I rapporti con l’Unione europea mettono a dura prova la politica estera svizzera. Nelle due ultime settimane abbiamo vissuto due momenti, durante i quali il Consiglio federale, alle prese con le scelte che intende fare nei confronti dell’UE, ha diffuso di se stesso due immagini molto diverse. Il primo momento risale al Forum economico mondiale di Davos, il secondo alla seduta settimanale del governo di mercoledì scorso, seguita dalla conferenza stampa di Ignazio Cassis, il capo della diplomazia elvetica.
Cominciamo dall’evento più recente. Nella sua ultima riunione, il Consiglio federale non ha preso decisioni veramente nuove, deludendo, probabilmente, le aspettative di coloro che si attendevano qualcosa di innovativo, come l’abbozzo di una nuova strategia, o semplicemente una nuova idea. Si è limitato a ribadire la sua volontà di uscire dall’impasse attuale con maggiore determinazione e, soprattutto, con maggiore chiarezza su tre punti essenziali, che corrispondono agli ormai celebri tasti «Reset» che Ignazio Cassis aveva evocato nelle sue prime dichiarazioni, prima e dopo la sua nomina in governo.
Il primo punto riguarda l’accesso della Svizzera al mercato unico europeo, un accesso ritenuto sempre molto importante per la nostra economia e, quindi, per il benessere della popolazione. Il ministro degli esteri intende definire i nuovi accordi settoriali che la Svizzera vuole concludere in futuro con l’UE, per estendere il suo accesso al mercato unico. Si prefigge anche di perseverare nella ricerca di una soluzione suscettibile di sbloccare la trattativa sull’accordo istituzionale, un accordo che vien visto come un mezzo per sostenere gli accordi bilaterali e non come un obiettivo. La trattativa è in corso da ben quattro anni e si fonda su un mandato negoziale che comincia a soffrire dell’usura del tempo e che forse meriterebbe di essere aggiornato. Per uscire dall’impasse, il capo della diplomazia elvetica ha evocato nuove idee, senza svelarle, e si propone di raggiungere un accordo entro la fine dell’anno, a condizione che l’intesa tenga debitamente conto degli interessi svizzeri. La scadenza vien suggerita dal contesto elettorale che caratterizzerà il 2019. Le elezioni previste sia in Svizzera che nell’Unione europea renderanno difficile il coronamento di un negoziato bilaterale.
Il secondo punto tocca la riorganizzazione del vertice del Dipartimento federale degli esteri. L’ambasciatore Roberto Balzaretti è stato nominato segretario di Stato e diventa l’unico responsabile del negoziato con l’Unione europea. Pascale Baeriswyl, pure segretaria di Stato, che finora aveva assunto la coordinazione di tutti i dossier riguardanti l’Unione europea, si occuperà della parte rimanente della politica estera svizzera. Balzaretti è stato capo della missione svizzera a Bruxelles tra il 2012 ed il 2016. Conosce dunque bene i dirigenti e gli alti funzionari dell’Unione europea, nonché il loro modo di agire. Potrà costituire un importante punto d’appoggio e di sostegno per Ignazio Cassis, che non nasconde la volontà di concentrare nel suo dipartimento tutte le più importanti questioni pendenti con l’UE e di non più lasciarle, come è successo finora, sparpagliate in più dipartimenti federali.
L’ultimo «Reset» che il ministro degli esteri ha affrontato nella sua conferenza stampa concerne la comunicazione. Per ovviare alle continue prese di posizione divergenti che sorgono in seno al mondo politico, che trovano spazio sulla stampa e che indeboliscono la posizione diplomatica della Svizzera, il Consiglio federale ha deciso di dare il buon esempio e di adottare una linea che garantisca in futuro una comunicazione più omogenea. Si è anche prefisso di coinvolgere maggiormente l’opinione pubblica, diffondendo più informazioni e spiegazioni sul negoziato in corso. Cassis ha pure invitato i giornalisti ad una certa prudenza, ch’egli ritiene necessaria per non rendere più difficile il lavoro dei diplomatici.
I buoni propositi del Consiglio federale, soprattutto nell’ambito della comunicazione, costituiscono una giusta correzione di quanto era successo durante la 48.esima edizione del Forum economico mondiale di Davos. Come succede ogni anno, il governo era presente con una forte delegazione, con l’intento d’incontrare un buon numero di responsabili politici ed economici, di allacciare contatti personali e, se possibile, di avviare un dialogo su problemi rimasti irrisolti nell’ambito dei numerosi rapporti bilaterali. Quest’anno, la trasferta a Davos prevedeva anche la possibilità d’intrattenersi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Una possibilità molto attrattiva, perché l’ultima presenza a Davos di un presidente della prima potenza mondiale, quella di Bill Clinton, risaliva al 2000 e perché c’era molta curiosità su quello che l’attuale inquilino della Casa Bianca, noto per la sua difesa a spada tratta degli interessi americani e la sua avversione per gli accordi internazionali conclusi dai suoi predecessori, avrebbe detto nel tempio del liberalismo economico, di fronte ad una folta schiera di leader dell’economia liberale mondiale.
Ben cinque consiglieri federali si sono recati nella stazione turistica grigionese. Hanno avuto numerosi colloqui con personalità di primo piano, come Donald Trump, il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, colloqui dai quali, però, sono emerse poche informazioni. Hanno destato scalpore, invece, le dichiarazioni rilasciate alla stampa da ben quattro consiglieri federali sull’accordo istituzionale in discussione con l’Unione europea. Dichiarazioni che riflettevano le profonde divisioni esistenti in seno al governo. Il presidente della Confederazione, Alain Berset, ha escluso la possibilità di una rapida conclusione dell’accordo con Bruxelles. Il ministro degli esteri Ignazio Cassis, invece, ha prospettato tempi non troppo lunghi. Il ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann ha dichiarato di preferire attendere la fine del negoziato sulla Brexit, prima di concludere l’accordo istituzionale con l’UE. Il vicepresidente della Confederazione Ueli Maurer, infine, fedele alle posizioni dell’UDC, ha invitato a cercare alternative ad un accordo istituzionale che, secondo il suo parere, il popolo non è pronto ad accettare.
Le prossime settimane sveleranno se la strada imboccata dal Consiglio federale nella sua ultima seduta, verrà seguita senza altre dissonanze sul negoziato con l’UE. Nuove prese di posizione dei ministri non sono da escludere, ma dovrebbero convergere verso un obiettivo condiviso. Costituiscono una premessa indispensabile per difendere e rafforzare la posizione negoziale della Svizzera e per convincere i cittadini, che un giorno potranno essere chiamati a pronunciarsi sul risultato della trattativa in corso. È in gioco la credibilità del governo. Una credibilità che merita di essere ancora perfezionata con intese all’interno dell’esecutivo. Le occasioni non mancheranno. La prossima opportunità si presenterà già il 21 febbraio, giorno in cui il Consiglio federale ha previsto una nuova riunione dedicata ai nostri futuri rapporti con l’Unione europea.