Tre giorni in un Paese dell’Asia centrale sull’antica Via della seta, dove i cattolici sono appena una manciata. Ma nel cuore di quell’area geopolitica dell’Eurasia che il conflitto in Ucraina ha improvvisamente fatto scoprire in tutta la sua rilevanza. È un viaggio per molti versi anomalo quello che papa Francesco (nella foto) si appresta a compiere dal 13 al 15 settembre in Kazakistan. L’occasione è un invito giunto dal presidente Tokayev per partecipare all’incontro dei leader religiosi che il predecessore – l’«eterno» Nazarbayev, che ha governato il Paese dal 1990 al 2019 – aveva ideato come la celebrazione della rinascita dell’islam nei territori ex-sovietici, parallela a quella del cristianesimo ortodosso a Mosca. Non stupisce quindi che Francesco – così fortemente turbato dal ruolo assunto dalla religione nella guerra scatenata a febbraio dall’invasione russa dell’Ucraina – abbia colto al volo quest’occasione. E fino all’ultimo abbia anche sperato che il Kazakistan potesse diventare il terreno «neutrale» per l’incontro con il patriarca di Mosca Kirill, fino ad ora ben poco sensibile agli appelli del pontefice a far sì che i credenti non si trasformino nei «chierichetti delle armate». A Nur Sultan (come è stata ribattezzata da qualche anno la capitale che conoscevamo come Astana) lo schieratissimo leader spirituale della Chiesa ortodossa russa, però, alla fine non ci sarà, come ha annunciato lui stesso già qualche tempo fa.
Per di più Francesco avrebbe voluto arrivare in Kazakistan dopo essere stato a Kiev, portando personalmente tra le macerie la propria solidarietà alle vittime del conflitto. Ma anche questo non è stato possibile. Anzi, proprio nelle ultime settimane le tensioni con la leadership ucraina – che vorrebbe vedere il papa più esplicitamente schierato nella condanna della Russia – hanno raggiunto l’apice, dopo le parole di cordoglio pronunciate dal pontefice in seguito all’attentato in cui a Mosca è stata uccisa Darya Dugina, la figlia di uno degli ideologi che più hanno sostenuto le posizioni oltranziste russe sul conflitto. Il Vaticano è dovuto correre ai ripari precisando che i giudizi di Bergoglio riguardano l’aspetto umano dell’accaduto. E che, quanto alla guerra «iniziata dalla Federazione Russa, gli interventi del santo padre sono chiari e univoci nel condannarla come moralmente ingiusta, inaccettabile, barbara, insensata, ripugnante e sacrilega».
Per molti versi, dunque, prima ancora di cominciare questo trentottesimo viaggio apostolico del suo pontificato, papa Francesco deve già fare i conti con l’incomprensione e con quel senso di impotenza che hanno accompagnato in tutti questi mesi i suoi ripetuti appelli alla pace. Eppure Nur Sultan si annuncia lo stesso come un passaggio cruciale per questa fase affaticata del pontificato. Perché a questo VII Congresso dei leader religiosi del mondo sono annunciate ben 100 delegazioni da 60 Paesi in rappresentanza non solo del cristianesimo e dell’islam, ma anche dell’ebraismo, dello shintoismo, della galassia indù, dello zoroastrismo. E, oltre a papa Francesco, tra le personalità annunciate vi sono il gran mufti russo Ravil Gaynutdin, il grand’imam di Al-Azhar (il grande centro dottrinale sunnita del Cairo) Ahmed El-Tayeb, il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III, i due rabbini capo d’Israele, l’ashkenazita David Lau e il sefardita Yitzhak Yosef.
Con tutti loro papa Francesco tornerà a parlare del tema della fraternità umana come grande denominatore comune, proprio mentre le bombe, gli orrori e l’incubo nucleare hanno ridotto in macerie l’illusione che potesse essere la globalizzazione dei mercati a cementare il mondo. Bergoglio sarà chiamato a dimostrare che la sua non è un’utopia. E a cercare alleanze tra i leader delle altre confessioni religiose per dare di nuovo corpo a una pace che oggi sembra quanto mai lontana. Ma è anche significativo che tutto questo avvenga proprio in Kazakistan, Paese di frontiera nella prospettiva dell’Eurasia. Proprio qui il 2022 si era aperto con le proteste di piazza e la dura repressione appoggiata da Mosca che aveva fatto più di 200 morti, poche settimane prima dell’inizio del conflitto in Ucraina. Disordini esplosi intorno all’aumento del prezzo delle bombole del Gpl (gas petrolio liquefatto) in un Paese che con i suoi giacimenti petroliferi è un gigante dell’energia. Tensioni a cui Tokayev, una volta ristabilito l’ordine, aveva però inaspettatamente risposto mettendo sotto accusa uomini dei servizi speciali militari, civili e avviando nel Paese un programma riformatore.
A giugno ha anche ottenuto l’approvazione di una nuova Costituzione che mira alla democratizzazione del Paese, superando il super-presidenzialismo e rafforzando il ruolo del Parlamento e della società. E poche settimane dopo ha osato ciò che fino a ieri appariva impensabile nella periferia dell’ex impero: al Forum economico di San Pietroburgo, in un colloquio pubblico con Vladimir Putin, il presidente kazako ha difeso l’integrità territoriale dell’Ucraina, negando il riconoscimento dell’annessione della Crimea e delle «quasi-repubbliche» di Lugansk e Donetsk, in una sfida aperta all’evidente disappunto del suo omologo russo.
Anche al di là di questo episodio simbolico, è un dato di fatto che il Kazakistan negli ultimi mesi abbia intensificato i rapporti militari con gli Usa, la Cina e la Turchia, alla ricerca di una collocazione internazionale meno schiacciata dalla sola ombra ingombrante di Mosca. E probabilmente non è un caso che, proprio negli stessi giorni in cui papa Francesco si troverà nel Paese, il 14 settembre a Nur Sultan farà tappa anche il presidente cinese Xi Jinping in quello che sarà il suo primo viaggio fuori dai confini del suo grande Paese dall’inizio della pandemia. Pur trovandosi nella stessa città, appare del tutto improbabile un fuori programma che veda il pontefice e il leader del Partito comunista cinese incontrarsi. Ai rapporti tra la Repubblica popolare e il Vaticano, per il momento, basta il rinnovo dell’Accordo sulla nomina dei vescovi. Francesco del resto lo ha espressamente auspicato e dunque arriverà entro la metà di ottobre, anche se i risultati ottenuti nei 4 anni in cui finora è stato applicato sono stati scarsi (pur essendovi una quarantina di diocesi vacanti in Cina – più di un terzo del totale – è da 12 mesi che non avviene alcuna nomina «condivisa»). In definitiva, con i suoi mille intrecci Nur Sultan dice quanto questa guerra abbia rimesso tutti in movimento nelle terre di confine tra l’Europa e l’Asia. E quanto in questo scenario anche papa Francesco – nonostante le difficoltà fisiche sempre più evidenti e le fronde interne alla Chiesa cattolica – non abbia alcuna intenzione di rinunciare a giocare la sua parte.
Papa Francesco e l'incubo della guerra
Il pontefice sarà in Kazakistan da domani al 15 settembre per il Congresso dei leader religiosi, ma non incontrerà Kirill
/ 12.09.2022
di Giorgio Bernardelli
di Giorgio Bernardelli