Pechino si prepara alla lotta

Xi Jinping sprona i cinesi a uno spirito guerresco che attinge al linguaggio di Mao Zedong. Intanto nasconde i problemi più scottanti dell’attualità come la frenata dell’economia e i lati oscuri della politica «zero Covid»
/ 24.10.2022
di Federico Rampini

Quale visione del mondo emerge dal congresso del Partito comunista cinese? Un pessimismo profondo. Decifrando con attenzione il linguaggio di Xi Jinping, una conclusione è allarmante: questo leader implicitamente considera che le possibilità di una guerra con gli Stati Uniti sono in aumento. Su Taiwan o per qualche altro casus belli. E lui vuol essere sicuro che sia la Cina a prevalere. Dalla sua retorica sono svanite espressioni che un tempo erano comuni nei discorsi dei leader cinesi, come il riferimento a uno «sviluppo armonioso» della comunità mondiale o alla globalizzazione vista come un «win-win», un gioco a somma positiva in cui tutti hanno qualcosa da guadagnare. Adesso nel descrivere la situazione mondiale prevalgono altri temi. Xi sprona i cinesi a uno «spirito di lotta» che attinge al linguaggio di Mao Zedong.Va ricordato che Mao affrontò periodi di grave tensione internazionale in cui la guerra sembrava vicina, di volta in volta con gli Stati Uniti (in effetti le due superpotenze si combatterono direttamente in Corea dal 1950 al 1953) e con l’Unione Sovietica (rottura Mao-Kruscev dopo la destalinizzazione; scontri militari fra truppe cinesi e russe nel 1969 sulla frontiera lungo il fiume Ussuri). Xi Jinping insiste sul tema della sicurezza nazionale, che declina in tutte le direzioni e con molti dettagli: sicurezza energetica, sicurezza alimentare, sicurezza tecnologica. L’economia cinese nella sua visione deve diventare sempre più autosufficiente, ai limiti dell’autarchia.

Anche qui l’idea della guerra non è lontana, si scorge sullo sfondo, è come se Xi stesse già immaginando una Cina colpita da sanzioni e quindi in una posizione analoga a quella della Russia. Vuole costruire una economia-fortezza, meno esposta verso l’Occidente, meno vulnerabile in caso di ritorsioni. La parola «lotta» è stata ripetuta una cinquantina di volte nel suo discorso. È come se la legittimità di Xi dipendesse da questo: un clima di mobilitazione nazionale contro avversari esterni, l’America in testa.Il tema del «ringiovanimento nazionale», altro slogan caro a Xi e ripetuto nel suo discorso al congresso, va visto in quest’ottica. Sotto questo leitmotiv lui ha condotto diverse campagne come quella contro la corruzione. In questo caso il «ringiovanimento» è di tipo politico e morale, per ricostruire una forte tempra etica prendendo ispirazione dalle origini del comunismo. «Ringiovanimento» si lega al tema del riscatto: Xi vuole passare alla storia come il leader che ha restituito al suo popolo uno status dominante, un primato fra le Nazioni, così riscattando il «Secolo delle umiliazioni» (l’Ottocento, le guerre dell’oppio, i momenti più bui del declino). È un leader che coltiva il rancore verso l’Occidente, America in testa, a cui attribuisce l’intenzione di impedire l’ascesa della Cina.La Cina rappresenta la sfida più robusta al teorema sulla «fine della storia», elaborato esattamente trent’anni fa nel saggio di Francis Fukuyama con quel titolo: l’idea cioè che la liberaldemocrazia sia il sistema politico più avanzato. Dopo l’avvento di Xi al potere nel 2012 la leadership di Pechino ha costruito una contro-teoria sulla superiorità del proprio sistema politico. Per un certo periodo è parsa plausibile: i risultati in termini di sviluppo, modernizzazione, diffusione del benessere, erano impressionanti.

