioè come fornitore di sicurezza armata a questo o quel Governo africano, Putin ha offerto i propri servizi di protezione prevalentemente attraverso il Gruppo Wagner. In Africa i mercenari agli ordini di Prigozhin non possono esibire un bilancio positivo nella lotta contro la jihad. Però puntellano regimi militari, assetati di ricchezze. L’uranio del Niger (7% del totale mondiale) è il bottino che potrebbero spartirsi i golpisti e i loro protettori esterni.