Pensioni in Francia: la guerra continua

Il presidente Macron difende la sua riforma e gli oppositori tornano in piazza, quali prospettive si aprono adesso?
/ 27.03.2023
di Marzio Rigonalli

Dopo numerose settimane di proteste e di manifestazioni contro la riforma delle pensioni, settimana scorsa il presidente francese si è deciso a parlare con un’intervista diffusa sulle due principali reti televisive France 2 e TF1. Emmanuel Macron ha difeso la sua riforma, che innalza l’età di pensionamento dai 62 ai 64 anni e l’ha ridefinita necessaria, addirittura indispensabile, per preservare l’attuale sistema pensionistico. Ha respinto la richiesta dei sindacati e di una parte della classe politica di non promulgare la legge votata dalle camere ed ha incaricato Elisabeth Borne di continuare a guidare il Governo, affidandole i dossier ch’egli vorrebbe veder affrontati nei prossimi mesi. Infine ha teso la mano ai sindacati, con i quali i rapporti sono degenerati, invitandoli a tornare al tavolo del negoziato. Le parole del presidente Macron, espresse in un’intervista di mezz’ora, riusciranno ad abbassare la tensione e ad avviare una soluzione alla grave crisi sociale e politica che ha investito il Paese? È probabilmente troppo presto per poter dare una chiara risposta. Molto dipenderà dalle scelte che faranno i sindacati, dalla determinazione dei manifestanti e dal diffondersi in una parte dell’opinione pubblica di una certa stanchezza di fronte alle difficoltà e agli inconvenienti creati dagli scioperi e dalle manifestazioni.

Sono ormai tre mesi che tutta l’energia negativa del Paese si è concentrata sul progetto di riforma delle pensioni. Le giornate di protesta sono state numerose, indette e guidate dai sindacati, forti di una ritrovata unità d’intenti e di obiettivi. Milioni di persone sono sfilate nei centri di molte città e tutti i sondaggi hanno rivelato costantemente che quattro francesi su cinque sono contrari alla riforma. L’agitato contesto sociale ha reso burrascoso l’iter parlamentare. Le grida, gli insulti e l’ostruzionismo con migliaia di emendamenti hanno caratterizzato i lavori dei deputati e reso impossibile il voto su parti centrali della riforma. Alla fine, non essendo sicuro di avere la maggioranza necessaria, il Governo ha fatto ricorso al 49.3, ossia ad un dispositivo costituzionale che consente di ritenere approvato un progetto di legge, senza dovere farlo votare dal Parlamento. La manovra non è piaciuta alle opposizioni, che hanno subito deposto due mozioni di censura. Le due mozioni sono state respinte, rendendo così applicabile la riforma delle pensioni. Ad una, però, sono mancati soltanto 9 voti, rendendo ben fragili le basi parlamentari sulle quali si appoggia l’Esecutivo.

Gli oppositori alla riforma continueranno a chiedere al presidente Macron di rinunciare alla riforma, dando vita a scioperi e manifestazioni nei più svariati settori, dai trasporti ai rifornimenti di energia, alla difesa della salute pubblica. Molto dipenderà dalla durata della futura protesta e dalla violenza che l’accompagnerà. Gli oppositori sperano ancora in due vie d’uscita. La prima si appoggia sulla Corte costituzionale, che potrebbe dichiarare incostituzionale tutto il progetto o perlomeno una parte di esso. La sua decisione è attesa entro un mese. La seconda via d’uscita si affida al Referendum d’iniziativa condivisa (Référendum d’initiative partagée), un meccanismo legislativo che consente di portare un testo in votazione popolare se un quinto dei parlamentari l’ha firmato e se un decimo degli elettori l’ha sottoscritto. Sono condizioni severe, decise dopo la crisi dei gilets jaunes, che rendono difficile il percorso fino alla votazione popolare.

Tutto quello che è successo negli ultimi tre mesi avrà ad ogni modo forti conseguenze sociali e politiche. Il risentimento si è installato un po’ ovunque ed ha allargato il fossato tra la popolazione e la politica. Le violenze contro gli eletti e le loro sedi sono state denunciate decine di volte e la polizia è stata chiamata anche a proteggere alcuni parlamentari. Il pericolo di ulteriori violenze è reale e chi osa parlare di pacificazione e di riconciliazione appare subito come una voce fuori dal coro. L’alta tensione si ripercuote, ovviamente, anche sul piano politico. Il Governo di Elisabeth Borne esce indebolito. Parecchi ministri non hanno saputo spiegare correttamente la riforma, provocando contraddizioni, smentite e altri passi falsi. Anche Borne, seconda donna a guidare il Governo francese dopo Edith Cresson nel 1991-92, non esce certo rafforzata da questa prova. Ha dimostrato di avere molta energia e forza, certo, ma ha mancato due importanti obiettivi. Quello di far approvare la riforma dall’assemblea senza dover ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione e quello di far confluire nella maggioranza tutti i deputati repubblicani. 19 di loro, su 61, hanno votato la mozione contro il Governo. Macron le ha riconfermato la fiducia, ma la sua permanenza alla testa del Governo potrebbe cessare, non appena il presidente riterrà opportuno procedere ad un rimpasto dell’Esecutivo.

Nel contesto politico e sociale attuale, e data la suddivisione dei poteri prevista dalla Costituzione, il compito più difficile spetta al presidente. Cercherà di uscire indenne dalla crisi e di far risalire il suo basso indice di popolarità. È chiamato anche a ristabilire i rapporti con i sindacati e a convincere almeno una parte dei francesi che sta operando nell’interesse generale e non soltanto in difesa dei ricchi, come gli vien rimproverato regolarmente. Gli tocca anche tentare di nuovo di allargare la sua maggioranza parlamentare, altrimenti corre il rischio di farsi bocciare la prossima nuova riforma. È un’impresa gigantesca dall’esito incerto. Il suo mandato dura ancora quattro anni. Per entrare nella storia come presidente riformatore non può certo appoggiarsi sulla riforma delle pensioni. Deve promuovere nuove iniziative e riuscire a farle approvare dal Parlamento senza creare nuove ferite sociali.Infine conviene evocare la scadenza presidenziale del 2027. Una data cui i francesi già pensano e che prendono in considerazione. Le tensioni degli ultimi mesi hanno rafforzato l’estrema destra e l’estrema sinistra, e hanno indebolito i partiti moderati. Chi sembra trarre i maggiori vantaggi dall’attuale situazione è Marine Le Pen. La leader del Rassemblement national può contare sugli elettori delle classi popolari residenti nelle zone rurali e nelle periferie, coloro che si sentono maggiormente colpiti dalla riforma delle pensioni. Molti pensano che Marine Le Pen si presenterà una quarta volta alle prossime presidenziali. E tanti la vedono già qualificata per il secondo turno.