Man mano che le tensioni tra la Corea del nord e il resto del mondo aumentano, i Giochi olimpici di Pyeongchang, in programma tra poco più di un mese, rischiano davvero di essere il clamoroso flop annunciato già da qualche tempo. «Lo sport è un grande momento di condivisione e di unione», non fa che ripetere in ogni occasione pubblica il presidente sudcoreano Moon Jae-in, che sulle Olimpiadi invernali ha puntato gran parte della sua eredità politica, andando spesso a visitatare i cantieri di Pyeongchang perfino durante la campagna elettorale presidenziale dello scorso anno. Eppure, ad oggi, i biglietti per le competizioni venduti all’estero sono ancora molto al di sotto del target prefissato da Seul, le delegazioni internazionali sono ridotte all’osso e le prenotazioni intorno ai villaggi olimpici non si avvicinano nemmeno alle aspettative.
Il problema è la Corea del nord, con i suoi test missilistici e nucleari, e le notizie che arrivano da quell’area di mondo: secondo l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap, su quattro nordcoreani scappati al Sud che vivevano intorno all’area di Punggye-ri, dove il regime di Pyongyang svolge solitamente i suoi test atomici, sono stati trovati segni di esposizione alle radiazioni. Nel sangue di uno dei soldati nordcoreani fuggiti nelle ultime settimane attraverso il confine tra Nord e Sud sono state trovate tracce del vaccino per l’antrace – il che confermerebbe, secondo gli analisti, gli esperimenti condotti dal regime con le armi batteriologiche. La tensione tra Kim Jong-un e il presidente americano Donald Trump ha un effetto sulla partecipazione alle Olimpiadi, ma c’è anche un altro aspetto. L’attrazione turistica di Pyeongchang: nonostante gli sforzi fatti dai governi sudcoreani sin dal 2011 per rinnovare l’area olimpica e renderla vendibile a un pubblico straniero – una nuova ferrovia ad alta velocità che collega l’aeroporto internazionale di Incheon a Seul e al villaggio olimpico, per esempio – la Corea del sud ha ancora molto lavoro da fare per trasformarsi in una meta turistica appetibile.
Quattro anni fa, durante la scorsa edizione dei Giochi invernali, la Russia era stata in grado di tenere a bada le polemiche e le manifestazioni di protesta contro le Olimpiadi di Sochi, nonostante ben prima della cerimonia d’apertura la stampa internazionale le avesse etichettate come le «più contestate della storia». Ma il Cremlino era comunque riuscito ad attirare il pubblico straniero con un investimento record (tra i 40 e 50 milioni di euro) dedicato anche alla comunicazione e al soft power russo, che ha trasformato una città pressoché sconosciuta in una popolare meta turistica.
In Corea del sud sta avvenendo il contrario. Diversi osservatori fanno notare che politicizzare così tanto un’edizione olimpica, cioè dandogli un significato di apertura pacifica verso il Nord, di fratellanza e comunione, parlando quasi mai di sport e sempre più spesso di «sicurezza» e «contenimento dei rischi», le cose diventano ancora più difficili.
I Giochi olimpici si svolgeranno in un’area ibrida, a metà tra le Alpi sudcoreane dei monti Taebaek, a settecento metri sul livello del mare, e la città costiera di Gangneung, molto popolare per le vacanze dei sudcoreani. La contea di Pyeongchang dista soltanto ottanta chilometri dal 38° parallelo, la linea di confine che divide la Corea del sud dalla Corea del nord, due paesi ancora tecnicamente in guerra dopo l’armistizio firmato nel 1953. Choi Moon-soon, governatore della provincia di Gangwon di cui fa parte Pyeongchang, ultimamente ha perfino smesso di giocare con il nome delle Olimpiadi – fino a poco tempo fa rideva spesso con la stampa straniera sul fatto che Pyeongchang si pronunciasse in modo molto simile a Pyongyang, la capitale della Corea del nord. Ma dopo gli ultimi test di missili intercontinentali ordinati dal leader Kim Jong-un perfino in Corea del sud non si ha granché voglia di scherzare.
E pensare che Seul si era candidata a ospitare le Olimpiadi invernali per ben tre volte, ma per due volte il Comitato olimpico aveva bocciato la sua candidatura, preferendo prima Vancouver e poi Sochi. Nel 2011, vinta l’assegnazione, la Corea del sud aveva evitato di replicare ufficialmente all’ipotesi di una edizione delle Olimpiadi congiunta con il Nord. Poi, negli ultimi mesi, il ministro dello Sport del nuovo governo di Seul, Do Jong-hwan, aveva proposto di far ospitare al Nord alcuni eventi, o almeno di organizzare una squadra olimpica coreana riunificata per alcune specialità. Ma da Pyongyang non è mai arrivata nessuna risposta. Soltanto due atleti nordcoreani si sono qualificati per partecipare alle Olimpiadi di Pyeongchang, Ryom Tae-ok e Kim Ju-sik, celebre coppia di pattinatori artistici. È un successo, visto che a Sochi la Corea del nord non era riuscita a qualificarsi per nessuna specialità. Nonostante i ripetuti inviti da parte del Comitato olimpico internazionale, che ha offerto sostegno economico e logistico alla delegazione nordcoreana, fino a oggi nessuno sa se effettivamente i due atleti sfileranno alla cerimonia d’apertura del 9 febbraio prossimo.
Naturalmente il motivo è soprattutto politico: sin dalla fine del 2016 Pyongyang ha chiuso ogni comunicazione diretta con la Corea del sud, e il timore è che si stia replicando quanto accaduto durante le prime e ultime Olimpiadi ospitate dalla Corea del sud, a Seul, nel settembre del 1988. All’epoca il leader della Corea del nord era Kim Il-sung. Il Comitato olimpico aveva proposto alle due Coree di organizzare congiuntamente i Giochi, ma Seul aveva rifiutato l’offerta. Kim aveva risposto con il boicottaggio delle Olimpiadi – unico Paese del blocco sovietico a farlo. Il 29 novembre del 1987, poco meno di un anno prima della cerimonia di apertura, Pyongyang aveva ordinato l’attentato al volo Korean Air 858 per «destabilizzare la Corea del sud e le Olimpiadi». Morirono 115 persone.