Parliamo europeo

Quel che resta della Grande Guerra
/ 19.11.2018
di Paola Peduzzi

Emmanuel Macron ha ospitato a Parigi più di ottanta leader internazionali per commemorare l’armistizio di Compiègne, che cent’anni fa pose fine alla Prima guerra mondiale. Il presidente francese ha organizzato l’incontro con un unico obiettivo: celebrare la superiorità dell’interesse collettivo su quello nazionale, mostrare che l’unità e la collaborazione sono il requisito essenziale per garantire la pace. Meno Francia e più Europa, in sintesi. Le immagini di Macron con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, sono la rappresentazione perfetta di questa unità: cent’anni fa era inimmaginabile pensare a una pace tra Francia e Germania, oggi è inimmaginabile pensare a una guerra tra Francia e Germania. L’interesse collettivo, l’interesse europeo e quello occidentale sono il collante di questa parte di mondo: se non fosse emersa tale solidarietà – che è solidarietà di valori prima ancora che militare o strategica – l’Unione europea non sarebbe oggi il progetto unico che è, al netto delle sue inefficienze.

La nota dolente di questa enorme, intensa, piovosissima commemorazione è Donald Trump. Il presidente americano è arrivato a Parigi twittando contro Macron e contro le sue dichiarazioni sulla necessità di un esercito europeo: paga la tua parte nella Nato piuttosto, gli ha detto Trump. Poi il presidente americano è rimasto defilato, nelle immagini compare rigido, a disagio: il mondo attorno non lo tratta bene, e questo è un fatto. Ma a creare questo disagio è stato lui, volontariamente: la sua special relationship con la Francia si è spezzata, quella con il Canada pure (Justin Trudeau ha tenuto uno dei discorsi più spettacolari a Parigi, chiudendo l’ombrello mentre diceva: cent’anni fa la pioggia non era pioggia, la pioggia erano proiettili), quella con la Germania anche, e la parola che più ricorre nel raccontare l’alleanza tra Europa e America oggi è «freddezza». Appena rientrato alla Casa Bianca, Trump ha usato la sua solita tattica: compensare il disagio con qualche colpo ben piazzato. E naturalmente ha scelto Macron come obiettivo, per dare ancora più peso al «tradimento» di quello che soltanto qualche mese fa era «un ragazzo che mi piace moltissimo». Laddove Macron dice che il nazionalismo è la negazione stessa del patriottismo, Trump dice che la Francia è il Paese più nazionalista che c’è, e farebbe bene a non nascondere la verità facendosi bella con i suoi prodotti di qualità – il vino! – con cui invade il mercato americano senza ammettere reciprocità e promettendo una difesa europea che non si può permettere perché comunque a difendere l’Europa ci pensa ancora l’America. Come ci pensò cent’anni fa: se non fosse per noi, oggi in Francia si parlerebbe tedesco, ha twittato Trump. 

Il livello zero dell’alleanza transatlantica è stato raggiunto proprio in questi giorni, che beffa. Ma l’Europa che si prepara alle elezioni europee non può fare troppe tattiche: lo scontro sarà tra nazionalisti ed europeisti, e mentre i nazionalisti si raggruppano e si fanno sostenere da Trump e da Putin, gli europeisti puntano su una certezza. Come dice la Merkel, dovremo fare da soli, rimbocchiamoci le maniche, ce la possiamo fare.