Il governo ungherese ha deciso di non partecipare al dibattito dell’EuroParlamento della scorsa settimana perché, dice, l’Assemblea europea ha superato «linee rosse» invalicabili, «triplicando i fondi dell’Unione europea alle ong, mettendo l’accoglienza di immigrati illegali come condizione per garantire lo stato di diritto e sanzionando apertamente paesi che si oppongono all’immigrazione illegale», spiega il governo di Budapest presieduto da Viktor Orbán. Nel comunicato, c’è una parentesi molto significativa, dopo la parola ong, che dice: «completando così in modo effettivo il sesto punto del piano di Soros».
George Soros, sempre lui, il tycoon ungherese che è diventato il simbolo di tutte le lotte, in Europa, in America, anche in Cina dopo che, al forum di Davos, Soros ha tenuto un discorso molto commentato contro il governo di Pechino, la minaccia illiberale più grande del mondo. Soros è un’ossessione specifica di Viktor Orbán, per ragioni personali, politiche, culturali: i due erano molto vicini negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, quando Soros decise di investire i suoi enormi fondi in campagne liberali contro l’Unione sovietica e Orbán, uno dei leader del partito giovanile Fidesz sembrava l’uomo su cui puntare per traghettare l’Ungheria fuori dal comunismo e in Occidente.
L’alleanza, che conta tra le altre cose una borsa di studio che Soros diede a Orbán per frequentare corsi a Oxford, si raffreddò e infine si spezzò, ma per gran parte degli anni Novanta e Duemila, la campagna contro Soros era appannaggio dei partiti di destra più estrema, come Jobbik. Poi tutto è cambiato di nuovo, o almeno si è evoluto, e ora il filantropo liberal trova nella casella di posta ordigni esplosivi ed è raffigurato nella propaganda di destra (a volte anche della sinistra populista) come l’ebreo avido e mercatista che vuole distruggere l’Occidente inondandolo di migranti che ne trasfigurano l’identità.
È chiaro che «George Soros sta cercando di espandere la sua influenza nelle istituzioni europee», ha detto Orbán in un’intervista e così ripete a tutti i giornalisti il suo ciarliero ministro per la Comunicazione, quel Zoltan Kovács che si è laureato alla Central European University di Budapest, la Ceu, l’università di Soros, che il governo ungherese ha deciso di boicottare, costringendola a spostare parte delle sue attività in un’altra città (a Vienna nella fattispecie). L’influenza che Soros eserciterebbe sulle istituzioni europee ha a che fare con l’immigrazione: Budapest si rivende come la vittima di un complotto europeo ai suoi danni, la punizione per aver chiuso le frontiere ai migranti. Tutti i partiti anti immigrazione d’Europa cavalcano lo stesso vittimismo, e chi non sta con loro è per forza sul libro paga di Soros – in America è andata ancora peggio: a causa della cosiddetta invasione da sud finanziata da Soros, un signore a Pittsburgh, in Pennsylvania, è andato in sinagoga, ha sparato sui fedeli e ha ucciso undici persone. Si parte con il Soros da odiare perché è paladino della società aperta e liberale e si finisce con una enorme campagna antisemita, contro il filantropo con il naso adunco pieno di soldi e di avidità: l’odio è fatto così, si muove in vasi comunicanti.