Parliamo europeo

Articolo 50: tutto (ri)parte da qui
/ 03.12.2018
di Paola Peduzzi

La Corte di giustizia europea deve decidere se l’articolo 50 può essere revocato o prolungato unilateralmente dal paese che lo ha attivato, senza il consenso degli altri paesi membri dell’Unione europea. La sentenza non arriverà con tutta probabilità prima del voto parlamentare inglese sull’accordo Bruxelles-Londra sulla Brexit – il piano di Theresa May – ma il dibattito è aperto, ed è meno tecnico di quanto si pensi. 

L’articolo 50, previsto dal Trattato di Lisbona, dice che ogni Stato membro dell’Ue può decidere di abbandonare l’Unione conformemente alle sue norme costituzionali. Se decide di farlo, deve informare il Consiglio europeo, negoziare un accordo sul suo ritiro – ha 24 mesi per farlo – e stabilire le basi per il futuro rapporto con l’Unione europea. Il Regno Unito è stato il primo paese della storia europea ad attivare l’articolo 50, e la scadenza del negoziato è prevista per il 29 marzo del prossimo anno: i 24 mesi sono però estendibili, dice il trattato, ed è proprio questo il punto politico di cui si discute molto in queste ultime settimane. Il tempo, come si sa, non è molto: si può certo dire che finora non è stato utilizzato granché bene, perché il negoziato si è protratto fino all’ultimo con molti rovesciamenti, soprattutto da parte britannica. Ora che sta arrivando la resa dei conti, molti dicono che in realtà un paio d’anni in più non sarebbero male: l’accordo della May sembra spacciato, a Westminster non ci sono i voti sufficienti per farlo passare e questo significa che, per ben che vada, si dovrà negoziare ancora, per evitare il «no deal», l’uscita brusca dall’Ue che tutti, europei e inglesi, considerano l’alternativa più catastrofica possibile. Per riaprire il negoziato si deve necessariamente prolungare l’articolo 50 perché al testo approvato la settimana scorsa a Bruxelles non possono essere apportate modifiche estemporanee – anche se molti politici inglesi non hanno ancora realizzato che questo dettaglio è dirimente, e continuano a proporre alternative dell’ultimo minuto. 

Per prolungare l’articolo 50 ci vuole l’unanimità dei 27 paesi dell’Ue – salvo sentenza della Corte di giustizia europea – ma è difficile immaginare che alle elezioni europee del maggio prossimo il Regno Unito possa presentare ed eleggere propri europarlamentari. Così come le implicazioni da un punto di vista economico sono molte: ne va del bilancio pluriennale 2021-2027, per dire. Però da sempre l’Ue dice di essere pronta ad accettare – e festeggiare – un ripensamento britannico, e questa sembra una promessa: se ce lo chiedete, prolunghiamo l’articolo 50 (che si può anche revocare completamente, ma questa è la via più radicale). Londra potrebbe decidere di non toccare l’accordo di divorzio e invece di negoziare diversamente le relazioni future, assecondando il partito «facciamo-come-la-Norvegia». È una strada che in realtà porta dritto a una non-Brexit, considerato che già adesso la Brexit negoziata è molto soft, ma questo è un messaggio troppo duro per essere lanciato ora. Per questo si continua a parlare dell’articolo 50 come se fosse una procedura tecnica, ma è molto di più: è già un modo per dire che forse sì, Londra cambia idea.