Il Partito comunista sembrava aver raggiunto una felice combinazione tra valori etici della tradizione confuciana (spirito di sacrificio, senso di dovere verso la comunità, rispetto delle gerarchie), selezione meritocratica delle élite, promozione di tecnocrati competenti al vertice dello Stato. Ma il modello mostra i suoi limiti. Anzitutto, come ha osservato l’economista Garrett Jones, i cinesi coronati da maggiore successo sono quelli che vivono fuori dalla Cina (a Taiwan, a Singapore o negli Stati Uniti), il che non depone a favore del sistema comunista. Inoltre l’equilibrio tra tecnocrazia, confucianesimo e comunismo si è rivelato effimero. La tentazione autocratica si è impadronita di Xi. Ha abbattuto quelle regole – limite massimo di due mandati, direzione collegiale – che impedivano un’eccessiva concentrazione di potere personale. La maledizione dell’uomo solo al comando è visibile. Xi accumula errori – dal Covid all’Ucraina – che nessuno ha la forza di segnalare, tantomeno correggere. Il trionfalismo della sua propaganda non può occultare questa verità: non esiste un «sogno cinese» esportabile nel resto del mondo. La Cina propone agli altri Paesi emergenti una cultura del risentimento verso l’Occidente. È un collante che funziona. Ma è troppo poco per fondare un nuovo modello dalla legittimità universale. È singolare quanto Xi abbia ignorato nel suo intervento al congresso i problemi più scottanti dell’attualità. Non ha neppure citato la guerra in Ucraina. Non ha accennato a un bilancio critico sulla politica «zero Covid» né ha promesso allentamenti mentre si avvicina il terzo anno di restrizioni. Non ha praticamente parlato della brutale frenata della crescita economica cinese.

I problemi in casa sua si accumulano e lui li ignora. Ad esempio, in Cina è in corso una protesta segreta di cui Xi non ha fatto menzione nel suo discorso al congresso. Ma tutti ne sono al corrente. Non è una rivolta politica contro il regime, è una «disobbedienza» economica: sta crescendo il numero di famiglie cinesi che non pagano le rate dovute sui loro mutui casa. Hanno una sacrosanta ragione per farlo. Le loro case non esistono e forse non verranno mai alla luce. Chi gli ha venduto quegli appartamenti o villette monofamiliari è fallito prima di ultimarne la costruzione, i cantieri sono incompiuti e forse non riprenderanno mai l’attività. Gli ultimi dati certi sulla crisi del settore immobiliare risalgono al 2021 e si riferiscono al crac del colosso Evergrande che ha lasciato 1,3 milioni di unità abitative incomplete. Gli acquirenti però avevano già versato cospicui anticipi e per fare quei pre-pagamenti si erano indebitati con le banche. Ora quei cittadini si rivalgono come possono, cioè a danno delle banche, cessando i rimborsi delle rate sui mutui. È illegale, ma è moralmente comprensibile che non vogliano continuare a pagare interessi per l’acquisto di un bene che non avranno mai.

Il disastro immobiliare colpisce uno dei tradizionali motori interni della crescita cinese, che non a caso è rallentata ai minimi storici: il Pil crescerà del 3,3% nel 2022. Le conseguenze si estendono alla fiducia dei risparmiatori e alla solidità del sistema bancario. Per decenni l’acquisto della casa è stato l’investimento prediletto di centinaia di milioni di famiglie, ma ora i prezzi del mattone scendono in tutte le grandi città e i risparmiatori hanno già subito perdite pesanti. Le ripercussioni negative si estendono al bilancio pubblico; non solo perché lo Stato deve intervenire a pompare liquidità in alcuni gruppi immobiliari e forse bancari, ma anche perché le vendite di terreni edificabili e concessioni edilizie erano una delle fonti di finanziamento delle amministrazioni locali. Nella miglior tradizione totalitaria, ciò di cui tutti parlano era il tema tabù al congresso.