Nuovi grattacapi per lo zar

Con l’insediamento di Biden alla Casa Bianca cambiano gli equilibri tra Russia e Usa. Sul tavolo altre sanzioni e novità sui fronti ucraino e bielorusso mentre tra Putin e Navalny la guerra continua
/ 25.01.2021
di Anna Zafesova

Per il Cremlino di Vladimir Putin il nuovo anno si presenta fin dai primi giorni ancora più complicato di quello precedente. Mentre tutti i problemi del 2020 restano al loro posto – l’epidemia di COVID-19, con la Russia il Paese più colpito del Continente per numero di casi, la crisi economica, l’isolamento internazionale e il calo dei consensi – l’entrata in carica di Joe Biden dovrebbe riportare in azione anche un’America molto più presente nel resto del mondo, molto più attenta a tenere d’occhio e bacchettare gli autocrati.

Tra i primi dossier che arriveranno sul tavolo nell’Ufficio Ovale ci sarà anche quello di Alexey Navalny, il leader dell’opposizione russa di recente arrestato all’aeroporto di Mosca subito dopo essere rientrato dalla Germania, dove si era curato dopo l’avvelenamento dell’agosto scorso. Navalny rischia ora di dover scontare una condanna di 3 anni e mezzo per frode, sulla base di una sentenza del 2014, rimasta finora condizionale e giudicata immotivata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Già il fatto che una sentenza così discutibile sia stata riesumata in violazione delle regole della stessa giustizia russa dimostra che sia Putin sia Navalny hanno deciso di andare verso uno scontro finale.

L’oppositore ha deciso di rientrare in Russia dopo aver pubblicato un’indagine sul proprio avvelenamento. Non solo mostrando nomi, cognomi e indirizzi degli agenti dell’Fsb (il Servizio federale per la sicurezza ovvero l’ex Kgb) che avevano cercato di ucciderlo, ma anche telefonando a uno di loro e costringendolo a confessare i dettagli dell’attentato con l’utilizzo dell’agente nervino Novichok. Il suo rientro è stato seguito in diretta su internet da centinaia di migliaia di persone, mentre una folla di sostenitori lo aspettava all’aeroporto. All’ultimo momento le autorità hanno dirottato il volo da Berlino verso un altro aeroporto, per far scattare le manette subito dopo che l’oppositore aveva dichiarato ai giornalisti che lo seguivano: «Non ho paura di nulla perché sono dalla parte del giusto».

Joe Biden ha già chiesto la liberazione di Navalny, insieme all’Unione europea e a diversi Governi e Ong, che hanno proclamato l’oppositore russo un prigioniero di coscienza. La Casa Bianca dovrà decidere eventuali nuove sanzioni contro Mosca e appare estremamente probabile che scelga di bloccare la costruzione del gasdotto russo North Stream 2, sostenuto da una forte lobby tedesca. All’ordine del giorno anche la discussione su eventuali provvedimenti direttamente collegati all’avvelenamento di Navalny – sul quale l’amministrazione Trump ha preferito non intervenire, a differenza di Bruxelles – forse la creazione di una vera e propria Navalny’s list finalizzata a punire funzionari e politici russi considerati responsabili del tentativo di omicidio.

Del back to normal di Biden farà inevitabilmente parte il ritorno al sostegno dell’Ucraina – della quale il nuovo presidente americano si era già occupato, in quanto membro dell’Amministrazione di Barack Obama, e dove ha lavorato suo figlio Hunter, rendendo centrale il ruolo di Kiev nella prima procedura di impeachment di Trump – nella sua guerra contro la Russia in Donbass e in Crimea. Dossier al quale probabilmente andrà ad aggiungersi anche il sostegno alla Bielorussia, da mesi in rivolta contro il dittatore filo russo Aleksandr Lukashenko.

A Mosca non si aspettano nulla di buono, fedeli alla regola del Cremlino che le amministrazioni democratiche sono più ostili alla Russia. Cosa che nel caso di Biden potrebbe essere vera. Il nuovo presidente degli USA ha già richiamato in servizio una serie di diplomatici in forza al Dipartimento di Stato con Hillary Clinton, in particolare la sottosegretaria Victoria Nuland, considerata a Mosca la diretta responsabile della rivoluzione europeista sul Maidan di Kiev nel 2014.

Il prossimo consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, mette in guardia contro una «delusione» chi spera in una qualche cooperazione con il Cremlino e il segretario di Stato in pectore, Anthony Blinken, dice che Putin non è interessato a una svolta verso l’Occidente perché non può accettarne le regole di trasparenza «che andrebbero a minare la sua cleptocrazia», ovvero il suo «Governo del furto». Parole che sembrano tratte dal vocabolario di Navalny, il quale sicuramente è più vicino ai democratici americani che al partito repubblicano.
Il giorno dopo la sua incarcerazione l’oppositore ha pubblicato su YouTube un film-inchiesta di due ore che racconta la corruzione di Putin. Un attacco senza precedenti, con rivelazioni sul palazzo segreto del presidente russo sul mar Nero, fornito di lussi esagerati come un campo per l’hockey su ghiaccio sotterraneo, un teatro, una sala per il narghilè con un palco per la pole dance e una stanza per le macchinine giocattolo. Stimato dall’oppositore come «l’immobile privato più costoso sul mercato mondiale», il sontuoso e pacchiano palazzo sarebbe stato finanziato da oligarchi privati e da compagnie pubbliche russe, in un intreccio di interessi che vede coinvolti i vecchi amici di Putin dai tempi del Kgb e del lavoro a Pietroburgo, suo cugino, il suo consuocero e almeno due amanti con relativi figli.

Una denuncia di una potenza dirompente, chiaramente progettata da Navalny mesi prima, quando probabilmente si era già reso conto che Putin non gli avrebbe permesso di ritornare in Russia e restare in libertà. La scelta di tornare, per farsi arrestare, tre giorni prima del cambio della guardia alla Casa Bianca appare calcolata come il resto dell’offensiva con cui Navalny è intenzionato a far vacillare il Cremlino, tra le proteste in piazza e la campagna per le elezioni oneste (a settembre di quest’anno si terranno le elezioni per rinnovare la Camera bassa del Parlamento). Due temi che d’ora in poi saranno anche sull’agenda di Washington.