Obiettivo: mettere all’angolo l’Iran

Politica estera Usa – Washington ha ufficialmente reintrodotto le sanzioni contro gli ayatollah che erano state sospese dopo l’accordo sul programma nucleare di Teheran del 2015, poi revocato in maggio dal presidente Trump
/ 12.11.2018
di Lucio Caracciolo

Dopo aver superato quasi indenne la prova delle elezioni di mezzo termine, compattando il suo partito attorno a sé e garantendosi il controllo del Senato, Donald Trump può dedicarsi alla politica estera con relativa tranquillità. Un fronte importante, in questo campo, è quello mediorientale. Qui la priorità è mantenere in piedi l’Arabia Saudita, impedendo che il disastroso comportamento del giovane principe ereditario Mohammad bin Salman nel caso Khashoggi e non solo finisca per minare le basi del regime, e contemporaneamente mantenere la pressione sull’Iran. Avendo come obiettivo massimo la liquidazione della Repubblica Islamica e il ritorno della Persia su posizioni meno ostili all’America, e come scopo minimo tagliare le unghie al presunto imperialismo regionale iraniano. In particolare, impedire il consolidamento dell’asse Beirut-Damasco-Baghdad-Teheran (perno centrale)- Herat, che disegna la vasta area d’influenza regionale dell’Iran.

Questo «crescente sciita», secondo la definizione del re di Giordania, minaccia la stabilità dei regimi arabo-sunniti nella regione. Allo stesso tempo, cementa la loro strana alleanza con Israele, benedetta e protetta dagli Stati Uniti. Lo Stato ebraico ha bisogno di un nemico esistenziale per compattare la sua società eterogenea e divisa, e il paese degli ayatollah e dei pasdaran svolge alla perfezione questa funzione. D’altra parte, per i sauditi, custodi delle sacre moschee di La Mecca e Medina, i persiani sciiti sono il nemico esistenziale per eccellenza, che a loro avviso minaccia di penetrare nella Penisola arabica e nel mondo arabo-sunnita.

Su questo sfondo, il rinnovo delle sanzioni contro l’Iran deciso da Trump, scattato il 5 novembre, ha una funzione strategica. Se davvero le esportazioni di energia (idrocarburi) iraniane fossero bloccate, il regime avrebbe pochi mesi di vita. Ma non è e non sarà così. 

Il Paese dispone di un efficiente sistema di commercializzazione privata del greggio attraverso società offshore e navi fantasma, oltre a canali finanziari opachi che gli permettono di aggirare le sanzioni finanziarie, che gli impediscono di servirsi liberamente del sistema Swift. Inoltre, per paesi come la Cina e l’India, si tratta di un fornitore di prima grandezza. Pechino e Delhi – quest’ultima in teoria alleata di Washington – faranno di tutto per mantenere in funzione l’importazione di idrocarburi iraniani, troppo rilevanti per la loro economia.

In più, contro l’opinione di Bolton e di altri «falchi» presenti nell’amministrazione, Trump ha deciso di concedere un periodo di grazia (sei mesi) ad alcuni paesi, tra cui oltre a Cina e India anche l’Italia, durante il quale potranno continuare a importare petrolio dall’Iran. E non è detto che il semestre non possa essere allungato.

Allo stesso tempo, la mossa di Trump ha prodotto la reazione franco-britannico-germanica. I tre paesi europei che con Usa, Russia e Cina avevano firmato l’accordo sul nucleare iraniano poi revocato dal presidente americano hanno promesso di mettere in piedi un sistema di transazioni finanziarie alternativo che consenta di preservare i «commerci legittimi» con Teheran. Aperta sfida alle sanzioni, che accentua la crisi interna all’Alleanza atlantica. In specie fra Stati Uniti e Germania.

Sul fronte interno iraniano, il presidente Rohani è in bilico. Dopo aver scommesso tutto sull’accordo per il nucleare, si trova in mano un pugno di mosche. L’opposizione dei duri del regime, soprattutto dell’ala più antiamericana dei pasdaran, si sta facendo sentire. Contrariamente a quanto Trump dichiara di preferire, se ci sarà un cambiamento politico a Teheran non sarà a favore delle «colombe», ma dei «falchi». Mentre la gente fa incetta di dollari e euro, l’inflazione galoppa al 300% e alcuni generi di prima necessità cominciano a scarseggiare, il rischio di manifestazioni violente e di attentati cresce ogni giorno di più.

Nello scenario peggiore, avremmo quindi una doppia paradossale crisi: i due nemici per la pelle – Iran e Arabia Saudita – si troverebbero ad affrontare contemporaneamente una fase di grave instabilità domestica. Con le conseguenze geopolitiche ed energetiche che si possono immaginare. A cominciare dal prezzo del petrolio, che minaccerebbe di impennarsi ben oltre i 100 dollari al barile.