Per Lula candidatura in salita

Brasile – L’ex presidente Luis Ignacio Lula da Silva è comparso per la prima volta di fronte al giudice Sergio Moro che dovrà decidere nel caso che lo vede accusato di corruzione. La sua sopravvivenza politica è appesa a un filo
/ 22.05.2017
di Angela Nocioni

Una bomba è scoppiata sulla già accidentata strada del ritorno di Lula da Silva alla presidenza del Brasile. L’ormai settantaduenne fondatore del Partito dei lavoratori (Pt), che lasciò il Planalto nel 2010 dopo due mandati consecutivi con un indice di popolarità record dell’80%, è dato come candidato favorito da tutti i sondaggi per le presidenziali del 2018. L’ultima inchiesta di Datafolha sulle intenzioni di voto lo dà al 30% al primo turno, nonostante i vertici del suo partito siano stati decimati da inchieste su sistemi di finanziamento illeciti e nonostante il suo nome campeggi su tutti i titoli dei tg riguardanti i principali filoni della Mani pulite brasiliana. 

Finora non una prova è stata portata contro di lui. È dal 2005, due anni dopo l’inizio del suo primo mandato, che varie inchieste della magistratura ipotizzano una sua responsabilità in sistemi di corruzione, ma mai una prova concreta a suo carico è finora apparsa.

Ora però il futuro per lui minaccia di farsi cupo perché l’ex ministro delle Finanze del suo primo governo, Antonio Palocci, l’uomo che gli curò i rapporti con la borghesia degli affari e con i poteri finanziari di San Paolo al debutto presidenziale nel 2003, in carcere preventivo da otto mesi perché coinvolto nella inchiesta Lavajato (che sta svelando un sistema di tangenti del 3% pagato da ogni impresa che volesse lavorare in appalto con l’industria statale del petrolio Petrobras) ha annunciato di aver firmato il contratto di delazione premiata con gli inquirenti. 

La delazione premiata è una norma recente, la cui legittimità è molto discussa tra giuristi in Brasile. Consiste in un vero e proprio contratto che l’imputato firma con i magistrati. Si impegna a collaborare facendo nomi e cognomi di terze persone che indica come rei e riceve in cambio uno sconto di pena. Buona parte dell’avvocatura brasiliana considera la norma pericolosa per l’accertamento della giustizia. Allo scopo di mettere fine alla propria carcerazione preventiva o per garantirsi uno sconto di pena – è il timore di molti giuristi – un imputato finisce per dire al magistrato inquirente quello che pensa il magistrato voglia sentirsi dire, mentendo anche. Tanto è contestata la norma che il prestigioso studio legale che ha difeso finora Paolocci, l’Escritório José Roberto Batochio Advogados Associados, ha mollato il suo cliente e diffuso una nota in cui spiega: «il nostro studio si rifiuta di difendere persone che abbiano iniziato trattative per la celebrazione del patto della delação premiada, una strategia difensiva che gli avvocati di questo studio non accettano». 

Palocci ha fatto sapere di avere «molto da raccontare agli inquirenti, abbastanza da fornir loro materiale per almeno un anno intero di lavoro». Il nome di Lula non è uscito ufficialmente, ma l’opinione pubblica brasiliana si aspetta la notizia come si aspetta un avvenimento tanto annunciato come probabile e imminente da essere considerato ormai scontato.

Solo due giorni prima della dichiarazione di Palocci la voragine sotto i piedi di Lula l’aveva già aperta il giudice del Tribunale supremo Edson Fachin, con l’improvvisa decisione di togliere il segreto alla deposizione dei due pubblicitari Mônica Moura e João Santana, quest’ultimo considerato il guru del marketing elettorale in America Latina. I due hanno detto agli inquirenti di essere stati pagati in nero all’estero tramite un sistema di fondi occulti garantiti da grandi imprese legate politicamente al Pt. E che ciò sarebbe avvenuto con il consenso degli ex presidenti Lula e Dilma. Prove, anche in questo caso non ce ne sono. Ma la domanda che rimbalza ossessivamente a ogni apertura di telegiornale è: come poteva Lula non sapere?

Tutto ciò accade quando Lula aveva appena portato a casa un grande trionfo dopo esser riuscito ad ottenere un faccia a faccia con il suo grande accusatore, il giudice di prima istanza Sergio Moro. 

La settimana scorsa era fissata la prima udienza di Lula di fronte a Sergio Moro. Dopo lunga battaglia gli avvocati dell’ex presidente avevano ottenuto che la registrazione video dell’interrogatorio fosse trasmessa. Lula ha tolto la parola ai suoi difensori durante l’udienza, ha stracciato dialetticamente il suo grande accusatore e l’ha fatto di fronte a un pubblico di milioni di persone che, per la prima volta, hanno potuto valutare direttamente un confronto tra accusa e difesa. Nel processo in questione, l’ex presidente è accusato di aver ricevuto un appartamento in una località balneare a 60 chilometri da San Paolo, secondo i pm regalatogli dalla società di costruzioni Oas in cambio di favori. Lula nega di aver mai comprato quell’appartamento, dice che sua moglie era interessata a farlo ma che l’affare non si è mai concluso. Prove a suo carico non ce ne sono.

Nelle cinque ore e dieci minuti di interrogatorio Lula, sguardo furente e voce baritonale, ha usato tutta la sua abilità per fare un comizio politico in difesa del suo governo e per convincere il pubblico della fumosità delle accuse brandite da Moro.

Alcuni passaggi sono autentici pezzi di teatro. Per esempio quello in cui Moro tira fuori un foglio e dice: «Qui ho un documento che parla dell’appartamento…». Lula: «È firmato da chi?». Moro: «Mmm, lo spazio della firma è in bianco». Lula: «Quindi lo può rimettere a posto, per gentilezza!». 

Nonostante il knock out inflitto al suo accusatore, incalzato più volte con l’esortazione: «Presenti una prova signor Moro, una prova soltanto!», Lula è nei guai fino al collo. Basta che emerga un solo elemento in grado di giustificare un suo arresto a bloccargli la candidatura alle presidenziali.