Per le idroelettriche meno soldi ai cantoni

Un decreto del Consiglio federale propone una riduzione temporanea dei canoni d’acqua, in attesa dell’assetto definitivo della politica sull’elettricità nel 2023 e della strategia energetica nel 2050
/ 10.07.2017
di Ignazio Bonoli

I produttori svizzeri di elettricità stanno vivendo momenti difficili. L’apertura del mercato europeo e la forte concorrenza che vi regna rende la loro produzione più cara di quelle estere. Perfino le preziose produzioni da fonte rinnovabile, come quelle delle aziende idroelettriche, non sono più concorrenziali sul mercato. Per questo i produttori sono giunti a chiedere sovvenzioni allo Stato, sollevando stupore tra il pubblico che non ha seguito l’evoluzione recente di questo mercato.

Non meno stupore ha quindi destato la revisione della legge che regola l’utilizzazione delle acque, proposta dalla consigliera federale Doris Leuthard e posta in consultazione dal Consiglio federale. Dopo i 120 milioni di franchi all’anno, per cinque anni, previsti dalla nuova strategia energetica, votata dal popolo lo scorso 21 maggio, molti hanno pensato che questo sarebbe stato l’inizio di tutta una serie di aiuti al settore. La nuova proposta si inserisce in questa linea di condotta e si pensa che non sarà l’ultima.

Ora, in attesa di un assetto definitivo – per quanto possibile – della politica energetica, il dipartimento di Doris Leuthard sta proponendo soluzioni temporanee che possano risolvere per qualche anno i problemi creati da fattori internazionali, come la liberalizzazione del mercato, ma anche da situazioni interne, come l’abbandono programmato del nucleare, con le misure di contenimento dei consumi di energia e la ricerca di fonti alternative rinnovabili.

In questo senso il Consiglio federale ha emanato un progetto di legge che modifica le somme che le aziende che utilizzano le risorse idriche per la produzione di energia elettrica devono versare ai cantoni e ai comuni in cui risiedono gli impianti di produzione. Sono i cosiddetti «canoni d’acqua» che attualmente fruttano 550 milioni di franchi all’anno, di cui i due terzi vanno a finire nelle casse dei cantoni alpini di Grigioni, Vallese, Ticino e Uri. In singoli comuni il gettito di questi canoni può giungere fino al 40% del totale delle entrate.

Si tratta quindi di un tema delicato anche sul piano politico, per cui le reazioni si sono subito fatte sentire. Ma anche in questo caso si tratta di una soluzione temporanea, da attuare tra il 2020 e il 2022, in attesa di un nuovo modello per i canoni d’acqua, che dovrebbe entrare in vigore nel 2023. Il momento scelto è opportuno, in quanto l’attuale regime scade nel 2019. Verrebbero così compensati parte dei costi di produzione e in parte si ridurrebbe il prezzo al consumatore.

Introdotto per la prima volta nel 1918, questo tributo importantissimo per certi comuni di montagna è sempre aumentato, fino a toccare il livello massimo di 110 franchi per chilowattora di produzione lorda. Alcuni cantoni, come il Ticino, chiedono già il massimo previsto, ma altri no. Il progetto prevede ora di abbassare questo livello massimo a 80 franchi, riducendo il livello complessivo di gettito per i cantoni dagli attuali 550 milioni a 400 milioni di franchi, con conseguente sgravio per le aziende produttrici.

Nel 2023, questo sistema verrebbe sostituito da un modello flessibile composto da un contributo fisso di 50 franchi al KW e da una parte variabile, che si applicherebbe non appena il prezzo di riferimento di mercato per l’elettricità di origine idrica superasse una certa soglia. In sostanza si garantirebbero certe entrate finanziarie a comuni e cantoni, ma si garantirebbe anche la sopravvivenza a lungo termine delle centrali idroelettriche, soprattutto di quelle oggi in difficoltà.

Di fronte alle sicure reazioni dei cantoni (soprattutto Grigioni e Vallese, che sono i maggiori beneficiari), il Consiglio federale prevede un correttivo, nel senso che beneficerebbero della riduzione soltanto le aziende con gestione chiaramente deficitaria. Soluzione complicata, poiché vi sono centrali che appartengono a vari produttori. Questi riforniscono anche un mercato non liberalizzato (privati e PMI) che possono vendere il loro prodotto al prezzo di costo, senza perdite. La compensazione finanziaria intercantonale non compensa le perdite dei cantoni, ma questi possono attivare la compensazione intercomunale per i comuni.

Il Consiglio federale pensa che con questi interventi (120 milioni dalla nuova strategia energetica e 400 milioni dai canoni d’acqua) le aziende produttrici siano sgravate a sufficienza. L’Ufficio federale dell’energia valuta infatti in 300 milioni le perdite sul mercato liberalizzato. Con le nuove direttive si coprono 200 milioni del deficit. Per i rimanenti 100 milioni le aziende stesse devono trovare la soluzione.

I cantoni di montagna non sono per nulla contenti della soluzione proposta e precisano che le perdite dei produttori di elettricità non dipendono dai canoni d’acqua, ma dalla cattiva gestione della politica dell’energia elettrica. Ma la soluzione finale del problema tenderà probabilmente a fissare i canoni d’acqua in funzione del risultato economico delle aziende produttrici.