Più di duecento milioni di elettori europei, un’affluenza record, una larga maggioranza alle forze europeiste. Le elezioni europee della sopravvivenza, quelle dello scontro tra le forze nazionaliste e le forze a protezione del progetto europeo, hanno consegnato un Europarlamento che sarà governato dalle famiglie politiche tradizionali, i conservatori e i socialisti, assieme ai liberali e ai verdi. L’obiettivo è questo: creare quella che a Bruxelles chiamano la «coalizione jumbo», formata da quattro gruppi, solidissima.
I sovranisti hanno avuto i loro successi, come ci si aspettava: la Lega di Matteo Salvini in Italia ha oltrepassato il 30 per cento dei consensi, il Rassemblement national di Marine Le Pen in Francia ha battuto d’un soffio il partito presidenziale di Emmanuel Macron, il Brexit Party di Nigel Farage nel Regno Unito ha travolto conservatori e laburisti, i populisti fiamminghi in Belgio metteranno a dura prova la tenuta del partito liberale di governo e in Polonia il PiS di Jaroslaw Kaczynski ha sconfitto l’unica coalizione europeista che si era formata nell’Unione europea.
Questi successi peseranno a livello nazionale ma dal punto di vista europeo, anche mettendo insieme tutti i partiti sovranisti-nazionalisti che al momento sono divisi in gruppi differenti all’Europarlamento, l’offensiva non sarà molto diversa da quella che è già in corso: molta opposizione, molti discorsi programmatici, molti video su YouTube, molto colore e poca efficacia. La vita sarà più complicata per gli europeisti, certo, non è facile già dal 2014 quando la Le Pen e Farage si piazzarono primi nei loro paesi, ma il temutissimo, raccontatissimo scossone nazionalista è stato contenuto.
La Francia è esemplare: la Le Pen, con circa il 23 per cento dei consensi, ha battuto Macron con uno scarto dello 0,9 per cento, ha festeggiato ampiamente, ha chiesto le dimissioni del governo «non più rappresentativo» e poi è ritornata ai suoi temi classici e agli annunci di grandi battaglie antieuropee. Macron, che certamente sperava in una vittoria, ha incassato la sconfitta e non ha perso tempo: la regia della grande coalizione che si deve creare all’Europarlamento e delle nomine per definire le massime cariche europee è tutta sua. Non è detto che il presidente francese riesca in questa sua iniziativa di rifondazione delle famiglie politiche europee – il progetto di una alleanza progressista, moderata ed europeista si era già impantanato prima del voto – ma non gli manca la determinazione.
Appena chiuse le urne, ha iniziato gli incontri con i leader europei – lo spagnolo Pedro Sánchez, premier socialista vittorioso, è il più corteggiato d’Europa – e vuole, come primo obiettivo, spezzare il monopolio politico di conservatori e socialdemocratici (che da sempre governano insieme l’Ue) imponendo alla guida della Commissione europea qualcuno che non sia il candidato predestinato, lo Spitzenkandidat, del primo partito uscito dalle urne, il Partito popolare europeo, cioè il bavarese Manfred Weber. Al suo posto, Macron vuole indicare il francese Michel Barnier, conservatore con tendenza macronista, ma conta poi di trovare una convergenza sulla danese liberale Margrethe Vestager, che tecnicamente è una Spitzenkandidat e che quindi salvaguarderebbe in qualche modo la volontà dell’Europarlamento di mantenere fede alla procedura di selezione del presidente della Commissione (lo Spitzenkandidat appunto).
Macron si trova davanti l’opposizione del Ppe e della Germania, che è il gruppo predominante nei popolari e che avrebbe la possibilità, con Weber, di ottenere la guida tedesca della Commissione (cosa che non avviene dagli anni Sessanta con Walter Hallstein, della Germania dell’ovest). C’è soprattutto un po’ di insofferenza di Macron nei confronti di Angela Merkel, che ha adottato il suo solito approccio prudente: il partito della cancelliera tedesca ha perso consenso alle elezioni, la sua delfina designata, Annegret Kramp-Karrenbauer, è presa di mira dai giornali per la sua propensione alle gaffe (è circolata persino la folle idea che Merkel la voglia sostituire, ma sono pettegolezzi infondati), il partito che governa a Berlino assieme alla Merkel, l’Spd socialdemocratica, è andato molto male, è stato superato dai Verdi e potrebbe cambiare la propria leadership.
È un momento molto delicato, insomma, per la Germania e per la Merkel, che quindi formalmente continua a sostenere la linea ufficiale del Partito popolare europeo e la candidatura di Weber (pure il Ppe è in sofferenza: ha perso molti voti, ha la questione ungherese da gestire e Viktor Orbán ha stravinto alle elezioni). Ma molti a Bruxelles sono convinti che, a parte i titoli roboanti sullo scontro franco-tedesco, la Merkel non si impunterà poi troppo su Weber: lei non è mai stata del tutto favorevole al processo dello Spitzenkandidat, e ama molto la Vestager.
Se il conflitto tra la Merkel e Macron è esagerato dai media, non saranno settimane facili per gli architetti della nuova Europa. Ci sono molti criteri da tenere presente nella selezione delle nomine e, soprattutto, ci sono grandi instabilità. In Austria c’è un governo di transizione perché il Parlamento di Vienna ha sfiduciato il premier, Sebastian Kurz, che pure è andato molto bene nelle urne alle europee (si voterà a settembre), dopo lo scandalo che ha coinvolto l’ex partner di coalizione, l’estrema destra dell’Fpö. In Grecia si andrà a votare il 7 luglio: il premier di sinistra, Alexis Tsipras, ha indetto le elezioni anticipate dopo aver perso di quasi dieci punti percentuali la sfida con il partito conservatore Nuova Democrazia.
Nel Regno Unito inizia a breve la contesa dentro al partito di governo, i Tory, per sostituire la premier dimissionaria Theresa May: si andrà avanti fino alla seconda metà di luglio. Il Belgio potrebbe restare senza governo ancora per molto tempo, la Danimarca è al voto in questi giorni e potrebbe realizzarsi un’alternanza politica, in Romania molti esponenti del partito socialista al governo, ma battuto alle europee, sono andati in prigione.
Così, per quanto paradossale possa suonare, visto che da mesi ci viene raccontato l’esatto contrario, l’Unione europea appare oggi ben più stabile di molti suoi Stati membri.